Si scioglie il gelo nel Corno d’Africa

Eraldo Rollando
08-07-2018
“sfida tra due calvi che si contendono un pettine”
Fu la definizione che il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges diede della guerra scoppiata nel 1982 tra l’Argentina e l’Inghilterra per il possesso dell’arcipelago delle Falkland (in spagnolo Malvinas), una colonia britannica a 250 miglia dalla costa meridionale dell’Argentina, poco lontano dal Polo Sud; isole desolate con qualche albero sparuto, battute da venti freddi, abitate da oltre un milione di pecore e circa 1500 sudditi di Sua Maestà, che il Paese sudamericano reclamava come suo possesso.
In totale furono affondate 15 navi, abbattuti 123 aerei e 24 elicotteri; si ebbero 800 morti e 1850 feriti.
Ne valeva la pena?
La stessa cosa si potrebbe dire dei due anni di conflitto (1998-2000) tra Etiopia e Eritrea e 18 anni di scontri di frontiera che hanno ucciso circa70 mila tra militari e civili e creato più di un milione di sfollati.

Eritrea-Etiopia Zone contese

La contesa era, ed è tuttora, su una polverosa striscia di confine scarsamente popolata e riarsa dal sole. L’accordo di Algeri, firmato nel 2000 dai due contendenti, non mise fine al conflitto, semplicemente lo diminuì di intensità, lo trasformò in continue e sanguinose scaramucce e gli mise il silenziatore.
L’accordo prevedeva anche il ricorso alla Corte di Giustizia dell’Aia che nel 2002, attraverso la Boundary Commission, assegnò il villaggio di Badme all’Eritrea e parti di territorio, seppure piccole, all’Etiopia.
L’Etiopia non si ritirò da Badme né accettò la rettifica della linea di confine.
Forse, però, ci siamo: il 5 giugno 2018, sulla pagina Facebook del Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiopico, il nuovo premier etiope Abiy Ahmed e il suo governo hanno annunciato che accetteranno i termini dell’accordo di Algeri per chiudere il contenzioso sulla frontiera. Finora era stata l’Etiopia a rifiutare l’accordo, proprio per il valore che aveva, nella visione etiope, quel villaggio di circa 1500 abitanti.
Badme non ha alcun valore strategico, isolato com’è in mezzo ad una pietraia resa arida dal sole; ma nel maggio del 1998, ad inizio della guerra, le truppe eritree si impossessarono di sorpresa del villaggio, nel quale una delegazione etiope stava trattando con la controparte eritrea questioni di frontiera rimaste aperte dopo la guerra d’indipendenza dell’Eritrea dall’Etiopia (1): con la fine degli scontri si scoprì che la delegazione etiope era stata uccisa. Esattamente due anni dopo, nel maggio 2002 una controffensiva etiope vendicò quei delegati e riprese possesso di quel villaggio che, da quel momento, acquisì un significato simbolico.
Una parte degli abitanti del villaggio, all’annuncio del Governo, ha preso subito posizione schierandosi contro; si tratta per la maggior parte di ex militari, veterani del conflitto, che non accetterebbero di vedere vanificato il loro sforzo e il sacrificio di molti loro commilitoni caduti.
“Perché dovremmo restituire il nostro territorio all’Eritrea? Per che cosa abbiamo combattuto?” Sono le domande che vengono poste, mentre la diplomazia internazionale sembra plaudire alla possibilità di pacificare quella parte dell’Africa che non ha pace da molti, troppi decenni.
Certamente i fatti degli ultimi vent’anni hanno contribuito a creare ruggine tra i due paesi; ma molta di più se ne era già accumulata nei precedenti 150, da quando l’Italia entrando nell’area, dapprima con passo felpato e successivamente con le armi, creò l’Eritrea chiudendo all’Etiopia ogni sbocco sul Mar Rosso.
Sono passate due settimane dal 5 giugno; il 20 giugno, in un giorno simbolico che ricorda i “Martiri etiopi” di Badme, Il presidente dell’Eritrea, Isaias Afwerki, ha annunciato che invierà una delegazione in Etiopia per colloqui di pace.
Sarà un processo lungo e pieno di ostacoli, ma una barriera ha iniziato a scricchiolare.
Dell’importanza di questa riappacificazione ha preso atto la stessa Unione africana (Ua), che ha comunicato prontamente la propria disponibilità ad assistere i due Paesi “in ogni modo possibile” nel processo di normalizzazione delle relazioni bilaterali. L’auspicio è che il ripristino della normalità tra questi due paesi possa, in qualche modo, portare a soluzione anche l’intricata vicenda della Somalia, dove da decenni quelli che vengono definiti “i signori della guerra” tengono sotto scacco l’intero paese per interessi personali.

(1) La guerra d’indipendenza eritrea ebbe luogo nel periodo 1961-1991. Causa ne fu la forzata annessione dell’Eritrea da parte del governo etiope dopo che, a fine della seconda guerra mondiale nel 1952, le Nazioni Unite stabilirono che l’Eritrea fosse federata con l’Etiopia mantenendo, comunque, la sua autonomia.

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