Gente del deserto

Gruppo Corallo
(a cura di Gabriella Carlon)
25-03-2017

Me ne andrò.
Dove andrai, senza sapere dove?
-Anche se non lo so, lasciami andare
me ne andrò con il vento e non importa
lasciare tracce
me ne andrò di nuvola in nuvola anche se non piove
me ne andrò con le stelle anche se non brillano
me ne andrò scalzo e non solo per sfuggire
le guerre, l’indifferenza, la fame
l’odio che si nasconde nelle vene,
le minacce e le vendette che puntano
alle spalle
io sono nomade, son nato nella sabbia sotto il sole
come gli animali
sono libero come il vento, come le carovane
che rompono l’immensità, sono libero,
figlio della terra e della sua grandezza
ho tanti fratelli che voglio conoscere
e voglio abbracciare
e soprattutto quelli che lottano per la libertà
dove andrai, senza sapere dove?
-Dove non importa, lasciami solo andare
e non voglio che mi mostri l’oriente o l’occidente
né il nord o il sud, lasciami solo andare a mostrare
questo cuore libero
imprigionato dentro di me
per sfidare le barriere del colore e
della religione
dove andrai se non sai come?
come non importa
perché ho nella fronte un sole.
E nella voce un clamore
me ne andrò di palmo in palmo di abbraccio in abbraccio
perché appartengo a tutte le stirpi
e a tutte le credenze
me ne andrò anche se tu non vuoi per abbattere
le frontiere e per mischiare le razze
me ne andrò anche se tu non vuoi per costruire
a cielo aperto un luogo senza nome
dove gli uomini sotto il sole si fondono in abbracci e perdoni
perché tutti abbiamo lo stesso sangue e sotto il sole la stessa ombra
Saleh Abdalahi Hamudi

Il Sahara Occidentale (superficie 266.000 kmq) è abitato dai Saharawi (gente del deserto), una popolazione che trae origine da un processo di fusione tra Berberi autoctoni, Arabi sopraggiunti nei secoli VII-XIII, discendenti di schiavi sudanesi provenienti dalla riva del fiume Senegal e dal Mali. A questi vanno aggiunti i coloni marocchini.
La lingua parlata è l’hassanya (dialetto arabo) mentre lo spagnolo è la lingua di comunicazione internazionale. La religione è il musulmanesimo sunnita.
Secondo l’ultimo censimento (2014) gli abitanti sono 567.000; la stima dei rifugiati a Tindouf (Algeria) sarebbe di 175.000.
Oggi i Saharawi sono divisi in tre gruppi: un primo gruppo vive nelle zone controllate dall’esercito marocchino; un secondo vive nella striscia di zona libera lungo il limite del confine; un terzo vive nei campi profughi di Tindouf in Algeria. I primi due gruppi sono divisi da un muro lungo 2.500 km, costruito dal Marocco a più riprese negli anni ottanta.
Come si è giunti a questa situazione drammatica?

Periodo precoloniale
Fin dal 1000 a. C. il territorio è abitato dai Saharawi che praticano il nomadismo. Nei secoli VII-VIII d. C. arrivano le prime ondate di invasione araba, che si intensificano nel sec. XIII da parte di Arabi provenienti dall’odierno Yemen, sostenuti dai sultani marocchini. Progressivamente si diffonde l’Islam e si adotta la lingua araba.
Dal XV al XVIII secolo convivono etnie diverse che però professano la stessa religione (musulmanesimo) e parlano la stessa lingua (hassanya). Fra le varie etnie esisteva una federazione, rappresentata dal Consiglio dei Quaranta.
Tradizionalmente si viveva di un’economia mista: pescatori sulla costa; agricoltori nelle oasi; pastori nomadi; carovanieri che con i cammelli attraversavano il deserto, commerciando sale e altri beni dalla costa fino all’interno dell’Africa subsahariana.

Periodo coloniale
L’interesse a colonizzare il territorio nasce, da parte della Spagna, per la pescosità delle acque costiere e per il controllo del traffico carovaniero. Vengono stipulati numerosi accordi tra la Compagnia commerciale di Barcellona e alcune etnie presenti nel Rio de Oro.
Nel 1884 la Conferenza di Berlino (dove le potenze europee si accordano sulla spartizione del continente africano) dà legittimazione alla presenza spagnola, mentre il leader politico saharawi Ma’ al Aynin fonda la città di Smara, che diventa il principale centro religioso e culturale dei Saharawi.
Francia e Spagna si dividono il territorio atlantico del Sahara, fortemente contrastate dagli autoctoni, finché nel 1912, dopo la morte in battaglia di Ma’ al Aynin, la spartizione diventa abbastanza stabile: la Spagna occupa a nord il Rif e a sud riunisce la provincia di Saguia al Hamra e il Rio de Oro nella colonia del Sahara spagnolo.
Nei decenni seguenti la Spagna persegue una faticosa penetrazione del territorio, che si rivela particolarmente interessante con la scoperta, nel 1947, di giacimenti di fosfati e successivamente anche di ferro, gas e petrolio. Il processo di colonizzazione procede più velocemente, con la fondazione di numerose compagnie per lo sfruttamento delle risorse e l’esportazione del materiale grezzo. I Saharawi sono indotti ad abbandonare il nomadismo e a trasferirsi in città. Le città offrono nuovi lavori e nuove prospettive di vita, ma sono anche molto più controllabili da parte di chi gestisce il potere.
Nel complessivo processo di decolonizzazione in atto, la Francia riconosce l’indipendenza del Marocco (1956): anche la Spagna si impegna a rispettarne l’integrità territoriale, rinunciando al Marocco meridionale spagnolo (1958) e siglando un accordo per il ricongiungimento del Rio de Oro al Marocco.
L’Istiqlal (partito nazionale dell’indipendenza marocchina) coltiva però il disegno del Grande Marocco, venendo meno alle disposizioni dell’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA) che prevedono, per tutti gli stati liberati, il mantenimento dei confini coloniali. Il Grande Marocco dovrebbe comprendere l’annessione dei territori del Sahara sotto controllo spagnolo e francese, della Mauritania e di parte dell’Algeria. Un’azione militare franco-spagnola costringe l’esercito di liberazione marocchino a ritirarsi ma i confini restano molto incerti: la politica di decolonizzazione della Spagna è ambigua e il Sahara spagnolo, pur decolonizzato, non ottiene l’indipendenza.
Nel 1960 diventa indipendente la Mauritania (il Marocco la riconoscerà solo nel 1969) e nel 1962 si rende indipendente l’Algeria.
A questo punto il Sahara spagnolo diventa oggetto di contesa tra Marocco, Algeria e Mauritania sia per le ricchezze minerarie che possiede sia perché l’Algeria mira a uno sbocco sull’Atlantico. Lo scontro Algeria-Marocco (soprattutto per le miniere di Tindouf) viene risolto con la mediazione dell’OUA. Della questione si occupa anche l’ONU attraverso il Comitato per la decolonizzazione, che invita la Spagna ad accelerare l’abbandono del territorio e sollecita i governi di Spagna, Marocco e Mauritania a riconoscere il diritto all’autodeterminazione del popolo saharawi con l’organizzazione di un referendum.
Alcuni notabili saharawi si dichiarano favorevoli a mantenere rapporti privilegiati con la Spagna e si procede, nel 1967, alla istituzione di una Assemblea Generale del popolo saharawi. Il territorio però è tuttora occupato dalla Spagna e l’Assemblea si rivela uno strumento di controllo: i Saharawi si sentono privati della reale gestione politica del loro territorio. Da questo clima trae origine un movimento nazionalista per la liberazione del Sahara spagnolo, su iniziativa di un giovane giornalista, Mohamed Sidi Ibrahim Bassiri che però nel 1970 viene arrestato nel corso di una manifestazione a Al Ayun: di lui non si saprà più nulla.

Il Fronte Polisario
La dura repressione spagnola alimenta il movimento di liberazione che nel 1973 si costituisce come Fronte Popolare per la Liberazione del Sanguia al Hamra e del Rio de Oro (Polisario). Inizia la lotta armata contro la Spagna, mentre Marocco e Mauritania riaffermano la loro opposizione al colonialismo spagnolo ma non rinunciano all’occupazione del territorio. Con gli accordi di Madrid (1975) la Spagna ritira le truppe e prefigura una spartizione del Sahara occidentale tra Marocco e Mauritania.
Contemporaneamente la Corte interazionale di Giustizia, interpellata dall’Assemblea ONU, stabilisce che non esistono vincoli di sovranità da parte di Marocco e Mauritania sul Sahara occidentale e ribadisce che si deve applicare il principio di autodeterminazione. Inoltre riconosce come unica autorità legittima il Fronte Polisario, di conseguenza l’Assemblea Generale istituita dalla Spagna viene sciolta.
Il Marocco però invia 350.000 coloni (Marcia Verde) per segnare la presa di possesso del Sahara occidentale; nel 1976 la Spagna si ritira: il Marocco occupa i 2/3 del territorio e la Mauritania occupa la parte meridionale (Tiris El Gharbia).
Il Marocco, sostenuto dalla Francia, bombarda il territorio usando bombe a frammentazione di fabbricazione USA; la popolazione civile, decimata, fugge e si stanzia in una tendopoli a Tindouf, entro il confine algerino. Il Fronte Polisario intraprende una diffusa guerriglia con armi libiche, costringendo i soldati mauritani e marocchini a ritirarsi nelle roccaforti ex-spagnole. Muore in battaglia il capo del movimento Al Wali.

La RASD
Il Fronte Polisario procede alla proclamazione della Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD)

Bandiera della Repubblica Democratica Araba del Saharwi

con il sostegno dell’ONU. Anche l’OUA sostiene la lotta del popolo saharawi e chiede il ritiro degli occupanti. Il motto della nuova repubblica è “La libertà, la democrazia, l’unità”.
Fronte Polisario, istanza politica, e RASD, organizzazione statuale, si integrano e si compenetrano a vicenda. Il Polisario è costituito da cellule di base da cui traggono origine l’Ufficio politico e il Comitato esecutivo. La RASD prevede cinque Comitati popolari di base (Educazione, Sanità, Giustizia, Artigianato e Rifornimenti) a cui corrisponde a livello più alto la struttura dei ministeri che fanno parte del Governo. A questi si aggiungono, nel Governo, i ministeri degli Interni, degli Esteri e della Difesa. I Comitati eleggono il Consiglio popolare a livello di provincia, i cui presidenti costituiscono a loro volta il Consiglio popolare delle regioni. Il Congresso popolare elegge, ogni tre anni, il Comitato esecutivo del Fronte Polisario e il Consiglio del Comando della Rivoluzione. Il Governo in esilio risiede a Tindouf.
La RASD nel 1980 viene riconosciuta, a grande maggioranza, dall’Assemblea Generale dell’ONU, che inserisce il Sahara Occidentale nella lista dei territori non autonomi; nel 1984 diviene membro di diritto dell’OUA (il Marocco, per protesta, abbandona l’Organizzazione); non ottiene però il riconoscimento della Lega Araba.
Nel 1981 in un vertice dell’OUA, alla presenza del re del Marocco Hassan II, si stabilisce che il destino del Sahara occidentale sarebbe stato deciso dal popolo Saharawi con un referendum garantito dall’ONU; nel 1985 il Marocco si dichiara ufficialmente disponibile a questa soluzione.
L’ONU, con una risoluzione del 1988, istituisce una Missione delle Nazioni Unite per il Referendum del Sahara Occidentale (MINURSO), a cui partecipa anche l’Italia; l’anno successivo il Parlamento europeo si pronuncia a favore dell’autodeterminazione.

Il muro
Durante gli anni 1982-1987 il Marocco procede alla costruzione di un muro che progressivamente ingloba la maggior parte del Sahara Occidentale entro i propri confini: solo il 20% del territorio rimane sotto il controllo della RASD. La parte controllata dal Marocco si affaccia sul mare lungo tutta la costa, salvo una minuscola penisola a sud; racchiude le zone minerarie, in particolare la grande miniera di fosfati di Bou Craa, collegata al mare con un nastro trasportatore lungo 100 km, anche se l’ONU ne ha dichiarato illecito lo sfruttamento da parte del Marocco e ha vietato l’estrazione di gas e petrolio (si possono fare solo prospezioni). La parte controllata dalla RASD è una striscia desertica lungo tutto il confine.

Sahara occidentale – muri marocchini    (clicca per ingrandire)

Il Marocco giustifica la costruzione del muro, in totale 2.500 km, con il diritto di difendersi dalla guerriglia. Il sistema dei muri, in sei tronconi, è costituito da terrapieni preceduti da campi minati e dotati di sistemi elettronici di sorveglianza con posti di guardia regolarmente distribuiti.
Nel 1991, con la mediazione MINURSO, si stabilisce una tregua tra Marocco e Fronte Polisario e si fissa il Referendum a gennaio 1992. Il Marocco organizza una seconda Marcia Verde con 155.000 coloni. A questo punto nascono gravi contrasti sulla composizione delle liste degli aventi diritto al voto perché il Marocco sostiene il criterio territoriale, in base al quale dovrebbero votare i Marocchini insediatisi nel territorio e sarebbero esclusi i Saharawi dei campi profughi algerini. Criterio che i Saharawi non accettano.
Di rinvio in rinvio la data viene spostata in avanti da 25 anni: MINURSO ha raggiunto alcuni obiettivi come mantenere la tregua o permettere il passaggio del muro a famiglie divise, ma non riesce a dare attuazione al referendum.

La situazione attuale
Il popolo saharawi è diviso perciò, ormai da anni, nei tre gruppi di cui si parla all’inizio e vive in una situazione di grave sofferenza.
Il Marocco cerca di mantenere inalterata la situazione, che è un’annessione di fatto del Sahara occidentale, e fornisce di generosi sussidi i Saharawi sotto il suo controllo.
Nell’agosto 2016 si è verificato un incidente nel territorio di Guerguerat al confine con la Mauritania: il Marocco ha praticato un controllo militare sulla strada che scorre oltre il muro (per debellare traffici di contrabbando) e il Fronte Polisario ha risposto mandando le proprie truppe nella zona, che dovrebbe essere controllata dall’ONU. Con la mediazione dell’ONU si è evitato lo scontro; alla fine di febbraio il Marocco ha ritirato le sue truppe ma il Polisario non ha fatto altrettanto e la situazione rimane tesa.
Sembra che anche l’UA (fino al 2005 OUA) vada verso il mantenimento della situazione di fatto: è di alcuni giorni fa la notizia che nell’ultima riunione del vertice UA ad Addis Abeba il Marocco è stato riammesso nell’Organizzazione dopo 33 anni. La votazione ha avuto 39 voti a favore su 54; i paesi contrari sostengono con decisione i diritti della RASD, ma il Marocco pretende l’annessione. C’è comunque una certa ambiguità, perché il re Mohammed VI non ha posto condizioni e quindi implicitamente accetta l’atto costitutivo dell’UA che prevede per ciascun paese il mantenimento dei confini coloniali. Come si uscirà da questa contraddizione?
Nel prossimo mese di aprile l’ONU dovrà riesaminare la situazione perché scade il mandato Minurso: stiamo a vedere che cosa accadrà.

Tindouf

Come si vive a Tindouf?

Tindouf

I campi profughi nei dintorni di Tindouf vivono degli aiuti di organizzazioni internazionali, nonché dell’Algeria che, dal 1975, offre una parte del proprio territorio. Val la pena di parlare della organizzazione di questi campi perché sono un esempio di vita dignitosa in uno spazio difficile e in tempi ormai

molto lunghi (dalla guerra del 1975). Ciò è possibile perché i rifugiati sono parte attiva e partecipe nella gestione: non si impongono modelli dall’alto collaudati altrove, ma i soggetti stessi si autogestiscono secondo i loro punti di vista, alla ricerca di una contaminazione possibile tra la loro tradizione e i progetti portati dalla Cooperazione internazionale.
Le donne sono in primo piano nella gestione, anche perché nei primi 20 anni gli uomini erano impegnati nella guerriglia e nelle azioni militari contro il Marocco. Va anche ricordato che la società berbera era matrilineare; inoltre vige la monogamia.

Campo rifugiati a Tindouf

I campi sono organizzati sullo schema amministrativo di ciò che sta al di là del muro; le quattro wilàya (province) prendono anche il nome di quattro città del territorio occupato: Al Ayum, Smara, Dakhla, Ausserd; ogni campo è diviso in da’ira (comuni) divisi a loro volta in barrios (quartieri) che sono costituiti da 10 file di tende comprendenti da 1000 a 2000 persone. Esiste poi un centro amministrativo (Rabouni) che è la sede del Governo in esilio. Tre campi sono collegati da una strada carrozzabile e si trovano nei dintorni di Tindouf, mentre Dajla (Dakhla) si trova a 170 km.

Condizioni di vita
Le condizioni climatiche non sono favorevoli: le tendopoli sorgono in pieno deserto, con clima secco e ventoso. L’escursione termica tra il giorno e la notte raggiunge anche i 30°. Le piogge sono scarse, ma quando arrivano sono violente e mettono a dura prova le costruzioni di mattoni di sabbia. Fattore molto positivo è però la presenza di falde acquifere a profondità non eccessiva: ciò permette l’utilizzo di pozzi sia per gli usi comuni sia per l’allevamento di animali (dromedari, ovini, polli) che vengono collocati ai margini dei campi. La presenza dell’acqua ha permesso la trasformazioni di pezzi di deserto in orti dove si coltivano frutta e verdura, alimenti importanti per integrare una dieta altrimenti fondata solo su cibi in scatola forniti dagli organismi internazionali.
Le abitazioni sono costituite dalle tende e da alcune costruzioni in mattoni di sabbia per gli edifici di maggior rilievo. L’illuminazione è fornita da lampade a gas o, talvolta, da pannelli solari.

In ogni da’ira sono presenti una scuola materna e una elementare: la frequenza è obbligatoria per tutti, maschi e femmine, tanto che nelle tendopoli non esiste analfabetismo. Per la scuola media i ragazzi/e frequentano due collegi nazionali, mentre quelli che proseguono nella scuola superiore si recano all’estero (Algeria, Spagna, Cuba). Nel centro amministrativo esiste una scuola professionale femminile (la “27 febbraio”) che licenzia infermiere, maestre d’asilo, diplomate in lingue e in informatica.

Al momento della proclamazione della RADS la situazione igienico-sanitaria era disastrosa, anche perché era molto difficile costruire fognature per la presenza di falde poco profonde. La mortalità infantile era molto alta, le epidemie di diffondevano con virulenza.
L’intervento internazionale si è concentrato su un progetto salute che coinvolgesse tutta la popolazione. Vengono mantenute le buone pratiche della medicina tradizionale, come il sapiente uso delle erbe, associate alla medicina occidentale, come le vaccinazioni di massa. Si è fortemente puntato a diffondere la coscienza che il modo migliore per conservarsi in salute è la prevenzione e che elemento fondamentale della prevenzione è la pulizia. Ogni da’ira elegge un comitato sanitario che è responsabile dei prodotti della defecazione, che vengono portati in fosse chiuse fuori dal campo, della raccolta dei rifiuti solidi, del riuso dei rifiuti organici per l’alimentazione degli animali. I servizi per queste operazioni sono svolti a turno dalle donne: ogni fila del barrio ha la sua responsabile.
In ogni campo esiste un piccolo ospedale, dove si tengono anche corsi di educazione sanitaria, di educazione alimentare e di prevenzione; funzionano anche da dispensari per l’infanzia dove si distribuiscono cure e cibo nei casi di malnutrizione. Anche gli anziani godono di particolari cure in centri diurni a loro dedicati (uno per gli uomini e uno per le donne), mentre di notte tornano nelle loro tende. Nel complesso i diversi interventi del Progetto salute hanno dato buoni risultati.

Nei campi non esiste la moschea; l’islam dei Saharawi è aperto e tollerante: ritengono, come tutti i musulmani, che la preghiera possa essere praticata ovunque, ma forse la composizione multietnica e le origini nomadi hanno esercitato una influenza particolare.

La cultura
Accanto alla scolarizzazione generalizzata, un’altra fonte culturale importante per le nuove generazioni è la trasmissione orale del ricco patrimonio di racconti, fiabe, proverbi, poesie che i vecchi continuano a narrare. Il legame tra generazioni, da noi quasi scomparso, è molto vivo presso i Saharawi che sono molto orgogliosi delle loro tradizioni anche perché su di esse fondano la loro identità di popolo e pertanto non intendono disperdere e dimenticare la ricchezza del loro passato.
Un altro filone culturale molto vivo è rivolto all’esterno, per far conoscere la loro storia e cultura a livello internazionale.

Aminatou Haidar dopo la liberazione

Emblematica la figura di Aminatou Haidar,
combattente per i diritti dell’uomo e dei popoli, incarcerata per anni in Marocco, scomparsa dal 1987 al 1991, è considerata una ambasciatrice internazionale della causa saharawi, per la sua opera instancabile nel diffondere all’estero i problemi del suo popolo.

La cantante Mariem Hassan

Un’altra donna, la cantante Mariem Hassan, morta prematuramente nel 2015, con la sua voce straordinaria ha portato nel mondo la vita e la sofferenza del popolo saharawi.

Nel 2005 un gruppo di giornalisti e intellettuali ha fondato un’associazione Generation de la Amistad Saharawi con lo scopo preciso di far conoscere le vicende del loro popolo: per una maggior efficacia nella diffusione usano la lingua spagnola. L’autore della poesia iniziale appartiene a questo gruppo. (Per leggere altre poesie tradotte) https://www.gruppocorallo.it/poesie-saleh-abdalahi-hamudi/ 

Sempre allo scopo di tener viva la questione, si organizza ogni anno in febbraio una Maratona nei campi di Tindouf, con diverse possibilità di percorso: è una sana attività sportiva per gli abitanti dei campi, ma anche un’occasione per incontrare persone che arrivano dal mondo esterno.
Infine non si può dimenticare la cerimonia del tè che è anche un rito di accoglienza. Il tè, di diversa intensità e dolcissimo, viene servito per tre volte in piccolissimi bicchieri: “il primo amaro come la vita, il secondo dolce come l’amore, il terzo soave come la morte”.

Pensiero finale
Le vicende del popolo saharawi fanno venire alla mente un altro popolo, quello palestinese che, pur avendo più visibilità sui media, subisce la medesima oppressione: muri, insediamento di coloni, profughi, controllo militare del territori, mancanza di uno stato indipendente. Sorge una riflessione amara: le risoluzioni ONU trovano applicazione solo se condivise dai più forti. Forza del diritto o diritto della forza?

Mondo