Zoroastrismo

Giulia Uberti
15-10-2017

                                                     Le origini: Persia (Iran)
Zoroastro, Zarathustra per i Greci, nato a Bactra nel V-VI secolo a.C. fu un profeta persiano e fondatore dello Zoroastrismo. Si ritiene appartenesse ad una famiglia di cavalieri, gli Spitama. L’elemento essenziale della religione da lui iniziata è la distinzione fra bene e male e riguarda il mondo intero. Lo zoroastrismo fu religione nazionale in Persia dal periodo achemenide (559 a.C.) a quello sasanide (651 d.C.). Zoroastro fu teologo e filosofo rivoluzionario, capace di riformare in senso monoteistico, spirituale, ecologico gli antichi culti persiani. Condannò i sacrifici rituali, praticò il vegetarianismo, difese i diritti degli animali, soprattutto del bue, alleato archetipico dell’uomo nel lavoro dei campi.
Nel dodicesimo capitolo dello Yasna (una delle parti dell’Avesta, raccolta dei libri sacri iranici, ndr) viene detto che lo zoroastrismo è la fede delle acque e delle piante. Una fede che sta al cuore della bellezza del reale, e che serve a recuperare la sacralità della natura.
Lo zoroastrismo che esiste da tremila anni, compete con l’ebraismo per il titolo di primo monoteismo del mondo. Secondo Zarathustra l’unico dio, Ahura Mazda, è impegnato in un eterno duello con le forze delle tenebre, guidate dall’antidio Ahriman. Al fedele spetta il compito di scegliere fra luce e oscurità, e di contribuire con le sue azioni alla salvezza del mondo. Nella società zoroastriana vige la parità di genere, per i seguaci: uomini e donne sono uguali in tutto; l’impero persiano dei sasanidi per due volte fu guidato da regine. Anche i sacerdoti sono sia maschi che femmine». Usanze che non combaciano con l’Iran odierno. Le leggi sul matrimonio della Repubblica islamica stanno portando a un progressivo restringimento della comunità: Se uno zoroastriano sposa una musulmana, o viceversa, è sempre lo zoroastriano a doversi convertire all’Islam. Se lo si aggiunge al fatto che gli zoroastriani non praticano il proselitismo, i numeri dei seguaci di questo religione non fanno che decrescere.

A metà del VII secolo d. C. la Persia, (oggi Iran) era uno Stato politicamente indipendente, dominato da una maggioranza religiosa zoroastriana. Fino all’invasione araba e alla successiva conquista musulmana, lo zoroastrismo fu religione ufficiale di stato di quattro imperi persiani pre-islamici, l’ultimo dei quali fu l’ impero sasanide. Inoltre, lo Zoroastrismo è stato per secoli la religione dominante in quasi tutta l’Asia centrale, dal Pakistan all’Arabia Saudita, fino alla rapida affermazione della religione islamica nel VII secolo che causò la decadenza dello zoroastrismo. Tuttavia non si estinse, e piccole comunità zoroastriane permangono ad oggi in Iran, Tagikistan, Azerbaigian e India.
L’invasione araba, istituì l’Islam come religione ufficiale dello Stato e iniziò per gli zoroastriani un periodo di persecuzioni, discriminazione e molestie sotto forma di violenze sparse. Chi pagava la Jizya ( un’imposta detta di “compensazione”) era soggetto ad insulti ed umiliazioni da parte degli esattori delle tasse. Agli zoroastriani che venivano catturati come schiavi nelle guerre, veniva data la libertà solo se si convertivano all’Islam.
Molti templi, i grandi templi del fuoco, vennero trasformati in moschee, e i cittadini furono costretti a convertirsi o a fuggire. Molte biblioteche vennero bruciate e monumenti antichi andarono distrutti.
Lo Zoroastrismo viene definito anche Mazdeismo: con il termine Mazdayasna daēnā indicano la dottrina e con mazdayasna, indicano loro stessi come seguaci del dio creatore denominato Ahura Mazdā. Da qui la sua denominazione corrente di Mazdaismo o Mazdeismo, ritenuta come l’unica corretta da alcuni iranisti, stanziatisi in India, dato alla comunità etnico – religiosa d’origine persiana.

L’antichissima città di Yazd, (Iran) patrimonio dell’Unesco, oggi ospita circa quattromila fedeli. Il suo tempio del fuoco è il più venerato del Paese: la facciata è dominata dal “fravahar”, l’uomo alato che rappresenta la parte divina dell’anima umana.
All’interno, protetto da un vetro spesso, lampeggia il fuoco sacro.

Tempio del fuoco a Yazd
Tempio del fuoco a Yazd

Secondo gli zoroastriani il fuoco è un simbolo di Dio sulla terra. La leggenda vuole che quello custodito a Yazd arda ininterrottamente da millecinquecento anni. I sacerdoti, detti “mobed”, l’ hanno alimentato con legno di mandorlo e albicocco ogni giorno, per secoli, nascondendolo nei tempi più duri.

Gli abitanti sono tutti zoroastriani. Il capo di questa piccola comunità è proprio una donna, Delnavos Javanmardi: «Soltanto i vecchi sono rimasti qui, ormai. Le nostre famiglie si sono spostate tutte in città, e solo nei fine settimana il villaggio torna ad animarsi».
Delnavos vive in una casa tradizionale con pianta quadrata, ogni braccio a simboleggiare uno dei quattro elementi. Nell’atrio centrale, sovrastato da una vetrata, un albero protende le foglie verso la luce. Poco lontano sorge il tempio del villaggio: «Non abbiamo le risorse per mantenere un fuoco eterno come a Yazd, quindi accendiamo la fiamma soltanto durante le festività». Il marito della donna, lunghi baffi bianchi a incorniciare un volto segnato dal sole, discende da una famiglia di guardiani di Chak Chak, il santuario
zoroastriano abbarbicato sulle montagne all’orizzonte: «Per nove generazioni i suoi avi hanno reso servizio al tempio, se l’avesse fatto anche lui sarebbe stata la decima», racconta lei.

Il centro storico di Yazd, è uno dei più antichi del mondo, un dedalo astratto di edifici in fango, paglia e mattoni. Sui tetti svetta una foresta di torri del vento,

Torre del vento a Yadz
Torri del vento (Badgir) a Yazd

i “badgir”, che catturano l’aria rinfrescando gli interni durante le estati nel deserto. La vita della comunità qui si svolge alla luce del sole: passeggiando nel labirinto capita di incontrare un mercante zoroastriano con la “fravahar” in bella vista sull’insegna del negozio. La torre di Markar, uno dei monumenti più noti della città, fu donata a inizio Novecento da un facoltoso zoroastriano di Bombay. Nel quartiere attorno al tempio si trovano scuole e centri per anziani, istituiti, realizzati e gestiti dalla minoranza religiosa.
Nonostante tutto, l’antico retaggio di uguaglianza di genere resiste. Mazrae Kalantar è un villaggio in mezzo al deserto, qualche decina di chilometri a nord di Yazd, alle spalle di un complesso industriale per la produzione di ceramica. Una grande moschea sorge alle soglie del villaggio, ma quasi nessuno la usa per pregare.

Adepti in preghiera
Adepti in preghiera

Ogni anno, a metà giugno, migliaia di zoroastriani vengono in pellegrinaggio a Chak Chak. Il tempio è inchiodato a una parete di roccia, aperto a una veduta vertiginosa sulla valle sottostante. La leggenda vuole che Nikbanou, figlia dell’ultimo gran re sasanide Yazdegerd, si sia rifugiata in questa vallata per sfuggire ai conquistatori arabi e che Ahura Mazda l’abbia salvata facendola inghiottire dalle montagne. Il santuario si sviluppa attorno alla grotta in cui si sarebbe verificato il miracolo. Chak Chak è Il nome delle grotte, un’onomatopea per il rumore delle gocce d’acqua che da sempre filtrano dal soffitto della cavità. Il pianto della montagna per la principessa.
Il calendario zoroastriano è ritmato dai momenti liturgici. Alla vigilia del Nowroz, il capodanno persiano che tutti gli iraniani hanno ereditato dai tempi di Zarathustra, i fedeli salgono sui tetti e prima dell’alba accendono dei fuochi per dare il benvenuto ai fravahar dei morti, che in quella data tornano sulla terra. Quella notte i tetti di Mazrae Kalantar e degli altri villaggi zoroastriani si accendono di decine di luci.
I parenti defunti accompagnano l’esistenza degli zoroastriani. Chi ha avuto un lutto recente segna la propria abitazione con vernice bianca, lasciando l’impronta della mano, perché il passante possa dedicargli una preghiera.
Nel villaggio di Mobarake, a sud di Yazd, una famiglia sta celebrando il rito che segna un anno dalla scomparsa del suo patriarca. Il figlio apre la porta ai visitatori stranieri: «Venite, non importa che siate cristiani o musulmani, preghiamo tutti l’unico Dio».
Da un angolo della stanza si diffonde la litania che il mobed, (maestro della cerimonia) vestito di bianco, canta per l’anima del defunto. Parenti e amici alzano le mani al cielo per la preghiera, mentre l’incenso si spande nell’aria. «Non ci limitiamo a un funerale per i nostri morti – spiega il sacerdote durante il pranzo pantagruelico che segue la cerimonia -. Celebriamo un rito una volta al mese per dodici mesi, dopo la morte. Poi una volta l’anno, per trent’anni». Passata quella data, le anime lasciano l’intramondo cui approdano dopo la morte e ascendono ad Ahura Mazda. Ciò, ovviamente, se hanno operato bene: «Buoni pensieri, buone parole, buone azioni. Questa è la linea di condotta lasciataci da Zarathustra», commenta il sacerdote.

Torre del silenzio
Torre del silenzio

Fino a sessant’anni fa le usanze funebri erano diverse da oggi: le salme venivano portate in alte strutture circolari in mezzo al deserto, le torri del silenzio, in cui venivano spolpate dagli avvoltoi, le ossa venivano poi eliminate sciogliendole nella calce.

Portatori della salma
Portatori della salma

Così il corpo tornava interamente al creato. La tradizione è stata poi vietata dal governo, anche se molti zoroastriani la ricordano con nostalgia. Oggi i defunti finiscono in tombe di cemento, sigillate ermeticamente per impedire che il cadavere, impuro, contamini la natura. Le torri del silenzio, ormai inutilizzate, svettano dappertutto nel deserto che circonda Yazd.

                                                      Presenza nel mondo
Non esiste una documentazione archeologica sufficiente per ricostruire una cronistoria della diffusione dello zoroastrismo. Secondo la tradizione sono le generazioni successive al profeta a trasformare profondamente il suo messaggio.
Un tempo i seguaci della Buona Religione erano 40, forse 50 milioni. Nel mondo oggi sono rimasti poco più di 150 mila, secondo i dati di un sondaggio pubblicato due anni fa dal Fezana Journal, il periodico della Federazione delle Associazioni Zoroastriane del Nord America. «Negli ultimi venti anni sono avvenute conversioni in Svezia, Norvegia, Brasile, Venezuela, e poi in Uzbekistan, Tagikistan, le ex repubbliche sovietiche dell’Asia Centrale dove, dopo la caduta del comunismo, stanno riaffiorando le antiche tradizioni».
I suoi seguaci si trovano oggi in varie parti del mondo, dall’Iran, all’India, al Pakistan, fino ad arrivare a piccole comunità, sparse fra Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna , Australia e Italia.
Il gruppo più consistente è quello dei Parsi indiani – sceso peraltro da oltre 100 mila individui del 1921 ai circa 90 mila attuali. In India sono Zoroastriani fra gli altri, Zubin Mehta, il famoso direttore d’orchestra indiano, e la famiglia che possiede il colosso commerciale ed editoriale Tata che tra l’altro finanzia l’Università di Bangalore. Anche Freddy Mercury, al secolo Farrach Bulgara, il celebre cantante dei Queen.
Zoroastrismo in India – I Parsi

I fedeli della religione del profeta Zarathustra (o Zoroastro), in passato la religione più diffusa dell’Asia, sono oggi circa 150.000; molti vivono nell’India occidentale e sono chiamati Parsi.
“Una leggenda racconta che il sovrano indiano che voleva rifiutare loro l’asilo, si presentò con una ciotola di latte piena fino all’orlo, a indicare che il suo Paese era ormai troppo colmo, sul punto di traboccare. In risposta a ciò, un sacerdote fra i profughi aggiunse un pizzico di zucchero nel recipiente a indicare che la loro presenza non avrebbe fatto traboccare il vaso, ma avrebbe addolcito tutto il Paese. “
Oggi la più grande comunità degli zoroastriani che vive in India, non si è sciolta nel latte della cultura indiana. I Parsi costituiscono invece una minoranza che conserva alcune tradizioni specifiche, scomparse in Iran, tra cui quella di deporre i morti in modo che vengano mangiati dagli avvoltoi. E’ la cerimonia più suggestiva di questa antica religione, al funerale il corpo viene esposto sulle torri del silenzio, le dakhma, e offerto in pasto agli avvoltoi, questo accade nel ricco quartiere parsi di Bombay Malabar Hill che tutt’ora persiste.
La comunità Parsi concepiva tradizionalmente la morte come un trionfo temporaneo del male sul bene: entrando in un corpo, il demone cadavere contamina tutto ciò con cui entra in contatto.
La carne di un corpo morto diventa impura, una sorta di agente inquinante che corrode ciò che lo circonda. Doveva quindi essere creato un insieme di regole per smaltire i cadaveri nel modo più sicuro possibile.
Dal momento che gli elementi naturali come la terra, l’aria e l’acqua sono sacri, i cadaveri non potevano essere affidati alle acque né tantomeno seppelliti. Anche la cremazione è fuori discussione, dal momento che il fuoco è l’emanazione più pura e diretta della divinità.

Ingresso torre del silenzio Parsi
Ingresso torre del silenzio Parsi

Quindi venne sviluppato un complesso rituale, che prevede l’esposizione dei cadaveri agli uccelli rapaci ( i quali non toccando mai terra o acqua non avrebbero corrotto la purezza dell’elemento), che in un ultimo e misericordioso atto di carità, avrebbero spogliato l’anima dei suoi poveri resti mortali. Dopo la morte ogni differenza si appiana, quindi per tutti i defunti era previsto lo stesso trattamento. Venne elaborata una corretta tipologia architettonica al solo scopo di ritualizzare questo tipo di “sepoltura”. Le spoglie mortali vengono trasportate nel deserto dai cosiddetti nasellars , fin su delle colline di arenaria, per essere poi sistemati in costruzioni cilindriche dette Torri del Silenzio.

Zoroastrismo in Italia: Testimonianza
Un italiano racconta e scrive della sua conversione: Michele Moramarco ha 53 anni, di professione fa l’insegnante di psicologia alle medie superiori – Istituto Professionale Jodi -, ha appena finito di scrivere un volume sul cabaret dei Gufi; a chi lo intervista sorride cordialmente dall’altro capo di un tavolo imbandito con gioviale lambrusco e tortelli d’erbette, poco fuori Reggio Emilia. Eppure. Moramarco è uno dei rarissimi – non arrivano a 50 – dispersi di fedeli Zoroastro, che vivono in Italia.
«Sono stato educato in una famiglia cattolica – scrive Moramarco -. Già a 12 anni però la mia fede entrò in crisi. Un mio amico morì improvvisamente di leucemia, iniziai a chiedermi come fosse possibile che un male così insensato fosse ascrivibile a Dio». Dopo gli studi e una serie di esperienze diverse, sempre alla ricerca di un senso profondo della vita, a metà degli Anni Ottanta, l’incontro con il grande orientalista Alessandro Bausani e, attraverso James Russel, con i testi del Saggio Zoroastro.
“La voce di Zoroastro mi chiamava da tempo – scrive Moramarco – perché lì c’è la radice sana di tutte le religioni”. Oggi gli zoroastriani sono divisi fra i tradizionalisti più ortodossi, che non accettano matrimoni misti e conversioni, anche a costo di veder scomparire rapidamente le ultime tracce del loro culto, e i riformatori.
In relazione alle Torri del silenzio e al rito funebre scrive: «Vorrei poter finire così anch’io. Non è affatto un rituale barbaro, come pensano alcuni, ma piuttosto uno scambio di energia fra uomo e natura. E poi in tre ore al massimo tutto è finito: restano solo le ossa. Qualche anno fa Fulco Pratesi non a caso disse che sarebbero serviti più Zoroastriani in Italia per ripopolare di rapaci il nostro Appennino».
Chiedendosi se è ipotizzabile un futuro, in Italia e nel mondo, per i discepoli del Saggio dice «Lo zoroastrismo ama la lealtà, la trasparenza e l’ordine sia interiore sia esteriore. Non è un caso che in questo il mondo di oggi, confuso e oscuro, sia ridotto al lumicino. Ma la Buona Religione ci incita a sperare e a lavorare senza indugi per il “frashkart”, la rigenerazione del mondo».
I suoi seguaci si trovano oggi in varie parti del mondo, dall’Iran, all’India, al Pakistan, fino ad arrivare a piccole comunità, sparse fra Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna e Australia. Anche in Italia, pur trattandosi di una presenza piuttosto esigua, non mancano associazioni di zoroastriani.
Una è sita in Roma, presso una casa privata in via Monserrato, 7: Fondazione Zoroastriana il cui responsabile è il Dr Daeyush Bakhtiari: (bakhtiari@tiscalinet.it)

Link di approfondimento
La grande Mosche di Yadz
Presenze zoroastriane in Italia
I Parsi: gli eredi indiani di Zarathustra

 

 

 

 

Mondo