Nota per il lettore: l’articolo prosegue la sua analisi nella seconda parte con il titolo “Alcune ombre sulla presenza cinese in Africa” , alla quale si può accedere cliccando sul link posto al fondo di questa pagina.
“A salvare veramente l’Africa non saranno i fondi e gli aiuti. Salveranno vite umane, permettendo loro di sopravvivere, ma non salveranno la vita dell’Africa. Ciò che importa non sono i mezzi, ma le condizioni. Bisogna permettere all’Africa di ricostruirsi. Bisogna aiutarla a ricostruirsi. L’Africa deve essere prima che avere”. (Joseph Ki-Zerbo: Storia dell’Africa nera)
Giulia Uberti
22.06.2020
Secondo uno studio dell’istituto londinese di ricerca Chatham House, l’Africa dispone di quasi il 40% delle materie prime presenti al mondo, dei prodotti agricoli e delle riserve energetiche del pianeta. Possiede più del 10% delle riserve globali di petrolio, un terzo di quelle di cobalto ed altri metalli ed il 40% dell’oro di tutto il mondo
Questo, ovviamente, il lato dorato della medaglia. Dall’altra parte, nella zona d’ombra che tutto il mondo conosce, permangono arretratezza e povertà e la realtà di un continente dove si concentra il maggior numero di indigenti al mondo. Ad oggi, ancora due africani su tre vanno a dormire senza aver placato i morsi della fame.
Ma anche questa è l’Africa, tanti paesi con fortune differenti ma un’unica grande piaga.
L’Africa non è povera, ma ricca. Purtroppo poco rimane all’Africa di questa ricchezza. Indubbiamente i Paesi africani hanno benefici dagli investimenti stranieri, ma questi dovrebbero essere meglio regolamentati tramite leggi che oggi non hanno. Alle multinazionali viene permesso di razziare legalmente e molto di ciò che ricavano dal continente passa attraverso i paradisi fiscali. Secondo un’inchiesta di Al Jazeera, i cosiddetti “flussi fiscali illeciti” superano il 6% del Pil dell’intero continente, tre volte più di quanto l’Africa riceva in aiuti. Senza contare i 30 miliardi di dollari che queste società rimpatriano: tutti i profitti fatti in Africa ma prontamente trasferiti a casa madre, gestiti dalle piazze finanziarie europee, americane e, da poco, orientali.
Presenza cinese oggi:
La storia del colonialismo, e neocolonialismo, in Africa é conosciuta, si desidera qui di seguito esaminare un po’ quella che è l’attuale situazione che vede una massiccia presenza cinese in Africa.
Le comunicazioni e il commercio indiretto tra Cina e Africa risalgono a più di 3mila anni, come dimostrano i resti di ceramiche cinesi scoperte in varie regioni sparse dell’Africa, come Timbuktu nel Sahel, e la scoperta nel 2002 di una mappa cinese risalente al 1389, chiamata “Da Ming Hun Yi Tu” (mappa del grande impero Ming), che mostra che i navigatori cinesi hanno preceduto di circa un secolo Vasco da Gama e Bartolomeo Diaz. Ma a differenza degli europei, i cinesi hanno lasciato poche tracce dei loro passaggi in Africa.
La moderna immigrazione dalla Cina all’Africa è sorta sotto Mao Zedong alla fine degli anni ’50. Durante questo periodo l’ideologia comunista di Mao condusse la Cina in Africa per motivi puramente politici, avendo come filo conduttore la solidarietà con i nuovi paesi indipendenti, molti dei quali furono ufficialmente riconosciuti dalla Repubblica Popolare Cinese. I cinesi rimarranno quindi alcuni mesi o addirittura diversi anni sul suolo africano lavorando in vari campi: agricoltura, tecnologia, infrastrutture sanitarie.
Secondo Marta Marson, dell’Università degli Studi dell’Insubria “La presenza cinese in Africa ha radici profonde che, per limitarsi alla storia contemporanea, risalgono agli anni ‘50 e ‘60 del 900, con il supporto ai nuovi stati nazionalisti e socialisti e poi più ampio, dagli anni ’70 per ottenere voti alle Nazioni Unite e in funzione anti Taiwan. Dal 2000 però hanno raggiunto dimensioni notevoli e attirato crescente attenzione una serie di processi legati alla presenza cinese in Africa ed all’aumento dei flussi economici e finanziari connessi. La classificazione di tali flussi in termini di aiuti pubblici e investimenti privati non è facile, sia per il ruolo preminente dello stato cinese nell’economia, sia per l’approccio poco ortodosso della Cina rispetto agli standard elaborati dai donatori tradizionali.”
La Cina nel 2017 ha messo a capo del partito comunista Xi Jinping il quale al dire di Bechir Ben Yahmed (in Jeune Afrique del dicembre 2017): ” s’incammina dolcemente verso uno statuto di imperatore, paragonabile a quello che ha avuto Mao Zedong cinquantanni fa”
Oggi l’Occidente vede la Cina prendere un grande spazio in Africa, una presenza che sembra occupare un posto da forza dominante postcoloniale. La sua presenza, oltre ad essere pervasiva, continua con modalità piuttosto frenetiche. Due date possono essere significative, la prima coincide con l’incontro in ottobre 2000 a Pechino tra il Ministro degli Esteri e della cooperazione internazionale cinese e i suoi 44 colleghi africani. In quella data venne creato il Fondo per la cooperazione Cina-Africa. Da allora furono cancellati i dazi sulle importazioni di 190 categorie di prodotti provenienti da 29 paesi africani e contemporaneamente i manufatti cinesi accedevano ai mercati del Continente. La seconda data è del gennaio 2006 quando veniva presentato il documento programmatico: La politica della Cina in Africa. E’ un documento questo, che costituisce un fenomeno di ampia portata e in atto da anni, ma sempre più all’ordine del giorno in relazione alle riflessioni riportate riguardanti l’Africa. I capi di stato africani, i dittatori in particolare, ne sono stati affascinati. Infatti nelle parole del ministro degli esteri cinese, Lu Kang, rispondendo al presidente del Parlamento europeo spiega che: “ il concetto di colonialismo non esiste nella politica estera cinese, né nella sua filosofia diplomatica. Quello che unisce i popoli cinese e africano è stata la battaglia del continente africano contro il colonialismo europeo che è all’origine della povertà, delle turbolenze e di alcuni conflitti nell’Africa odierna”.
La Cina oggi è il primo partner commerciale dell’Africa. Le multinazionali di Pechino proseguono indisturbate la conquista del continente africano – con un piano di investimenti di oltre 60 miliardi di dollari – fatta di infrastrutture, delocalizzazione della produzione e manodopera, in cambio di risorse naturali. Nel 2016 sono cresciuti del 31% gli investimenti diretti non-finanziari delle imprese cinesi in Africa.
La modalità di penetrazione cinese in Africa è sotto agli occhi: grandi investimenti, progetti infrastrutturali faraonici, ma anche una capillare diffusione di piccole imprese commerciali locali che stanno penetrando nel tessuto intimo dei singoli paesi africani. Un piano astuto, che potremmo definire machiavellico, per ottenere le risorse essenziali per l’industria nel III millennio. Dietro l’espansione cinese sembra esserci un disegno ben preciso. La popolazione del Continente asiatico si avvicina oggi a più di un miliardo e 430 milioni di persone, una pressione che richiede sempre più materiali per la sua sopravvivenza. L’Africa offre diamanti, petrolio ma anche le terre rare, necessarie per l’industria elettronica, che sono la vera sfida del futuro. Pechino ha compreso che più della metà dei giacimenti mondiali delle terre rare si trova in Africa e che il loro monopolio darà un’arma economica senza eguali alle industrie cinesi che, di fatto, potrebbero strangolare gli approvvigionamenti industriali di molti Paesi occidentali. Secondo i Cinesi, l’Africa è un mercato interessante dove i governi locali, alla ricerca di investimenti stranieri, cercano una via nuova per sfuggire alle condizioni imposte dalle istituzioni industriali e finanziarie occidentali.
In relazione agli investimenti cinesi in Africa Eugenio Cavalieri, in Africa cinese del 31/05/2019, scrive : “La mole degli investimenti cinesi é incredibilmente complessa e difficile da analizzare anche data la poca trasparenza che da sempre caratterizza i governi africani (e le compagnie cinesi). Tuttavia, si possono suddividere gli investimenti asiatici in due filoni principali: da una parte ci sono gli investimenti diretti esteri, solitamente eseguiti per mezzo di compagnie legate da un filo diretto al governo cinese, e dall’altra ci sono una miriade di aziende private, di ogni dimensione e tipo, che investono le proprie risorse direttamente sul territorio africano. Infatti, uno studio del 2017 condotto dalla compagnia di consulenza McKinsey, riporta più di 10.000 compagnie attive nel mercato africano, sottolineando come la “ corsa all’Africa” tenga ancora banco tra gli imprenditori cinesi.
Dietro i miliardi di investimenti in Africa, si cela un nome su tutti: la China Export-Import Bank. Per mezzo dei prestiti elargiti da questa banca, che prendono spesso forma di investimenti diretti esteri, il governo cinese punta a sostenere la propria soft power nella regione africana senza andare a forzare troppo il polso africano – almeno al momento. Infatti, sebbene le cifre investite siano considerevoli e gli investimenti stessi altamente rischiosi, il colosso bancario cinese non applica tassi di interesse fuori dalla norma”.
Da anni la Cina investe, da un lato creando posti di lavoro e costruendo ospedali e scuole, dall’altro alimentando governi talvolta “corrotti”, di fatto ignorando la tutela e la dignità dei lavoratori ed il degrado ambientale connesso alle attività delle sue imprese su un territorio che tutto sommato non è il loro. Sembrerebbe esistere un disinteresse delle autorità africane che guardano al “poco ma subito”, con una popolazione disillusa di poter cambiare in maniera democratica lo status quo in cui convivono modernità, superstizioni ataviche, corruzione e poteri locali.
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(Prima parte, continua)
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“Alcune ombre sulla presenza cinese in Africa – seconda parte”