Gabriella Carlon
10-04-2017
La democrazia rappresentativa è in crisi: l’uscita da questa crisi non può essere il populismo, che di democratico salva solo il meccanismo del voto, ma la realizzazione sempre più piena della partecipazione dei cittadini. Però una più assidua partecipazione, sia al momento del voto sia nella normale quotidianità, richiede costi elevati in termini di tempo, energie e denaro. La democrazia costa: sarebbe opportuno che ci convincessimo di questa verità, anche se spiacevole.
La crisi è determinata da vari motivi: barriera tra governanti e governati (quindi venir meno della stessa rappresentatività); corruzione e intrecci tra politica, banche, affari di vario genere; incompetenza degli eletti che si rivelano inadeguati al ruolo; comunicazione fondata sulle post-verità con l’intento di turlupinare gli elettori costruendo con le parole una realtà inesistente.
Alla mancanza di rappresentatività si può ovviare solo con una legge elettorale equilibrata che permetta agli elettori di eleggere i propri rappresentanti.
Per rimediare alla inadeguatezza si rende necessaria una accurata e severa selezione del ceto politico, sia sul versante dell’onestà (che dovrebbe essere un prerequisito) sia su quello delle competenze, infatti anche il livello degli eletti incide sulla disaffezione nei confronti della politica. Non si può dire che l’attuale nostra classe politica, nel suo complesso, brilli per onestà e competenza, eppure si tratta di due qualità che dovrebbero essere indispensabili per accedere alle funzioni di legislatori o di governanti. Il fatto che non esista una vera selezione del ceto politico è molto grave per la tenuta della democrazia: accanto alle battaglie per diminuire stipendi e vitalizi, che pure hanno un senso, bisognerebbe pretendere una formazione e un tirocinio per l’accesso alle cariche pubbliche elettive: Gli eletti devono poi essere ragionevolmente remunerati, infatti la richiesta di una indennità ai deputati risale al Cartismo dei primi decenni dell’Ottocento, altrimenti solo i ricchi potrebbero sedere in Parlamento. Il problema più grave non è quindi quanto si spende per pagare i politici, ma la loro qualità, che deve essere “certificata” da organismi intermedi (partiti, associazioni, sindacati, università, ….) che operano nella società. Più complicato può essere reperire l’onestà, ma se un organismo sano si pone come filtro sarà possibile allontanare gli elementi spuri e intrallazzatori. Tra l’altro ciò consentirebbe alla politica di salvaguardare la propria autonomia dalla magistratura, ristabilendo una compiuta divisione dei poteri che viene messa a rischio quando la magistratura è costretta abitualmente a perseguire i politici corrotti. Certo se l’obiettivo è soltanto promuovere chi porta voti con qualunque mezzo, mai si uscirà dalla corruzione dilagante e avremo un Parlamento popolato di indagati, condannati in prima istanza e persino con sentenza definitiva!Se si mettono tra parentesi competenza e onestà, il criterio della scelta rischia di essere solo la bravura nel raccontare post-verità (cioè bufale che il popolo ama sentirsi dire) in una competizione a chi incanta di più l’elettorato.
E qui veniamo al nodo del “cittadino”: siamo certi che la società civile sia tanto migliore del ceto politico? Anche il cittadino ha bisogno di formazione e cultura politica per poter attivamente partecipare: la scuola deve fornire la struttura conoscitiva adeguata, ma è poi dovere di ciascuno dedicare tempo ed energie a informarsi su quello che sta avvenendo intorno a sé. Non si tratta di diventare specialisti della politica, ma di acquisire elementi sufficienti per smascherare la propaganda e comprendere la realtà. Tutto ciò costa in termini personali, ma è la premessa per poter vivere da cittadini consapevoli, che è certamente meglio che essere semplici consumatori della miglior offerta sul mercato della politica. Anche il cittadino deve essere onesto…e pagare le tasse (qui ci sarebbe tanto da dire!).
Infine siamo sicuri che aver tolto il finanziamento pubblico ai partiti sia stato un passo verso una migliore democrazia? La selezione del ceto dirigente e la partecipazione dei cittadini comportano costi in sedi, strutture, strumenti di informazione: la società deve essere pervasa da canali di intermediazione tra chi esercita il potere e chi dovrebbe controllare e partecipare, sia pure indirettamente. La democrazia ha un costo e la società deve risponderne, se non vogliamo che si giustifichino rovinose commistioni tra politica, banche, affari. Controllo rigoroso sulle spese, ma finanziamento pubblico a quegli organismi che consentono l’informazione, il dibattito e la partecipazione dei cittadini.
Condivido le speranze dell’autrice sul futuro, quando (forse) si riuscirà a inventare qualcosa di migliore. Personalmente non riesco a immaginarmi niente di diverso dall’attuale forma di voto e di elezioni che non leda qualche principio o diritto fondamentale dell’uomo, e credo che sarà proprio difficile scovare un’alternativa.
A tale proposito, comunque, mi sembra doveroso ricordare che, in tempi storici, il suffragio universale è stato un passo importantissimo per togliere un po’ di atavica boria ai detentori del potere di allora – presuntuosi eredi di titoli nobiliari immeritati e mal gestiti, spesso più prepotenti, incompetenti e disonesti dei politici contemporanei. Per affermare che costoro non erano al potere “per volere divino”, e quindi non avevano alcun diritto di decidere solo in base al loro interesse escludendo i sudditi, era indispensabile affermare il diritto del popolo a scegliere i propri governanti. Ciò che è mancato (e manca), a mio parere, sono state delle buone regole atte a garantire che le libere elezioni diventassero un reale strumento di democrazia e di progresso. Da un lato, ai politici non sono state richieste competenza e trasparenza/onestà, né ad essi sono state applicate precise sanzioni ed esclusioni definitive in caso di demerito o di frode; dall’altro lato (verso il basso) non è stata curata e incoraggiata la preparazione necessaria per scegliere consapevolmente i candidati che avrebbero dovuto promuovere democrazia e benessere.
Ma in entrambi i casi non c’è niente di facile. Chi giudica il valore e il merito dei politici e la preparazione degli elettori? All’università ho avuto alcuni professori scadentissimi, ma con un’ottima reputazione perché erano parte della “casta”. Ho conosciuto persone che hanno fatto carriere invidiabili perché erano servili verso i superiori o perché raccomandate da gente “che conta”. In epoca fascista il valore era attribuito in base al numero di figli e alla fedeltà al partito e al duce. Nell’antica Grecia c’è stata l’oligarchia, il governo dei migliori. Ma erano davvero migliori? Hanno mai pensato di abolire la schiavitù che umiliava un’intera categoria di esseri umani? E, sul fronte opposto, può un inesperto valutare la competenza di un economista o la qualità di una riforma sanitaria? E ancora, quanti cittadini bene informati e in buona fede hanno votato individui apparentemente onesti e hanno scoperto il doppio gioco dei loro beniamini solo quando sono scoppiati gli scandali?…
Mi fermo qui per non essere prolissa e ripetitiva, ma spero di aver spiegato chiaramente le ragioni delle mie perplessità nel ripensare al discorso sviluppato nell’articolo. Un discorso comunque interessante, perché lancia una sfida (filosofica, oltre che politica) nel clima di apatia dominante che rischia di produrre… mostri.
Avrei potuto scriverlo io questo articolo se ne avessi avuto le capacità che non ho . Questo per dire che mi ci ritrovo completamente ……esprime chiaramente con competenza e semplicità come la democrazia potrebbe essere rappresentata ….e come cittadini dobbiamo prenderne coscienza altrimenti nulla potrà mai cambiare ..complimenti all’autrice .