Italiani brava gente … un mito infranto

Si stava celebrando la festa dell’Arcangelo Mikael a Debre Libanos, un centro spirituale della chiesa copta ortodossa, che si trova a ottanta chilometri a nord da Addis Abeba in Etiopia.
In quella metà di maggio del 1937 la preghiera venne interrotta dall’ira del Maresciallo Graziani, che si scatenò su religiosi e fedeli cristiani per vendicarsi dell’attentato alla sua vita; evento avvenuto la mattina del 19 febbraio del 1937 nella Capitale etiope, mentre si festeggiava la nascita di Vittorio Emanuele, primogenito di Umberto di Savoia.
E fu il buio per circa 2mila innocenti.

Eraldo Rollando
20-07-2020
Sui tragici fatti etiopici del 1937 la coperta dell’oblio collettivo contribuì a offuscarne la memoria.
Solo negli anni Settanta gli studi di Angelo Del Boca e Giorgio Rochat, attraverso i carteggi del Maresciallo Graziani e del generale Maletti, rivelarono gli eccidi perpetrati ma, nonostante la vicenda fosse stata finalmente dissepolta, ancora una volta calò il silenzio.
Ottant’anni dopo gli eventi si è iniziato a parlarne senza più i freni che avevano oscurato le vicende nel tempo. E a rompere il silenzio furono alcuni articoli apparsi sulla stampa tra il 2016 e il 2017 e dallo splendido film documentario di Antonello Carvigiani “Debre Libanos”, realizzato sulla base di ricerche e testimonianze raccolte sul terreno.
Nel gennaio 2020 l’Editore Laterza pubblica un saggio di storia contemporanea da un titolo che non lascia dubbi: “Debre Libanos 1937. Il più grave crimine di guerra dell’Italia”.
Il suo autore, Paolo Borruso, docente di storia contemporanea e storia della storiografia contemporanea presso l’Università Cattolica di Roma, ripercorre puntualmente non solo i fatti accaduti, ma anche il tempo successivo in cui la vicenda venne dimenticata. Periodo in cui la sua “dimenticanza” rispondeva ad esigenze di non mettere in discussione il mito di “italiani brava gente”, un mito duro a morire perché radicato nell’intimo della popolazione, di non ricordare come la Chiesa cattolica avesse appoggiato la conquista coloniale dell’Etiopia, e di non giungere al “redde rationem” con il fascismo, che alle elezioni politiche del 1958, attraverso il Movimento Sociale Italiano, partito fondato dai reduci della Repubblica di Salò, ottenne il 5,8% dei voti.

L’antefatto
Il 5 dicembre 1934, presso i pozzi di Ual Ual, al confine tra l’Etiopia e la Somalia italiana, si ebbe uno scontro a fuoco fra truppe italiane ed etiopi. Era il momento che Mussolini attendeva da tempo per lanciare la guerra di aggressione all’Etiopia.
Il 2 ottobre 1935, in un famoso discorso il Duce annunciò l’inizio della guerra all’Etiopia; non esisteva alcun motivo plausibile per farlo, non quel quasi insignificante incidente frontaliero di un anno prima, ma le esigenze imperiali e ideologiche del personaggio lo imponevano.
“Con l’Etiopia abbiamo pazientato quaranta anni! Ora basta!”: era questa la giustificazione, e si riferiva alla bruciante sconfitta subita dall’esercito regio nel 1896, nel precedente tentativo di impossessarsi dell’Etiopia, chiamata allora Abissinia, tra gli anni 1895-96.
E alla baldanza mussoliniana, come accennato sopra, non fu estranea la chiesa cattolica italiana: “nell’ottobre del ’35 “La Civiltà cattolica” pubblicò un’ampia rassegna sull’Etiopia religiosa, definendo il cristianesimo copto e il clero “ignorante e corrotto” … “l’esempio più tipico dell’imputridimento morale e del decadimento intellettuale di un popolo staccato da Roma per lo scisma e l’eresia” ( Paolo Borruso – “Debre Libanos 1937. Il più grave crimine di guerra dell’Italia”).
Così, il 3 ottobre dello stesso anno l’Italia rimise piede nel paese per spodestare il negus neghesti Hailé Selassié. In sette mesi le truppe italiane, forti di 550mila elementi, occuparono il paese. Presa la capitale Addis Abeba, il 5 maggio 1936 Mussolini dichiarò concluse le operazioni e proclamò la costituzione dell’Impero italiano di Etiopia, attribuendone la corona al Re d’Italia Vittorio Emanuele III. Il Maresciallo Rodolfo Graziani, che fino ad allora aveva diretto le operazioni, assunse la carica di Viceré d’Etiopia.
Le ostilità, però, non cessarono. Iniziò un lungo e sanguinoso confronto con la resistenza etiopica che portò l’occupazione, e il conflitto, sino al 1947.
In quel contesto, fu la resistenza a creare la premessa per i fatti di Debre Libanos.

Il pretesto
Il 19 febbraio del 1937, ad Addis Abeba, il viceré Rodolfo Graziani fu oggetto di un attentato.
Quella mattina si festeggiava la nascita di Vittorio Emanuele, primogenito di Umberto di Savoia.  Otto bombe a mano, lanciate da due giovani studenti di origine eritrea contro il palco imperiale, uccisero sette persone e ferirono seriamente Graziani.

Rodolfo Graziani nel 1940 (foto Wikipedia)

La reazione fu immediata e ferocissima. Il sito Acli.it riporta la testimonianza di chi in quei giorni era presente ad Addis Abeba: Angelo Dordoni, così ha raccontato, trent’anni più tardi, allo storico Angelo Del Boca: “Nel tardo pomeriggio di quel giorno, dopo aver ricevuto disposizioni dalla Casa del fascio, alcune centinaia di squadre composte da camicie nere, autisti, ascari libici, si riversarono nei quartieri indigeni e diedero inizio alla più forsennata caccia al moro che si fosse mai vista. In genere davano fuoco ai tucul (un semplice edificio a pianta circolare con tetto conico solitamente di argilla e paglia, tipico di molte regioni africane, n.d.r) con la benzina e finivano a colpi di bombe a mano quelli che tentavano di sfuggire ai roghi. Intesi uno vantarsi di “essersi fatto dieci tucul” con un solo fiasco di benzina. Un altro si lamentava di avere il braccio destro stanco per il numero di granate che aveva lanciato”.
Il conto finale delle vittime nella capitale, dal 19 al 21 febbraio 1937, arrivò a circa tremila, ma lo storico Giorgio Rochat, che negli anni settanta aveva studiato il carteggio Graziani-Maletti, ipotizza che il numero potrebbe avere raggiunto la cifra di seimila
Però, Il viceré Graziani, definito “il macellaio d’Etiopia”, e per questo inserito nella lista dei criminali di guerra dalla Commissione delle Nazioni Unite, non è ancora soddisfatto.
Vuole punire, per stroncare il morale degli etiopi, anche la chiesa locale di fede cristiano-ortodossa, che mantiene un rapporto privilegiato con il negus e con la popolazione.
Pianifica un raid per radere al suolo Debre Libanos e sterminare religiosi e laici che al monastero si riferiscono.

Il monastero prima del massacro – foto Alamy.it

Vite spezzate
Tre mesi esatti dopo l’attentato, a sangue freddo e con lucida follia, il Maresciallo Graziani dà il via al massacro.
Perché proprio li? Due i motivi:
– il primo sta nel fatto che gli attentatori, subito dopo, si diressero a Debre Libanos, nei cui pressi abitava la madre di uno dei due, forse per rifocillarsi prima di “prendere il largo”.
– Il secondo è più sottile e più perverso; Debre Libanos, la cui fondazione è attribuita al monaco Takla Hymanot nel XIII secolo, non era (e non è) semplicemente un monastero ma, per ragioni storico-religiose, il maggiore punto di riferimento delle comunità cristiane-ortodosse in Etiopia, il cuore della Chiesa etiopica (una parte minoritaria della popolazione era di fede mussulmana); in quel momento rappresentava un simbolo funzionale alla strategia aberrante del viceré.
Per giorni, tra il 21 e il 29 maggio del 1937, le truppe italiane, comandate dal generale Maletti, massacrarono almeno duemila persone (tutte, ovviamente, disarmate) tra monaci, preti e pellegrini che si erano radunate nel monastero per la festa dell’Arcangelo Mikael e di San Tekle Haymanot.
I documenti del carteggio Graziani-Maletti, e alcune fotografie eseguite da un tenente dell’esercito che aveva partecipato all’eccidio, documentano un accanimento e una barbarie che non sono inferiori alle azioni di rappresaglia da parte delle SS tedesche che operarono in Italia durante la seconda guerra mondiale.
“l’accanimento trovò terreno fertile in una propaganda (sia politica che ‘religiosa’) che andò oltre l’esaltazione della conquista, fino al disprezzo che cominciò a circolare negli ambienti coloniali fascisti ed ecclesiastici nei confronti dei cristiani e del clero etiopici, con pesanti giudizi sulla loro fama di ‘eretici’, scismatici.” (sito Acli.it)
Dopo il massacro e il saccheggio, la rimozione e il silenzio, per i quali lo Stato italiano non ha ancora fatto ammenda.


Il film-documentario di Antonello Carvigiani – (esclusiva TV2000)

Le scuse
L’Etiopia da tempo è in attesa.
Ma due voci sono finalmente emerse dal silenzio che ha avvolto la vicenda. Il febbraio scorso, durante la presentazione del libro di Paolo Borusso sulla strage di Debre Libanos, il presidente della Cei, il Card. Gualtiero Bassetti aveva chiesto “scusa ai fratelli d’Etiopia per la mancanza di rispetto che si ebbe per i loro padri”. E il ministro della Difesa Lorenzo Guerini aveva annunciato di “avere dato mandato di organizzare un viaggio in Etiopia entro quest’anno, immaginare un momento per rendere omaggio a Debre Libanos , alle oltre duemila vittime, per chiedere scusa e fare risuonare l’invito di riconciliazione lanciato dall’imperatore Hailé Selassié al termine della guerra e tradurlo in un atto simbolico ma ricco di significato”
Speriamo che la promessa del ministro Guerini non venga vanificata dalla recrudescenza del Covid-19 o dalle vicende politiche italiane, sempre in bilico tra nuove elezioni o rinnovati governi.

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