I buoi sono scappati

Laura Mazza
19-02-2018

Dice il vecchio adagio: “ … chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati”. E’ quello che è avvenuto in politica. Oggi si fronteggiano opinioni divergenti su ogni argomento sia da parte della destra sia da parte della sinistra creando quotidianamente la sensazione nei cittadini che le cose si potrebbero fare, ma qualcuno o qualcosa lo impedisce. La sensazione di inadeguatezza è forte e la conflittualità aumenta facendo percepire a chiunque un malessere esistenziale e una pesante scontentezza.
Che sia funzionale alla politica della contesa appare evidente, anche se in realtà un’operazione di questo genere finisce con l’effetto opposto e con le persone che non capendo cosa sarebbe giusto fare decidono che non vale nemmeno più la pena di andare a votare. Ossia, si preferisce rinunciare a un proprio diritto piuttosto che darla vinta ai politicanti attuali. E’ un brutto quadro. Andando però a ragionare più in profondità ci si accorge che alcune decisioni, risultate poi impopolari, sono il risultato di scelte fatte più a monte e in tempi molto diversi ma che hanno davvero corroso il tessuto sociale. Il riferimento evidente è la scelta del neo-liberismo, anche da parte dell’Europa, che sembrava essere la soluzione per l’avanzamento sociale della popolazione. Secondo queste politiche la globalizzazione e la privatizzazione, anche di Società di interesse nazionale, avrebbero dovuto calmierare i costi di produzione in favore della collettività. Non è stato così, sono soltanto stati favoriti coloro che avevano degli interessi privati e denaro da investire. Altre politiche invece sono di solo di facciata, sono un’instillazione continua di veleni nei confronti della compagine politica opposta, in società già provate dalle crisi economiche e di fiducia. Politiche gridate che alle spalle non hanno proposte e non hanno progetti, ma soltanto l’obiettivo di convincere gli eventuali votanti che la soluzione più piatta e più facile è quella giusta.
E’ il solito gioco del “ci pensiamo noi”, solo che come ogni incendio, il continuo soffiare sul fuoco alimenta e ingigantisce il disagio interiore di taluni che, salendo alla ribalta delle cronache, si compiacciono di essere stati dei personaggi esemplari. Le notizie di cronaca, anche di questi ultimi giorni, dimostrano con abbondanza di elementi la triste realtà che stiamo vivendo. Il Professore Paolo Sylos Labini pubblicò nel 1974 un pregevole testo, oggi ripubblicato da Laterza con gli interventi di Innocenzo Cipolletta e Ilvo Diamanti, “Saggio sulle classi sociali” che fa un’approfondita analisi delle piccola e media borghesia, dei suoi comportamenti, del ruolo avuto nel Ventennio fascista, ma anche durante il boom economico. Di questo libro c’è una buona recensione di uno studente di Scienze Politiche dell’Università di Bologna, Enrico Comini, che consiglierei di leggere per la sua semplicità e chiarezza (lo trovi qui). Il ceto medio è quello che “ordina” l’equilibrio politico da sempre, ma quando vengono a mancare i presupposti di base di una buona convivenza governata da un’equa redistribuzione della ricchezza e si incomincia a privilegiare il clientelismo, il corporativismo e l’uso parassitario delle risorse, le cose sono destinate a finire male. La mancanza di lavoro; l’assenza di sicurezze tipo la pensione; la sanità privatizzata in modo esasperato; una scuola non adatta ai tempi attuali; un farraginoso sistema giudiziario; un sistema bancario poco sicuro; la svendita del territorio (vedi trivelle e infrastrutture) che impoverisce località con vocazione agricola o turistica in favore dell’arricchimento spesso anche illecito di pochi: tutto ciò porta a considerare una realtà catastrofica. Per non parlare delle sanzioni che l’Europa ci infligge per politiche sbagliate, per le discariche non in regola, per l’inquinamento (vedi Taranto), per aiuti di Stato a banche e/o imprese e adesso incombe anche quella per la cattiva mobilità e l’inquinamento nelle città. Si parla di cifre che superano i sessantadue milioni di Euro e che gravano sui cittadini. Perché questo avvenga è spiegato soltanto da un atteggiamento di politici e imprenditori appartenenti alla piccola borghesia che perseguono il concetto di posizioni di privilegio e che organizzano la società in un modo così tanto miope da non riuscire nemmeno a considerare chi si trova in una situazione di svantaggio.
Come abbiamo sempre sostenuto è la politica che deve governare l’economia e non il contrario, e invece questo è proprio quello che è avvenuto, come già si diceva, attraverso la concezione corporativista della società a discapito della redistribuzione. Allora cosa fare è semplice. Dobbiamo occuparci di più di politica, dobbiamo tornare a parlarne perché non siano i professionisti della paura ad uscire vincenti. Noi ci troviamo in una fase di grave crisi dei partiti e della rappresentanza, i mezzi di informazione non aiutano, i vari dibattiti televisivi travisano molto facilmente le notizie e a volte le stravolgono alimentando la confusione senza indicare quale dovrebbe essere il percorso corretto. Ecco allora come è possibile “aprire la stalla e fare rientrare i buoi”. Dobbiamo andare a votare e ricordarci i nomi e cognomi di chi abbiamo votato, anche di quelli che non conosciamo messi nelle liste dai partiti, perché a loro dovremo chiedere di darci conto del loro operato, dobbiamo leggere e confrontarci su tutti i temi e soprattutto dobbiamo ricreare ambiti (associazioni e gruppi di studio) da cui potrà emergere una cittadinanza consapevole in grado di condizionare le scelte di chi si trova al Parlamento, dobbiamo uscire dall’angolo in cui ci hanno relegato di apatia e brontolamento. La Democrazia non è data per sempre, bisogna alimentarla. Dobbiamo essere una cittadinanza che chiede di essere rispettata e non utilizzata solo per dare il via libera a “leggi del taglione” di quei politici che propongono soluzioni di facciata impraticabili e che non tengono conto di un modello di società complessa che non può immaginarsi chiusa in un recinto dove tutto ciò che è scomodo o difficile deve rimanere fuori.

Politica