Gabriella Carlon
31-08-2021
Una risoluzione ONU del 28 luglio 2010, ribadita in diversi Rapporti dal 2016 al 2020, recita: “….il diritto all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari è un diritto dell’uomo essenziale alla qualità della vita e all’esercizio di tutti i diritti dell’uomo…”. Il principio interessante che viene affermato è che il diritto all’acqua discende dal diritto alla vita, essendo l’acqua un elemento indispensabile per tutti gli esseri viventi. Il diritto alla vita è il diritto umano primario e il diritto all’acqua è una sua estensione. Pertanto l’accesso all’acqua deve essere garantito.
Tale riconoscimento ha una lunga storia alle spalle: già il Codice giustinianeo (529 d. C.) aveva stabilito che “per diritto naturale sono in verità comuni a tutti le seguenti cose: l’aria, l’acqua corrente e il mare e, per lo stesso motivo, le coste del mare”. L’acqua non poteva appartenere alla proprietà di alcuni, ma entrava nella categoria delle res communes omnium cioè di quelli che chiamiamo beni comuni. Tali beni devono essere pubblici, non commerciabili in quanto fruibili universalmente per rispondere a un diritto garantito. Non possono essere fruiti solo da chi può pagare un prezzo, né possono essere esposti alla concorrenza, né possono generare profitti a vantaggio di chicchessia.
Eppure dal dicembre 2020 l’acqua è scambiata in Borsa sul mercato dei futures: la notizia è passata sotto silenzio.
L’acqua per uso domestico (acqua blu) è una piccolissima parte del consumo; le altre grandi aree di utilizzo sono: l’agricoltura, l’industria, la produzione di energia. L’OMS considera indispensabile un consumo giornaliero pro-capite di 40-50 litri al giorno, ma vari fattori fanno prevedere un aumento della domanda complessiva:
- l’aumento della popolazione mondiale che sembra inarrestabile;
- il cambiamento climatico che porterà siccità in varie zone del globo;
- il passaggio dal fossile al rinnovabile che aumenterà la richiesta di energia idroelettrica (si pensi solo alle auto elettriche);
- la conseguente costruzione di dighe che spesso non tiene conto dell’impatto economico-sociale sul territorio;
- un consumo smodato di acqua da parte di allevamenti intensivi e di certe colture agricole particolarmente nel Sud del mondo.
Si aggiunga infine il problema dell’inquinamento delle falde, spesso dovuto agli scarichi industriali che, conseguenza dello sviluppo, saranno sempre più diffusi sul pianeta.
La complessità dei problemi relativi all’uso dell’acqua comporterebbe una gestione globale che regolamenti in maniera equilibrata i diversi settori, mirando in primo luogo a fornire l’indispensabile agli usi domestici, quando ancora, secondo il Rapporto ONU 2021, una persona su 3 è priva di accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici connessi, con grave danno anche per la salute, soprattutto dei bambini.
Fin dal marzo 2008 l’Onu ha individuato la necessità di elaborare un Piano mondiale dell’acqua affidandolo a un Consiglio mondiale che indice un Forum ogni 3 anni e una Giornata mondiale il 22 marzo di ogni anno. Purtroppo al coordinamento di tale Piano partecipa un gruppo di multinazionali (Nestlè, Coca Cola, ecc) che ovviamente hanno come obiettivo il profitto. Ma può un bene indispensabile alla vita essere gestito da mani private?
Purtroppo anche la Banca Mondiale sollecita la privatizzazione, nel Sud del mondo, a vantaggio delle grandi imprese. La privatizzazione dell’acqua è un tassello di un progetto più vasto: la trasformazione dei diritti sociali (acqua, luce, gas, trasporti, istruzione, salute) in bisogni mercificabili che saranno soddisfatti dal mercato. Nei Forum mondiali sull’acqua avviene lo scontro per la definizione stessa di acqua: bisogno o diritto? Le multinazionali ovviamente si schierano per il bisogno che può essere soddisfatto dal mercato, e anche molti stati optano per il bisogno che può permettere grandi affari, però cresce il numero degli stati che sostengono il diritto; alcuni stati del Sudamerica hanno inserito il diritto all’acqua nella Costituzione.
In occasione della Giornata mondiale dell’acqua 2021 l’UNESCO ha pubblicato un Rapporto sui motivi della mancanza di acqua pulita per un terzo degli abitanti della terra. La causa fondamentale sarebbe il prezzo troppo basso. Si suggeriscono due rimedi: contabilizzare l’acqua come capitale naturale da incorporare nella valutazione economica (PIL) e dare all’acqua un prezzo di mercato. Si assiste insomma a una contraddizione: negli organismi mondiali afferenti all’ONU da un lato si affermano i diritti umani universali (tra cui l’acqua), dall’altro si ritiene che la loro realizzazione sia possibile affidandosi a quei meccanismi di mercato che creano condizioni di estrema e ingiusta disuguaglianza. Di fatto, essendo la domanda di acqua destinata ad aumentare, l’acqua diventa un bene scarso e dunque capace di generare profitti, anche attraverso la finanziarizzazione. Ciò giustifica l’approdo in Borsa.
I risultati di questa impostazione politica sono evidenti: in primo luogo le guerre per l’acqua sono sempre più estese e frequenti (1), perché domina la concorrenza e non la cooperazione tra i territori e gli Stati e inoltre l’acqua, divenuta merce, specie nelle zone di scarsità, diventa disponibile solo per chi può permettersela.
Infine la gestione privata ha interesse a incrementare i consumi, non a ridurli, mentre sappiamo che un bene scarso, e non del tutto rinnovabile, dovrebbe essere conservato con cura. Analogo discorso vale per gli sprechi dovuti alle perdite degli acquedotti: perché il privato, in regime di monopolio, dovrebbe fare investimenti per migliorare le infrastrutture?
L’argomentazione a favore della privatizzazione dell’acqua poggia sul fatto che la creazione e il mantenimento delle infrastrutture necessarie all’uso dell’acqua blu sono molto costose. Nel citato Rapporto dell’UNESCO si prevede che, per portare acqua potabile a 140 stati a medio e basso reddito entro il 2030, sia necessaria una spesa di 114 miliardi di dollari l’anno. Si dice anche che la gestione privata sia più efficiente di quella pubblica, opinione per altro smentita dai fatti in più occasioni a livello europeo, tanto che in numerosi casi si è tornati al pubblico (es. Parigi, Barcellona, Berlino).
I sostenitori dell’acqua come diritto vanno in direzione opposta a quella dei fautori del mercato: la garanzia di un diritto deve essere gestita dal pubblico come bene comune, attraverso organismi pubblici attenti al bene collettivo. La gestione dei beni comuni è notoriamente problematica: esclusa la gestione privata per le ragioni dette sopra, si pone spesso come alternativa la gestione statale che però, purtroppo, ricalca talvolta la gestione privata, con scarsa cura della manutenzione, nessun investimento, utilizzo dei profitti per altri scopi. Uno studio recente (2) esamina i risultati di diversi tipi di gestione: rivelandosi fallimentare quella privata come quella statale, sembra che un bene comune possa essere gestito dalla collettività, però non mancano i passaggi difficoltosi. Se infatti risultano positivi alcuni esempi in Sudamerica con piccole realtà, le difficoltà aumentano in grossi centri popolosi: ad Atene risulta impossibile la rappresentanza, a Salonicco si ricorre a un azionariato diffuso tra gli utenti che però difficilmente si accordano sulle decisioni concrete; migliore sembra il funzionamento a Napoli, dove si è creato un organo consultivo con la partecipazione di consumatori, dipendenti e rappresentanti della società civile.
Quanto ai costi, il Manifesto italiano del Contratto mondiale dell’acqua, ultima redazione a cura di R. Petrella (5), dopo aver ribadito che l’acqua è un diritto e come tale deve essere pubblica, propone che 50 litri a persona siano a carico della collettività attraverso la fiscalità generale; da 50 a 120 litri siano soggetti a un canone fisso; da 120 a 250 litri siano soggetti a una tariffa progressiva; sopra 250 litri sia sancito il divieto d’uso. I proventi ricavati dai consumi devono essere reinvestiti nelle infrastrutture necessarie alla captazione, produzione, distribuzione.
Ci auguriamo che questo sia, nel futuro, l’indirizzo prevalente.
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Note
Foto di apertura da La Fedeltà – settimanale del fossanese
1) Sull’argomento, si veda in questo sito al Menu Dossier – Oro blu, la corsa all’acqua di Eraldo Rollando
2) Avvenire 5 giugno 2021- articolo relativo allo studio di Andreas Bieler (Università di Nottingham), Fighting for water:Resisting Privatisation in Europe