Tra Guerre e pace – i conflitti nel mondo

Gruppo Corallo
( a cura di Eraldo Rollando)
06-04-2017

“Due cose sono infinite:
l’universo e la stupidità umana.
E non sono così sicuro, per quanto
riguarda l’universo.”
                                                            (Albert Einstein)

I conflitti nel mondo

Quando si parla di guerra il nostro pensiero corre subito alle due grandi guerre mondiali del 20° secolo. Oggi nel mondo non ci sono, per fortuna nostra, grandi sconvolgimenti come quelli.
Ma, perché parlare, allora, di guerre? Quanto ne sappiamo? Dove sono? Sono tante? Sono poche? Se anche fossero poche , e tale non è, varrebbe comunque la pena di soffermarci per capire quanta gente, nel mondo, soffre per questo. E ha ragione Papa Francesco a dire che è in atto una “terza guerra mondiale a pezzi”?

Domande:

Quanta pace c’è oggi nel mondo?
Il concetto di pace è sempre un concetto molto relativo, in quanto dipende dalla “tranquillità” sociale di una nazione. La “tranquillità” o meglio, la sua mancanza, si posiziona in uno dei due stadi estremi: L’aggressione di un paese con una guerra e i tumulti politici o tribali interni.
Ora, alla specifica domanda, la risposta dipende molto dalla nostra percezione e, probabilmente, ci farebbe dire “tutto sommato non poca” essendo il nostro orizzonte condizionato e, soprattutto, limitato dagli avvenimenti maggiori che accadono e vengono rappresentati da giornali e, in modo particolare, dalle televisioni. A ben vedere non è proprio così, e vedremo perché.
L’altra domanda, allora, potrebbe essere:
Quante guerre sono in corso, oggi, nel mondo?
Sempre facendo memoria su ciò che “passa” quotidianamente sui media si potrebbe rispondere con un numero molto limitato: quattro, cinque o sei.
Anche in questo saremmo lontani dal vero. Infatti sono molte le “guerre” attive oggi.
Guerre che, a seconda del paese in cui si svolgono, possono essere declinate come guerre tra Stati, guerre civili, conflitti di natura secessionista, terrorismi, sommosse, lotte al narcotraffico, scontri, ecc.
Purtroppo i “luoghi della guerra” non si contano più.
C’è da aggiungere che in queste situazioni molte nazioni approfittano per arricchire i propri bilanci economici e/o per aggiornare la propria tecnologia militare, trafficando in armi con i paesi “in guerra”; alimentando, con ciò, un meccanismo perverso, cinico e iniquo.

Situazione:

Soldati
Si sta
come d’autunno
sugli alberi
le foglie.
                                           (Giuseppe Ungaretti)

Gli stati membri delle Nazioni Unite sono 193. Tra questi, l’ultima adesione è stata quella della Repubblica del Sudan del Sud nel luglio 2011 (di fatto, però, già appartenete all’ONU come Sudan – precedentemente stato unitario – dal 1956). Il nuovo Stato ha acquisito la sua indipendenza dal Sudan dopo due guerre civili e un referendum nel 2011.
Ci sono ,inoltre, quattro realtà territoriali che ambirebbero all’adesione, ma che sono bloccate per particolari ragioni sia interne che esterne e sono: Taiwan, Città del Vaticano, Repubblica Turco-Cipriota, Autorità Palestinese.
C’è da dire che la Somalia è presente nell’elenco ONU ma la sua rappresentanza è, di fatto, bloccata dalle numerose fazioni che si contendono il Paese con le armi.
Fonti diverse forniscono dati numerici di nazioni in guerra molto discordanti tra di loro, probabilmente per il significato che ogni fonte attribuisce ad un Paese “in guerra”.
In ogni caso, considerando il valore più basso esposto da una delle tre esaminate, sono moltissime.

Abbiamo visto che non è facile definire quando uno Stato è “in guerra” .
Il Sito Conflitti dimenticati (http://www.conflittidimenticati.it/), redatto a cura della Caritas Italiana e di Pax Christi, segnala 26 nazioni in guerra.
Per il Sito Linkiesta (http://www.linkiesta.it), sono oltre 30, che in termini percentuali sono il 15-16% degli Stati rappresentati all’ONU. A questo dato si aggiungono, poi, quelle che vengono definite “guerre ad intermittenza” che periodicamente si riaccendono dopo periodi di relativa tranquillità, come il conflitto israelo-palestinese, le rivolte interne del Bangladesh o in Uganda e in Congo, oltre che sommosse e scontri in vari Stati.
Secondo il Sito Guerre nel Mondo (http://www.guerrenelmondo.it/), che ha condotto un’indagine molto accurata e approfondita, a fine novembre 2016 sono 67 gli Stati coinvolti in guerre, sommosse, scontri. Ciò porterebbe la percentuale degli Stati “in guerra” a circa il 36% delle Nazioni aderenti all’ONU. Più di una su tre. Un numero veramente enorme, che per ridurlo servirebbero azioni forti che non si limitino a celebrare solo, la pur meritevole, “Giornata internazionale della pace” (La Giornata internazionale della pace, che viene celebrata il 21 settembre di ogni anno, è stata istituita il 30 novembre 1981 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tramite la risoluzione 36/67).

Palazzo dell’ONU

I conflitti in corso sono sparsi in tutti i cinque continenti.
Ma l’auspicio di interventi forti, per ripristinare una pace globale, è destinato a rimanere tale per lungo tempo, soprattutto a causa di quella che si potrebbe definire una “pandemia bellica” . Una soglia oltre la quale anche l’impegno delle grandi potenze, Stati Uniti, Cina , Russia e la fragile Europa (fragile politicamente, ma anche economicamente) sembra poco probabile, per il grave rischio di esserne coinvolte.
Un grave problema che emerge dall’osservazione degli Stati “in guerra” è quello dei bambini-soldato. Sono circa 250 milioni i minori esposti al pericolo, che vivono nelle zone colpite da conflitti.

Bambino soldato

Già nel 2007, con la prima Conferenza degli Impegni di Parigi (“Paris Committments”) per porre fine all’uso dei bambini (0-18 anni) nei conflitti armati, organizzata nella capitale francese da Unicef e Francia, si era cercato di analizzare il fenomeno per trovare sensibilizzazione e soluzioni. Una seconda Conferenza è stata organizzata, a dieci anni di distanza il 21 febbraio 2017,
(http://www.diplomatie.gouv.fr/en/french-foreign-policy/human-rights/children-s-rights/protecting-children-from-war-conference-21-february-2017/article/protecting-children-from-war-conference-21-02-17)
dagli stessi attori per « … non solo guardare a ciò che è stato realizzato, ma anche per concentrarci su ciò che resta da fare, per aiutare i bambini coinvolti nelle guerre.».
L’Unicef, nel suo sito, (http://www.unicef.it/doc/7362/65mila-bambini-soldato-liberati-dal-2007.htm) ricorda che in questi dieci anni passati, almeno 65 mila bambini soldato sono stati riportati alla vita sottraendoli a questa barbarie; ma che molto resta ancora da fare, citando dati che parlano di “circa 17.000 minori reclutati nel Sud Sudan dal 2013 a oggi, e circa 10.000 nella Repubblica Centrafricana. In Nigeria e nei paesi limitrofi, secondo dati verificati dalle Nazioni Unite, quasi 2.000 bambini sono stati reclutati da Boko Haram nel solo 2016. Nello Yemen, dall’escalation del conflitto (marzo 2015) a oggi l’ONU ha documentato quasi 1.500 casi di arruolamento di minori”. Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani, sono circa un migliaio i bambini reclutati nelle fila del cosiddetto Stato islamico. Da notare che i dati riportati rappresentano una piccola parte del problema minori in guerra.
Nel tornare ai Paesi in guerra segnaliamo di seguito i punti più critici.
La situazione di ogni Paese è riferita alla data di pubblicazione; eventuali aggiornamenti sono reperibili al Menu MONDO, sottomenu IN BREVE.

Africa: Il Continente nero, anzi rosso … di sangue
Quando gli elefanti combattono è
sempre l’erba a rimanere
schiacciata.
                                             (Proverbio Africano)

Diciamo subito che dei 54 Paesi che compongono l’Africa più della metà hanno governi dittatoriali. Una parte con caratteristiche “morbide” altri sono invece regimi duri, spesso durissimi. Questo contribuisce all’insorgere, quanto meno, di sommosse; ed è, senza dubbio, il continente con il maggior numero di conflitti attivi.
Il vero dramma dell’Africa è iniziato con la Conferenza di Berlino (1884-1885) con la quale le Nazioni europee si sono spartite l’Africa, dando il via al processo di colonizzazione che sarebbe cessato solo all’inizio degli anni sessanta del XX° secolo.
Per circa un secolo l’Africa è stata privata delle sue ricchezze naturali nonché culturali e politiche. Intere generazioni di africani sono state private della loro identità e obbligate a assimilare lingue e culture europee, alle quali erano e si sentivano estranee, alimentando conflitti tribali.
Ancora oggi, nel 2017, Il petrolio, i minerali preziosi, i minerali rari, i diamanti, immensi territori da adibire ad agricoltura sono sempre sotto il controllo di multinazionali europee e compagnie straniere (ultime arrivate quelle cinesi), con la complicità di governi e autorità locali.
Prende una forte stretta al cuore a guardare, oggi, alle vicende africane; e resta impossibile non essere, almeno emotivamente, coinvolti in tante tragedie fatte di distruzione, morte, sofferenza e migrazione.
Clicca sui link sottostanti,  per saperne di più:
Libia – guerra civile e terrorismo
Somalia – guerra civile
Nigeria – Tra guerra civile, sommosse e terrorismo.
Mali – Sommosse, colpi di stato e terrorismo jiadista
Repubblica Centrafricana – Tra colpi di stato e guerra civile
Repubblica del Sudan Sud – Guerre civili, fame e clima
Congo – Un territorio, due Stati
Etiopia – Grattacieli, investimenti e repressione
Mozambico – Tra pace e guerra civile
Egitto – L’incubo della sicurezza e del terrorismo.
Burundi – l’ombra del genocidio
Algeria – Una stabilità politica non completamente raggiunta. Minacce terroristiche

Emergenza: sete e carestia
Alle tragedie portate dalle guerre, dobbiamo aggiungere che una carestia di dimensioni bibliche sta letteralmente flagellando interi Stati. E’ in corso una crisi ambientale che sarebbe dovuta al fenomeno climatico conosciuto come El Niño, che ha provocato una prolungata siccità in tutta la zona già nel 2016 e sta avendo le sue conseguenze più disastrose a cavallo tra 2016 e 2017.
A fine gennaio 2017 a lanciare l’allarme è l’Onu e l’Agenzia Intergovernativa per lo sviluppo (Igad), che include i paesi dell’Africa orientale e del Corno d’Africa: ”Non abbiamo mai visto una cosa simile, milioni di persone lottano per sopravvivere”. Si parla di ventiquattro milioni di persone, delle quali la metà è in condizioni molto gravi, se non arrivano aiuti internazionali in tempi strettissimi.
A causa di siccità, temperature elevate e, in alcuni casi a guerre locali che impediscono l’arrivo dei pochi aiuti, la situazione è precipitata in Sudan, Etiopia, Sud Sudan, Somalia, Kenia, Uganda, Zimbabwe, Mozambico e Madagascar.
Dal Sud Sudan, Serge Tissot – rappresentante nel Paese della Fao (l’Organizzazione per il cibo e l’agricoltura dell’Onu) – ha dichiarato “Le nostre peggiori paure si sono realizzate … almeno il 20% delle famiglie in una zona ha pochissimo cibo, la malnutrizione acuta supera il 30% e i decessi sono altre 2 al giorno su dieci mila persone”.

Ma non tutto è perduto…
I paesi dell’Africa centrale (Angola, Burundi, Camerun, Repubblica Centrafricana, Gabon, Congo, Congo RD, Guinea equatoriale, Sao Tomé e Principe, Ciad, Ruanda) hanno creato fin dal 1983 una comunità economica (CEEAC) per facilitare gli scambi e creare sviluppo. Purtroppo a causa delle continue guerre, l’attività della CEEAC è stata inesistente dal 1992 al 1998, ma nel 1999 si è deciso di riattivarla per costruire, entro il 2025, uno spazio solidale di circolazione di persone, beni, servizi e capitali.
In seno alla CEEAC nel febbraio 2000, a Yaoundè, è stato creato il Consiglio di pace e di sicurezza (COPAX) per la prevenzione e la composizione dei conflitti. Il COPAX è dotato di un braccio armato, una forza multinazionale dell’Africa centrale, e di una forza non permanente, costituita da contingenti nazionali, per svolgere missioni di pace e di aiuto umanitario. Il COPAX è intervenuto nella Repubblica Centrafricana con due missioni d’interposizione, Micopax I (2008-2013) e Micopax II dal 20013. Purtroppo i risultati non sono ottimali.
La regione è molto ricca di risorse minerarie e petrolifere, oltre che di un notevole potenziale idrico e agricolo: l’autocontrollo dei conflitti, la pacificazione di tutta l’area, una saggia politica comune potrebbe consentire condizioni di vita dignitose a tutta la popolazione. (Fonte: Missione Oggi, Dicembre 2016)

Medio Oriente e Caucaso: sempre in bilico

Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola,
a mezzogiorno.

Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.

Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra:
per esempio,
la guerra
(Gianni Rodari)

E’ la regione più instabile e pericolosa del mondo: guerra civile in Siria e rischio dello “spezzatino” dello Stato; terroristi Islamisti del “Califfato” fra Siria e Iraq; lo Yemen e la sua guerra civile dimenticata; la Turchia in perenne conflitto armato con i Curdi del PKK; Israele e Palestina: due popoli e due Stati, di cui uno non vede ancora la luce; l’Iraq non ancora uscito dalla destabilizzazione post Saddam Hussein, colpito pesantemente dal terrorismo e con lo spettro di subire una tripartizione dello Stato; l’Afghanistan e la guerra infinita;
il Caucaso: sonnacchiosa area in fermento, meglio di tutto la seguente immagine rende l’idea di cosa bolle in pentola.

Dispute nel Caucaso
Dispute nel Caucaso (clicca per ingrandire)

All’interno di queste situazioni, le cancellerie di mezzo mondo forzano i giochi per fare prevalere i loro interessi.
In medio Oriente si verifica di tutto: rivoluzioni, guerre, gravi crisi politiche, Stati senza governi, divisioni settarie e rafforzamenti di vari gruppi terroristici.
E trattandosi, prevalentemente, di mondo arabo c’è, intanto, da capire quali sono le principali divisioni fra i popoli mussulmani: la divisione principale è tra Sunniti e Sciiti; non scorre buon sangue tra di loro. Per dirla con un’immagine suggestiva: sono , un po’, come cane e gatto; ma forse di più.
– In Siria la maggioranza è Sunnita.
– In Iraq si trovano Sunniti e Sciiti
– In Libano sono divisi tra Sunniti e Sciiti
– I Paesi del Golfo Persico (Arabia Saudita, Yemen e gli altri   minori) sono Sunniti
– L’Iran è Sciita
– I Palestinesi (in Israele) sono Sunniti
E questo spiega, almeno un po’, perché quella pentola continua a bollire.
Da ultimo, non è da dimenticare un fenomeno sovranazionale, di cui si è accennato sopra, che è rappresentato dal popolo curdo: sono circa 20/30 milioni di persone, prive di unità nazionale, distribuite a cavallo di Turchia, Siria, Iran e Iraq, nell’area denominata Kurdistan, che mirano ad uno stato unitario. C’è da immaginare che non appena questi paesi avranno superato le forche caudine dell’Isis-Daesh, si troveranno ad affrontare una nuova rivolta armata.
Clicca sui link sottostanti, per saperne di più:
Israele e Palestina – Senza un giorno di pace
Yemen – la guerra civile , quasi nascosta
Iraq – tra guerra civile e terrorismo: avrà mai fine?
Afghanistan – la guerra “silenziosa”
Nagorno Karabakh – la pace che non arriva
Siria: un girone infernale

 Europa: a est le cose non vanno

«Verrà un giorno in cui anche a voi cadranno le armi di mano! Verrà un giorno in cui la guerra vi parrà altrettanto assurda e impossibile tra Parigi e Londra, tra Pietroburgo e Berlino, tra Vienna e Torino quanto sarebbe impossibile e vi sembrerebbe assurda oggi tra Rouen e Amiens, tra Boston e Filadelfia.[…] Verrà un giorno in cui si vedranno questi due immensi gruppi, gli Stati Uniti d’America, gli Stati Uniti d’Europa posti in faccia l’uno dell’altro, tendersi la mano al di sopra dei mari […] (Victor Hugo, Discorso tenuto al Congresso della pace di Parigi, 21 agosto 1849)

 
Tempi duri, questi, per l’Unione Europea in crisi e alla ricerca di una rinnovata ragione solida per stare assieme.
Nata dal suo embrione, la Comunità Europea per il carbone e l’acciaio (CECA) nel 1951, e passata tra vari trattati, tra i quali giova ricordare il Trattato di Roma nel 1957 che ha istituito la Comunità Economica Europea (CEE), ha preso la sua attuale conformazione nel 1992 con il Trattato di Maastricht.
Oggi l’UE è uno strano “soggetto”, dove le divaricazioni sembrano avere maggior presenza delle alleanze: differenze ufficiali e differenze informali coesistono.
Tra le differenze ufficiali troviamo Paesi che non hanno aderito alla moneta unica (l’Euro), altri che non hanno sottoscritto i Trattati di Schengen sulla libera circolazione, altri ancora si sono chiamati fuori da pezzi dei Trattati.
Tra le differenze non ufficiali o informali troviamo i Paesi “riluttanti” del gruppo di Visegrad: Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria, quattro Paesi sul confine orientale, in continua contestazione di alcune regole di convivenza stabilite dall’Unione.
In fondo a questo elenco troviamo il Regno Unito che, con il Referendum del 23 giugno 2016, ha stabilito di volere uscire dall’Unione (Brexit).
Nel 2012 l’Unione ha ricevuto il Premio Nobel per la pace; nelle motivazioni si legge: “Il più importante risultato dell’Ue è l’impegno per la pace, la riconciliazione e per la democrazia e i diritti umani. Il ruolo di stabilità giocato dall’Unione ha aiutato a trasformare la gran parte d’Europa da un continente di guerra a un continente di pace”. Tra gli obiettivi dell’UE, il più importante è sicuramente quello di mantenere la pace all’interno, e non solo: da più parti si racconta che il continente europeo, dalla fine della seconda guerra mondiale, ha vissuto, e vive oggi, un lungo periodo di pace.
Ma è stato proprio così?
Sì e no: dipende a cosa guardiamo, a quali Paesi dell’Europa; molte “turbolenze” si sono registrate all’interno degli Stati che oggi compongono l’UE, e in alcuni altri all’infuori dell’Unione.
Ecco la sintesi:
Conflittualità in Europa   (clicca per aprire la pagina)

Eppure, a oriente, c’è chi farebbe “carte false” per entrare nell’Unione; di più: si è messo a fare la guerra.
Fuori dal confine, la pentola bolle: l’Ucraina.
Ucraina, una guerra congelata    (clicca per aprire) 

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