Sanità: qualche riflessione

Gabriella Carlon
13-06-2020
Sanità pubblica o privata? Le recenti vicende della pandemia coronavirus hanno suscitato riflessioni e polemiche. Il modello della sanità lombarda (pubblico-privato) è collassato, essendo del tutto impreparato a sostenere la pandemia; il modello veneto (anch’esso pubblico-privato) ha retto. Perché? Si è trattato solo di mancata e tempestiva demarcazione delle zone rosse o c’è dell’altro?

Cerchiamo intanto di ragionare su quale modello di sanità sarebbe in teoria auspicabile. Esistono, al momento attuale, tre tipi di sanità: pubblica, privata, privata-convenzionata.
A mio parere, essendo la salute un diritto universale, la sanità dovrebbe essere totalmente pubblica, pagata con la fiscalità generale. Si realizzerebbe così la solidarietà auspicata dalla Costituzione perché, in proporzione al reddito, tutti pagherebbero in egual misura: malati e sani che, beati loro, non hanno bisogno di cure. Modello altamente civile, che renderebbe i cittadini sostanzialmente uguali almeno davanti alla malattia. Tendeva a questo obiettivo l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale del 1978.
Di fatto ci sono poi le cliniche private-private dove si fanno curare i ricchi: se la spesa non incide sulla fiscalità generale, si possono anche concedere, per non far soffrire troppo i ricchi a causa della loro spiccata vocazione all’apartheid nei confronti del resto della popolazione.
Tornando al SSN: quando cominciò a soffiare il vento neoliberista, si passò gradualmente a una strisciante privatizzazione con l’istituzione del ticket nel servizio pubblico e un progressivo allargamento del privato – convenzionato, cioè un privato pagato dallo Stato. Non mi è concesso di capire il senso di tale operazione: perché lo Stato sovvenziona, per un servizio essenziale, i privati che ovviamente devono ricavarne un profitto? Per permettere a qualcuno di speculare sulla malattia di qualcun altro? E questo sarebbe civile o umano ?
Ci sono certo centri di eccellenza nel privato-convenzionato, ma mi pare ovvio che si cerchi di operare nei settori più redditizi, tralasciando tutto quello che permette profitti minori (pronto soccorso, prevenzione, terapia intensiva, medicina territoriale, ecc.). E che dire dello sfruttamento dello spazio in tali strutture (camere in cui è difficile muoversi) o la riduzione all’osso del personale infermieristico?
Tralasciamo di parlare delle deviazioni di tale sistema: tutti ricordiamo le incredibili vicende del Santa Rita o la condanna di Formigoni. Ma saranno davvero casi unici? Se l’obiettivo è il profitto, il criterio per fare interventi o accertamenti diagnostici, magari non invasivi, sarà lo sfruttamento delle attrezzature disponibili, piuttosto che la salute del paziente.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito a continui tagli alla sanità pubblica, fatto già gravissimo a fronte di una popolazione sempre più vecchia e sempre più bisognosa di cure. Inoltre in Lombardia si è straordinariamente incrementato e sovvenzionato il settore privato-convenzionato, tanto che le strutture di tal genere hanno enormemente aumentato i posti letto e l’erogazione di servizi. Il risultato è che se oggi vuoi prenotare una prestazione (che non passi dall’urgenza del pronto soccorso) devi rivolgerti a una struttura privata-convenzionata o devi farti curare a pagamento, magari nello stesso ospedale pubblico. Il modello lombardo ha istituito il super-ticket (recentemente abolito con disposizione nazionale), ha smantellato i presidi medici sul territorio e ha trascurato la prevenzione.
Lo slogan che propagandava questo tipo di sanità era che così il cittadino avrebbe potuto scegliere tra pubblico e privato, insinuando il retropensiero che “privato è meglio di pubblico”. Questo slogan è talmente piaciuto ai cittadini lombardi che per tre mandati hanno votato Formigoni, sostenitore del modello, come presidente della Regione. Evidentemente buona parte dei lombardi è convinta che la clinica privata sia meglio dell’ospedale, dove magari rischi di trovare un extracomunitario come compagno di camera. Comunque è vero che oggi il servizio pubblico è inavvicinabile per la lunghezza delle liste d’attesa, quindi se l’obiettivo era quello di dare la possibilità di scelta al cittadino, questo è totalmente fallito; se invece è stata un’operazione guidata e gestita dalle lobby del settore per favorire il business della sanità privata, allora è totalmente riuscito.

Pare che l’affidamento al mercato delle scelte riguardanti le strutture sanitarie abbia avuto un peso notevole nel disastro della sanità lombarda in occasione della pandemia, tanto che si costituirà una Commissione regionale d’inchiesta, la cui composizione si spera non venga scelta dalle stesse forze politiche che governano la Regione e che dovrebbero essere indagate.
Nell’emergenza si è fatto appello anche alle strutture private-convenzionate che, secondo la comunicazione rilasciata lo scorso 13 marzo dal Presidente dell’AIOP (Associazione Italiana Ospedalità Privata), hanno messo a disposizione 270 posti letto, come riportato nella tabella che pubblichiamo:

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricordiamo che la sanità privata assorbe il 40% delle risorse della sanità lombarda.
Molto più numerosi, nonostante i tagli, sono stati i posti in terapia intensiva nel settore pubblico nella regione, che in data 29 marzo 2020 erano 1.600, mentre nel 2018 erano 859.

Nella tabella seguente, I posti letto in terapia intensiva, Regione per Regione

Attenzione. La tabella non dice se il numero si riferisce solo ai posti letto del SSN o alla somma SSN + privati.

A detta del Presidente della Regione Veneto (intervistato il 25/5/2020 in un servizio di Report, RAI 3), il modello veneto Regione sarebbe diverso:non solo si è mantenuta la rete della medicina territoriale, ma il privato-convenzionato deve essere complementare al servizio pubblico, cioè deve aprire i reparti che sono necessari sul territorio, e in questo modo il mercato della sanità è regolato dal potere politico nell’interesse della collettività. Non so se sia davvero così, ma questo sarebbe un modello già meno disastroso di quello lombardo.

Spero che l’esperienza devastante vissuta in Lombardia porti a un sostanziale cambiamento di rotta che rafforzi la centralità della sanità pubblica.
Resto comunque convinta che la salute non sia una merce da trattare secondo le leggi del mercato. Sbaglio?

 

 

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