Nagorno-Karabakh – La pace che non arriva

Gruppo Corallo (a cura di Eraldo Rollando)
09-08-2017

“La pace, il progresso, i diritti umani, sono indissolubilmente collegati: è impossibile raggiungerne uno se gli altri sono trascurati”
                                                          Andrej Sacharov, premio Nobel per la pace

Una regione contesa da due Stati: Armenia e Azerbaijan.
144.000 abitanti (dati al 2011), di cui circa 110.000 concentrati nella capitale Stepanakert, è un Paese del Caucaso

Europa e Caucaso
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meridionale, prevalentemente montagnoso; la sua superficie è poco meno della metà della Sardegna. Il suo nome viene tradotto in Alto Karabakh o anche Karabakh montagnoso (Nagorno in russo significa montagna, e Karabakh è una parola turco-persiana che significa “giardino nero”); Lo Stato è oggi un’enclave di popolazione armena in territorio azero. Il suo nome ufficiale è, dal 20 febbraio 2017, Repubblica di Artsakh; con questa denominazione, a seguito di un referendum popolare, le autorità locali hanno inteso riprendere l’antico nome armeno già presente nel 180 a.c. e marcare ulteriormente la distanza dall’ Azerbaijan.
La Repubblica è di fatto uno Stato sovrano ma “a riconoscimento limitato”, essendo riconosciuta da solo 3 Stati: Abkhazia, Ossezia del Sud e Transnistria (quest’ultimo un territorio autoproclamatosi indipendente nel 1990 dalla Moldavia), anche loro non riconosciuti dall’Onu, e da nessun Paese aderente all’Onu.
Nel 1813, il territorio del Karabakh entrò a fare parte dell’Impero zarista Russo. Dopo la rivoluzione bolscevica del 1917, cadde sotto l’influenza dell’Unione Sovietica e, nel 1923, fu inglobato nella Repubblica Azera dell’URSS (attuale Azerbaigijan). La popolazione, in prevalenza formata da armeni cristiani si trovò sotto la leadership delle autorità azere di etnia mussulmana. la situazione politica era tutt’altro che tranquilla: quel “fazzoletto” di terra montagnosa era già stato motivo di aspre discussioni tra le repubbliche di Armenia e Azerbaigijan nel periodo 1918-20.
Il mondo conobbe il Nagorno – Karabakh circa 60 anni dopo, nel 1988, quando il suo Parlamento chiese di separarsi dall’Azerbaigijan per ritornare in quell’area più affine per popolazione: l’Armenia. L’Unione Sovietica, che in quegli anni cominciava a manifestare i primi segni di indebolimento politico, conobbe la prima rottura del mito socialista vincitore sul nazionalismo nel Nagorno – Karabakh; fu lì che ebbero inizio i primi fermenti secessionisti.

Nagorno-Karabakh
Nagorno-Karabakh

Nel settembre 1991, con il crollo dell’URSS, la regione autoproclamò la sua indipendenza dall’Azerbaigijan; la decisione fu confermata a dicembre con un referendum .
Lo scontro militare tra la Repubblica di Armenia e la Repubblica dell’Azerbaigijan, che non voleva perdere quel territorio, fu inevitabile e immediato, con conseguenze pesanti; nei sei anni di conflitto (1988-1994) il bilancio fu di circa 30 mila morti; circa 600 mila profughi si rimescolarono nell’area. La popolazione di etnia azera fuggì dal Karabakh e dall’Armenia e quella di etnia armena fuggì dall’Azerbaigijan.
Il 5 maggio 1994, con l’aiuto diplomatico di ONU, Russia, Iran e Kazakistan, fu firmato un accordo per la cessazione del conflitto.
Il tentativo di una vera pace, che di fatto non è stata ancora oggi raggiunta, ha avuto un percorso lungo e non compiuto. Si ebbero incontri nel 2004, nel 2007 e nel 2010, ma il rispetto del cessate il fuoco è stato ripetutamente interrotto da continui scontri con armi leggere, soprattutto alla frontiera con l’Azerbaigijan.

Mappa-Nagorno-Karabakh
Mappa-Nagorno-Karabakh (clicca per ingrandire)

Durante questi anni passati le rispettive frontiere hanno continuato a essere rifornite di armi, così come, da ambo le parti, sono stati riempiti i depositi di munizioni e armamenti pesanti.
Il fornitore principale dei due contendenti è la Russia. Vladinir Puntin, attuando la politica dei “due forni”, dà una dimostrazione quasi esplicita sul come sia conveniente tenere la regione in tensione, piuttosto che pacificarla: ne avrebbe l’ascendente, essendo state prima la Russia zarista e poi l’ URRS sostenitrici-padrone dei due Stati.
La situazione resta però congelata; sembra che gli attori in campo aspettino le reciproche mosse in un’atmosfera di guerra-non-guerra.
Da tempo un gruppo di lavoro opera per la ricerca di un compromesso di pace: nel 1992 la CSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa – formata da 57 paesi membri) ha creato il Gruppo Minsk, una struttura creata appositamente per il Nagorno-Karabakh, alla cui guida sono stati posti come co-presidenti tre Stati: Francia, Russia e Stati Uniti.
A tutt’oggi, non si sono avuti risultati apprezzabili, nonostante incontri continui e ripetute visite in Armenia, Azerbaijan e Nagorno-Karabak da parte dei presidenti del Gruppo.
Nell’autunno del 2016 anche Papa Francesco si è recato nell’area caucasica, visitando Georgia, Armenia e Azerbaijan. E’ stata una visita pastorale alle comunità cristiane, ma anche un segnale al mondo sulla necessità di attenzione a questa zona periferica, che viene spesso dimenticata e lasciata al suo destino.
Nell’aprile 2016 uno scontro tra i due contendenti ha fatto riecheggiare la guerra. Circa 30 soldati sono stati uccisi, centinaia di civili feriti e un numero elevato di abitazioni distrutte.
Lo scontro del 2016 è stato il più grave dal 1994. Secondo l’Armenia è stato l’Azerbaijan a lanciare un attacco con carri armati, elicotteri e artiglieria, mentre il governo azero afferma di avere solo risposto al fuoco degli armeni.
Sarà possibile trovare un’intesa? Non sembra ci siano ragioni economiche o religiose che giustifichino un tale contrasto: il Nagorno-Karabakh non dispone di risorse naturali importanti, le etnie cristiane e mussulmane sono convissute assieme per secoli. Sembra che prevalgano di più i rancori azeri, per aver perso una parte del territorio che riteneva (o forse, legalmente era) suo. Ma, secoli fa, chi è “arrivato per primo” nella regione? Recentemente il Presidente azero Ilham Aliyev ha avuto modo di dichiarare la sua ferma contrarietà all’indipendenza del Nagorno-Karabakh e la sua disponibilità a creare una provincia autonoma. Ma questa “uscita” sembra non avere avuto uditori.

L’area resta una zona critica per il Caucaso e per l’Europa, ma non solo. Nel Caucaso meridionale, lo spezzettamento che si è venuto a creare, nelle tre regioni statuali, Armenia, Azerbaijan e Georgia ha generato all’interno di esse quattro micro repubbliche, alle quali manca il riconoscimento internazionale e sempre pronte ad esplodere: Agiaria – Abkhasia – Ossezia del sud (enclave georgiane, nate da fatti bellici, riconosciute dalla Russia, ma non dalla Georgia), Nagorno-Karabakh conteso da Armenia e Azerbaijan sempre sul piede di guerra.
Nel Caucaso settentrionale abbiamo la Turchia che sostiene la Repubblica azera, non avendo ancora risolto con gli armeni il contenzioso del sempre negato “genocidio” degli armeni a opera dei turchi nel 1915, e la Russia che non ha ancora digerito definitivamente il problema delle sue turbolente repubbliche meridionali, (in prima fila la Cecenia), e non ha ancora dimenticato il drammatico distacco dal suo territorio da parte della Repubblica autonoma di Georgia. Un bel pentolone in ebollizione.

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