Ucraina, una guerra congelata

Gruppo Corallo (a cura di Eraldo Rollando)
30-01-2018

Da più di 4 anni l’Ucraina sta sperimentando un contesto di guerra-non guerra; la situazione si presenta estremamente complicata e poco raccontata dai media.

Un po’ di storia … per capirci.

 Molto tempo fa.
L’Ucraina, nei secoli passati, non ha mai avuto vita tranquilla; popoli di varia provenienza si sono istallati in queste terre per lunghi periodi impossessandosi di parti o di tutto il territorio .
Limitandoci agli ultimi mille anni, per lunghi passi, vediamo la presenza dei Rus’ (1) di origine scandinava attorno all’anno 1000; successivamente furono i mongoli a prendere possesso del territorio (nel 1240 Kiev fu distrutta); Fra il 1300 e il 1400 furono i lituani a prevalere; verso la fine del 1400 una forte ondata migratoria di Cosacchi si riversò nell’area; tra il 1500 e il 1700 il territorio era diviso fra tre gruppi “contendenti”: lituani-polacchi, russi, e ottomani in Crimea. I Cosacchi, rimasti in alcune aree, ebbero vita non facile, dovendosi sottoporre in parte alla Polonia e in parte alla Russia.
Durante l’arco del 1700, la Russia zarista prese il sopravvento acquisendo il controllo del territorio. Un po’ alla volta gli usi e la lingua, in prevalenza ucraina, vennero sostituiti da usi e lingua russa (soprattutto nei documenti, nelle istituzioni e nelle manifestazioni pubbliche). In quel periodo l’Ucraina ebbe un grande sviluppo agricolo tale da essere definita “il granaio d’Europa”.
I fatti più recenti.
Il periodo 1917-1922, durante la rivoluzione russa, fu segnato da rivolte nel paese e da un periodo di anarchia. L’Ucraina si smembrò in varie parti dando luogo a tre Repubbliche. Nel 1922, a seguito di trattative e della pace di Riga, entrò a far parte (esclusa una piccola porzione assegnata alla Polonia) della neonata Unione Sovietica (URSS).
Tra il 1929 e il 1933 una grave carestia, dovuta alla forzata collettivizzazione agricola imposta dall’URSS, generò milioni di morti per fame (il fatto viene definito come genocidio ucraino); per questa ragione, ancora oggi, buona parte degli ucraini nutrono forte risentimento verso la Russia. L’evento viene ricordato dallo storico Ettore Cinnella, uno dei massimi esperti italiani di storia russa, nel suo libro “Ucraina: il genocidio dimenticato 1932-1933” (Della Porta – 2015, pagine 304, euro 18,00).
Durante la seconda guerra mondiale fu invasa dalle forze dell’Asse, nell’ambito della Campagna di Russia; circa 30 mila ucraini si unirono all’esercito tedesco in contrapposizione all’Unione Sovietica, che non ha mai dimenticato il fatto.
La guerra finì come sappiamo e l’Ucraina rimase all’interno dell’Unione Sovietica come Repubblica socialista sovietica ucraina.
Tra il 1990 e il 1991, con il dissolvimento dell’URSS, l’Ucraina assunse il ruolo di Repubblica indipendente.

Ai giorni nostri.

 Posta tra Polonia, Slovacchia, Romania e Ungheria a Ovest e Bielorussia con Federazione Russa a nord-est, costituisce una sorta di “cordone sanitario” tra due grandi realtà: Europa e Russia.
La sua conformazione sociale ed etnica regala al paese due anime, una è rivolta verso l’Europa mentre l’altra, quella a est e a sud, sente prepotentemente l’influenza russa.

Ucraina – divisioni etniche linguistiche

Non possiamo immaginare l’Ucraina divisa in due, questo a causa dei particolari rimescolamenti avvenuti negli ultimi cento anni (abbiamo visto nei secoli passati a quali rimescolamenti è andata incontro), ma a sud-est l’anima russa reclama l’avvicinamento, se non l’annessione, alla “Madre Patria Russia”

    – Prima rivoluzione ucraina, la rivoluzione arancione.
“Rivoluzioni colorate”, è questo l’appellativo che molti media internazionali diedero ad alcuni movimenti pacifici, non violenti. Ebbero luogo, principalmente, in alcune ex Repubbliche dell’URSS e presero spunto,nella maggior parte dei casi, da elezioni ritenute condizionate da brogli elettorali o da proteste contro governi corrotti e/o autoritari.
Questi fenomeni hanno coperto un arco di circa 10 anni.
Non tutti questi movimenti ebbero successo. Quasi tutti, però, avevano adottato come simbolo un colore. (2)
Anche la Repubblica Ucraina ebbe la sua rivoluzione colorata.
Ancora una volta la vita degli ucraini non si presentava tranquilla: armamenti russi erano ancora presenti nel territorio, in particolare nucleari, e a Sebastopoli, in Crimea, era presente (e lo è ancora oggi) una base della flotta russa del Mediterraneo; il tentativo di avvicinare il Paese all’Unione Europea e alla Nato,che molti auspicavano, allarmava i russi; la situazione economica e sociale, conseguente alla mancanza di risorse energetiche, in aggiunta ad alti tassi d’inflazione, generava forti tensioni interne.
Dal 2000 al 2004 si ebbero 4 governi, alternativamente pro Europa e pro Russia.
Le elezioni del 2004, in cui venne eletto il filo russo Viktor Janucovyc, vennero accusate di brogli e dopo le proteste di piazza (la rivoluzione arancione, durante la quale ogni partecipante indossava un indumento di questo colore) vennero annullate dalla Corte Suprema.
Viktor Yuscenko, filo occidentale, vinse le elezioni successive e cercò di spostare l’asse politico verso l’Europa e gli Stati Uniti; fu sua la proposta di un patto di adesione all’Unione Europea che prevedeva il riconoscimento dell’Ucraina come economia di mercato, l’entrata nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, e l’avvio della procedura per l’ingresso nell’UE. La Russia, che non poteva ancora dimenticare l’abbandono delle tre ex Repubbliche nordiche (Estonia, Lettonia e Lituania) fece partire la sua reazione: aumentò il prezzo del gas fornito all’Ucraina passandolo da 50 a 230 dollari per metro cubo, deprimendo la già difficile situazione economica.
Ciononostante nel 2007, in un incontro Ucraina – UE, prese corpo il piano di istituzione di una Zona di libero commercio fra le due Entità.
Le schermaglie tra filo russi e filo europei, innescate dalla Russia, proseguirono tra ripetute elezioni politiche confermate o annullate, arrivando a superare i limiti della lotta politica e sfociando, in alcuni casi, in fatti gravi come l’avvelenamento con sostanze radioattive del Presidente Viktor Yuscenko.
Le elezioni del 2010 videro la fine dell’esperienza arancione, con il ritorno alla guida dell’Ucraina del filo russo Viktor Janucovyc.
    –  Seconda rivoluzione ucraina: Guerra civile.
Nel 2013 si ripresentò anche per Janucovyc il dilemma se confermare l’accordo con l’Unione Europea o mantenere la fedeltà alla Russia; nel timore di scatenare nuovamente la reazione di Mosca decise di non firmare, e questo degenerò in crisi sociale e politica. Presero nuovamente corpo le proteste pro Europa ma, presto, il clima non fu più quello della rivoluzione arancione; a Kiev, nel presidio costituito in piazza Maidan Nezaležnosti, assieme ai manifestanti di varia appartenenza e ceto si videro comparire alcuni partiti politici, sostenitori della causa europea: tra questi quello social-nazionalista Svoboda, che sarà accusato successivamente da Putin di avere promosso il colpo di stato.
La polizia represse duramente le manifestazioni e questo scatenò la reazione che prese i connotati di una rivolta antisistema.

Piazza-Maidan-moti-del-2014

 

 

 

 

 

 

In questa fase fu un partito di estrema destra a prendere il comando del movimento: il Pravyi Sektor.
Il Presidente, nel tentativo di fermare le proteste, concesse nuove elezioni ma non rimase nel Paese e il 23 febbraio 2014 lasciò l’Ucraina senza ritornarvi (c’è chi disse che fuggì), per rifugiarsi nella base navale russa di Sebastopoli, in Crimea; la Russia ebbe buon gioco nell’accusare l’UE e gli USA di avere incoraggiato e finanziato i rivoltosi. Cosa peraltro possibile, come non si può escludere che la Russia abbia approfittato della debolezza politica e militare degli USA, mai stata così bassa, e della confusione politica e istituzionale dell’UE per iniziare un braccio di ferro “per procura” con l’Occidente. E’ significativo come siano state fatte due narrazioni antitetiche dei fatti: quella russa “un colpo di stato” quella occidentale “una rivoluzione democratica”.
All’uscita dalla scena politica di Yanukovic seguirono la designazione di Petro Poroshenko come Presidente provvisorio filo europeo e nuove elezioni.
Le conseguenze non furono di poco conto. I rivoltosi ottennero:
– firma dei precedenti accordi UE-Ucraina;
– destituzione e incriminazione di Viktor Yanukovic che, come detto,” fuggì”;
– scarcerazione di Julia Tymosenko, una donna di 53 anni già oligarca dell’energia, già primo ministro, indagata dalla magistratura ucraina in controversi procedimenti giudiziari e condannata per abuso di potere;
– soppressione dei reparti speciali antisommossa della polizia, le Berkut (Aquile d’oro), responsabili di dure repressioni delle proteste antigovernative.
Durante i tre mesi di proteste (21 novembre 2013- 21febbraio 2014), che hanno
assunto le caratteristiche di guerra civile, si ebbero numerosi scontri e più di 100 morti. Questi fatti determinarono la dissoluzione dell’Ucraina unitaria, contrapponendo il nord-ovest filo europeo al sud-est filo russo; il risultato fu:
– crisi della Crimea, e successiva annessione alla Federazione Russa,
– guerra strisciante nell’Ucraina orientale (Donbas e Luhanks).
Gli stati europei, che già si erano dimostrati impotenti di fronte alla crisi jugoslava negli anni 90 del XX secolo, si dimostrano oggi quasi paralizzati di fronte alla crisi ucraina; per non parlare degli Stati Uniti. Ancora una volta, la politica di rivitalizzazione dell’impero russo di Putin incute timore.

La crisi in Crimea

 – L’influenza russa
Nel 1783 la penisola, che fu sede del Canato di Crimea (il Canato fu uno stato tartaro – crimeano dal 1441 al 1783), fu conquistata dall’impero russo zarista.
Dopo la Rivoluzione di ottobre nel 1921, con la nascita dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS), fu annessa alla Repubblica Federativa Russa e assunse il nome di Repubblica Socialista Autonoma di Crimea.
Durante la seconda guerra mondiale, nel 1942, venne invasa dalle truppe tedesche. Con la fine della guerra, una parte consistente della popolazione (inclusi parecchi italiani di Crimea), accusata dai russi di collaborazionismo con i tedeschi, venne deportata in Russia e in Uzbekistan. Parte della popolazione venne sostituita con immigrati russi e la Crimea perse il titolo di Repubblica per acquisire quello di “Oblast”, cioè Regione della Repubblica Russa.
Nel 1954 l’Unione Sovietica decise la cessione della Crimea, scorporandola dalla Repubblica Russa e incorporarla nella Repubblica Ucraina.
Nel 1991, con la dissoluzione dell’URSS, l’Ucraina divenne una Repubblica indipendente e alla Crimea fu assegnato la status di Repubblica autonoma di Crimea, all’interno dello Stato ucraino.
– 2014, l’annessione.
Nel 2014 la Crimea è stata annessa alla Russia, complice un referendum nel quale la quasi totalità dei votanti crimeani si è espressa a favore dell’annessione.
Contro l’annessione si è espressa tutta la comunità internazionale, ai più alti livelli istituzionali compreso l’ONU.
Analisti militari segnalano che in febbraio i russi effettuarono un’esercitazione militare non preannunciata con l’intento di mascherare i movimenti di truppe che sarebbero servite all’invasione.
– Il 23 febbraio il presidente ucraino Viktor Yanukovic, come abbiamo visto, venne destituito e fuggì in Crimea.
– Il 26 febbraio centinaia di uomini armati con uniformi simili all’esercito russo, e senza distintivi occuparono i due aeroporti: quello di Simferopoli, civile e quello di Sebastopoli, militare.
– Il 27 febbraio  alcuni uomini in divisa, anche questi senza segni distintivi di riconoscimento, fece irruzione nel Parlamento di Simferopoli, capitale della Repubblica autonoma di Crimea, issando sul tetto la bandiera russa.
Immediatamente dopo questi primi fatti, truppe corazzate russe entrarono nella penisola prendendo il controllo delle principali strade e impedendo alle forze militari ucraine di uscire dalle loro caserme; ciò in contrasto con l’articolo 2.4 della Carta delle Nazioni Unite, sottoscritta da tutti i suoi membri, e quindi anche dalla Russia. Di fatto una vera e propria occupazione, condotta con 16 mila uomini fra militari e paramilitari, avvenuta per “proteggere” la popolazione di lingua russa. La popolazione di Crimea si definisce per il 60 per cento di etnia russa, per il 25 per cento di etnia ucraina, mentre circa il 15 per cento è rappresentato da una minoranza islamica di origine tartara.
E’ lo stesso copione già visto nel 1956, con i fatti della rivolta d’Ungheria, quando i corazzati dell’Unione Sovietica corsero in aiuto dei “fratelli” ungheresi facendo più di 2700 morti, alcune migliaia di feriti e circa 200 mila profughi rifugiatisi in Occidente. Nel 1956 le proteste occidentali fecero sentire la loro voce, purtroppo inascoltata.
– il 14 marzo la Repubblica autonoma di Crimea celebrò un referendum per l’adesione alla Russia: con un’affluenza del 75%, il 96,6 % dei votanti dichiarò la sua volontà di secessione dall’Ucraina; non manca però chi afferma che fosse viziato da partecipazioni coatte e voti fasulli.
– il 18 marzo, 4 giorni dopo il referendum per l’indipendenza dall’Ucraina proposto dal governo filorusso (e considerato illegale dall’OCSE), la Russia annesse la Crimea.
L’invasione e la susseguente annessione alla Federazione Russa di Putin è avvenuta senza combattimenti e senza proteste, da parte occidentale, se non “di bandiera”.
Che l’annessione fosse pianificata dal Cremlino, molto prima che il referendum fosse celebrato, lo dimostra il fatto che, per collegare il territorio alla vicina penisola russa, non essendovi continuità tra il territorio russo e quello crimeano, è oggi in costruzione un ponte stradale e ferroviario, che sarà pronto tra il 2018 e il 2019, lungo 19 chilometri, attraverso l’istmo che separa il Mar Nero dal Mar d’Azov (Stretto di Kerch) e che collegherà la città di Taman sulla terraferma russa al porto di Kerch in Crimea. Costo dell’opera circa 3,8 miliardi di euro. Una cifra enorme,giustificata solo da ragioni politiche.
Fonti russe raccontano che la progettazione del ponte ha avuto inizio nel 2015. Tre anni da progettazione a inaugurazione, per una struttura di tali dimensioni, rappresentano un record da fare invidia anche alle molto laboriose maestranze cinesi.
– Successivamente alla proclamazione della secessione, il parlamento ucraino dichiarò la Crimea territorio temporaneamente occupato da forze esterne.
Nel frattempo la Crimea sta progettando anche la costruzione di una protezione del confine con l’Ucraina: una rete alta due metri e lunga 50 chilometri ; l’opera costerà circa 3 milioni di euro e sarà completata entro il 2017. Ne ha dato notizia l’Agenzia Ansa il 27 settembre 2017, riprendendo l’annuncio dei servizi di sicurezza interni della Russia.

Guerra nell’Ucraina sud-orientale (Donbass e Lugansk)

 Così come successe nel 2009 in Georgia, con la nascita delle Repubbliche separatiste dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia (non riconosciute a livello internazionale), nell’Ucraina sud-orientale nel 2014 si formarono, per auto proclamazione, due Repubbliche separatiste filo russe: la Repubblica Popolare di Lugansk e quella del Donbass (cuore carbonifero dell’Ucraina); anche loro non riconosciute dal governo di Kiev, né a livello internazionale.
Occorre qui precisare che le due Repubbliche occupano una parte molto piccola dello stato ucraino e poco meno della metà delle rispettive aree regionali (Oblast),

Ucraina: Aree controllate dai separatisti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ma il braccio di ferro tra governo ucraino e separatisti è molto forte.
Si parla poco di guerra, ma da quelle parti è in atto un vero conflitto tra le Forze Armate dell’Ucraina e i separatisti sostenuti dalla Russia; sul fronte sud-orientale l’Ucraina impegna oltre 60 mila soldati, un quarto di tutto il personale militare, in combattimenti che dal 2014 hanno lasciato sul terreno innumerevoli morti e feriti, da ambo le parti.
Un rapporto (vedi) dell’Alto Commissario per i diritti umani dell’ Onu (pag 15 paragrafo 35) parla di almeno 10 mila morti e 20 mila feriti tra il 14 aprile 2014 e il 15 agosto 2017.
Una notizia di fonte russa, diffusa da Repubblica.it  (vedi),  in un servizio  dell’agosto 2015, riferiva di 2000 morti e 3500 feriti russi in un periodo non precisato, ciò nonostante la Russia avesse sempre negato un suo coinvolgimento diretto negli scontri. Il mistero venne però svelato dallo stesso Putin nel dicembre 2015, avendo egli ammesso che già da un anno la Russia inviava aiuti militari agli indipendentisti; questi aiuti riguardavano anche armi pesanti.
Naturalmente gli USA non stavano a guardare: dal 2015 circa 300 “consulenti” americani addestrano i militari ucraini presso il centro addestramento di Yavoriv in Ucraina occidentale.

In Ucraina, più della Crimea data ormai per persa nonostante la posizione ufficiale del governo, è l’area del Donbass e di Lugansk a creare le maggiori preoccupazioni.
Il 6 aprile 2014, in concomitanza con gli scontri e le manifestazioni di piazza Maidan a Kiev e della secessione della Crimea, prese corpo una rivolta; a dare il via furono manifestanti armati che si impossessarono di alcuni edifici governativi nelle regioni del Donbass, Lugansk e Charkiv.
L’11 maggio 2014, in quelle regioni, fu celebrato un referendum per l’indipendenza dal potere centrale. I dati trasmessi dagli organizzatori segnalavano il SI tra l’85 e il 90% con un’affluenza di circa il 70%; sulla consultazione pare che fossero emerse gravi irregolarità:
Rai News (vedi)  segnalava che circa 100 mila schede già votate furono sequestrate a un gruppo di separatisti al di fuori dei seggi e che erano circolati forti sospetti di brogli.

A seguito di questi risultati solo le due regioni maggiori si proclamarono indipendenti; il Charkiv non partecipò al referendum.
il 5 settembre 2014, per trovare una soluzione al problema delle continue e cruente scaramucce tra indipendentisti ed esercito ucraino, presero corpo gli accordi di Minsk (Bielorussia). Venne firmato un Protocollo, definito successivamente “Minsk-1” , (vedi) tra Ucraina, Russia, Repubblica Popolare di Donetsk (NDR) e Repubblica Popolare di Lugansk (LNR) che prevedeva il cessate il fuoco, lo scambio di prigionieri e l’impegno da parte ucraina di garantire maggiori poteri alle regioni separatiste.
Come tutti gli accordi basati sulla poca fiducia reciproca, anche questo, presto, entrò in difficoltà a causa di continue “provocazioni” tra le parti.
Nel gennaio 2015 ripresero gli scontri su vasta scala: l’Ucraina si riaffidò nuovamente alla diplomazia internazionale. Con il protocollo di “Minsk-2”, firmato il 12 febbraio 2015, tra Russia, Ucraina, DNR e LNR, con la mediazione di Francia e Germania, vennero stabiliti nuovi accordi (vedi) .
Il “Minsk-2” ebbe l’effetto di fare cessare i combattimenti su larga scala, ma non impedì che focolai di guerra si accendessero e si spegnessero con frequenza quotidiana lungo la linea del fronte, e non solo, causando uno stillicidio di perdite umane.  
A quanto pare la dirigenza ucraina vede la situazione del paese con estremo pessimismo, forse delusa anche dalla mancata presenza in Ucraina dei responsabili statunitensi ed europei: all’assemblea generale dell’ ONU, tenutasi il 12 settembre 2017, il presidente Poroshenko si augura che l’Ente possa inviare i caschi blu come forza di interposizione e di peace-keeping. Ne da notizia la tv Euronews (vedi).
Di fatto, la guerra negli ultimi tempi sembra avere cambiato volto: alle armi convenzionali si sono aggiunti gli attacchi informatici e l’arma della propaganda, complicando la lettura di una situazione già di per sé complicata.
Francesca Sforza, inviata di La Stampa a Kiev la racconta nel suo servizio (VEDI). Pare, comunque, che il presidente Petro Poroshenko non abbia rinunciato al progetto di adesione alla UE e alla Nato; ne dà annuncio il 1 dicembre 2017 l’Agenzia di informazioni russa RIA Novosti pubblicando parte del suo discorso: “ … oggi abbiamo tutte le ragioni per credere che il peggio sia passato. Siamo fermamente impegnati nell’integrazione euro-atlantica e non dubitiamo nemmeno che nel prossimo futuro l’Ucraina organizzerà i referendum per l’adesione alla NATO e all’Unione Europea“. La Russia, probabilmente, non rinuncerà allo stato cuscinetto tra lei e l’area Nato.
Ma … a fine 2017 giunge dagli Stati Uniti la notizia che il presidente Trump, in controtendenza con il suo predecessore Obama, sarebbe in procinto di fornire al governo ucraino armi leggere (mai aggettivo più sbagliato fu coniato per un’arma) per difendersi dagli attacchi dei separatisti nelle zone del Donbass. Non si riesce a capire se questo rappresenti una gaffe o il desiderio incontrollato di un “apprendista stregone” di seminare zizzania. Molto più probabilmente si tratta di un modo spregiudicato e irresponsabile di fare business con la vendita di armi.

(1) da Wikipedia: Rus’ , (“uomini che remano” negli antichi dialetti scandinavi) è un termine introdotto durante l’Alto Medioevo per indicare le popolazioni scandinave che vivevano nelle regioni che attualmente fanno parte di Ucraina, Bielorussia e Russia occidentale. Oggi il territorio storico della RUS’ di Kiev forma i territori della Bielorussia, gran parte dei territori dell’ Ucraina, parte dei territori della Russia occidentale, di una piccola parte dell’est della Slovacchia e di una piccola striscia di terra dell’est della Polonia.

(2) le rivoluzioni colorate
Serbia e Montenegro – nel 2000, la Rivoluzione del 5 Ottobre
Iraq – 2003, la Purple Revolution
Georgia – 2003, rivoluzione delle rose
Ucraina – 2004, rivoluzione arancione (tutti i manifestanti con un indumento di questo colore)
Libano – 2005, la rivoluzione dei cedri
Kirghizistan – 2005, rivoluzione dei tulipani
Azerbaijan – 2005, inizialmente verde, poi arancione sulla scia dell’Ucraina.
Mongolia – 2005, moti di piazza: i manifestanti indossavano sciarpe gialle.
Bielorussia – 2006, moti di protesta definiti dai media Rivoluzione dei Jeans
Myanmar (ex Birmania) – 2007, la rivoluzione Zafferano
Iran – 2009, la rivoluzione Verde

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