Gabriella Carlon
11-02-2020
Se, come si è visto, è abbastanza chiara la definizione dei beni comuni, è invece problematica la loro determinazione: quali beni possono essere inclusi nella categoria dei beni comuni? Le risposte divergono a seconda di quanto ampia si consideri l’area dei diritti che devono essere garantiti.
La citata Commissione Rodotà così si è espressa: “…sono beni comuni, tra gli altri: i fiumi, i torrenti e le loro sorgenti; i laghi e le altre acque; l’aria; i parchi come definiti dalla legge, le foreste e le zone boschive; le zone montane d’alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i lidi e i tratti di costa dichiarati riserve ambientali; la fauna selvatica e la flora tutelata; i beni archeologici, culturali, ambientali e le altre zone paesaggistiche tutelate”. L’elenco è comunque esemplificativo e riferito alla situazione italiana, al fine di elaborare le opportune modifiche al Codice Civile.
Ritengo però che per la determinazione concreta dei beni comuni si debba ragionare in termini globali, partendo, come suggerisce la stessa Commissione Rodotà, da ciò che consente l’esercizio dei diritti fondamentali. La classificazione più inclusiva è quella proposta dall’Enciclopedia Treccani (vedi) che suggerisce tre categorie di beni comuni.
Il primo fondamentale diritto è il diritto alla vita. Dunque il cibo e l’acqua (oltre che l’aria) sono beni comuni primari. Ciò implica l’uso della terra, delle foreste, della pesca, in particolare per quelle popolazioni che traggono alimento direttamente dalle risorse naturali. Ma anche i semi selezionati nei secoli, il patrimonio genetico di tutti i viventi, la biodiversità appartengono ai beni comuni. Infatti ogni regione del pianeta dovrebbe essere in grado di sfamare i propri abitanti secondo una cultura tramandata di generazione in generazione, dovrebbe cioè godere della sovranità alimentare. Nel corso della storia si sono introdotte varie forme di compromesso intorno al bene terra (es. gli usi civici) ma ancora oggi non si trova un soddisfacente equilibrio tra privatizzazione della terra e sua destinazione universale. Eliminare la fame nel mondo rimane uno degli Obiettivi del Millennio che non trova realizzazione. Il diritto all’acqua è anch’esso quanto mai problematico, perché è fortissima la spinta alla sua privatizzazione; eppure è un elemento essenziale per la vita a tutte le latitudini. Ricordiamo che in Italia si è scelta l’acqua pubblica con il referendum del 2011, il cui risultato è stato però ampiamente disatteso.
Una seconda categoria di beni comuni comprende i beni globali: materiali (atmosfera, clima , oceani) e immateriali (arte, lingua, storia, cultura, bellezza, in una parola civiltà). I “Patrimoni dell’Unesco” rispondono in parte a questa classificazione. Tra i beni immateriali assumono oggi particolare importanza alcuni settori creati dall’inventiva umana: la conoscenza, la comunicazione (Internet), l’informazione in tutte la sue forme. Nei secoli passati la scienza era patrimonio collettivo, ma il suo legame sempre più stretto con la tecnologia, per la produzione di beni, ha condotto ad una progressiva privatizzazione delle scoperte scientifiche, oggi presidiate dai brevetti. Ma ha un senso privatizzare i principi attivi di un farmaco o più in generale una conoscenza che può essere di utilità collettiva?
Una terza categoria di beni comuni è rappresentata dai servizi sociali: casa, sanità, istruzione, trasporti, sicurezza, giustizia. Il maggior pericolo per tali beni è la privatizzazione che, riducendoli a merce, ne mette a rischio l’accessibilità universale. D’altra parte il nostro ordinamento giuridico garantisce i diritti civili e politici ma non quelli economico-sociali. Tale differenziazione è costitutiva anche per l’Unione Europea: i primi vengono recepiti nella Convenzione europea dei diritti umani (garantiti), i secondi sono oggetto della Carta sociale europea (enunciati ma non garantiti). In senso contrario vanno progressivamente le Dichiarazioni ONU che includono nel concetto di sicurezza il cibo, la casa, l’istruzione, la salute, la pensione.
Esiste una Dichiarazione universale (vedi) sui beni comuni, nata con il coordinamento di F. Houtart (1)
Come si vede il dibattito è aperto. Tocca aspetti concreti della vita di ciascuno di noi, implicando diverse concezioni del mondo e della società. Chi mira a ridurre le disuguaglianze tende ad allargare l’area dei Beni comuni, chi si affida alla Mano invisibile del mercato tende a restringerla.
Nota:
(1) F. Houtart (1925-2017) sacerdote belga, sociologo, docente all’Università di Lovanio.
Esponente di spicco dell’Altermondialismo e della Teologia della liberazione.
(2, continua)
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