L’OMS smentisce i falsi miti sulla salute dei migranti

Adriana F.
13-02-2019
Meglio tardi che mai, verrebbe da dire. Arriva, infatti, in grande ritardo il primo Rapporto sulla salute di migranti e rifugiati, elaborato dall’Ufficio regionale per l’ Europa dell’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità). Presentato il 21 gennaio di quest’anno, il documento presenta il quadro generale della situazione, dopo quasi un decennio di sviluppo dei flussi migratori nel nostro continente.
Il rapporto dà innanzitutto uno sguardo alle cifre relative ai 53 paesi della Regione europea dell’OMS (che include Russia, Turchia, Israele e Kazakhstan). La popolazione dell’area è oggi di quasi 920 milioni di abitanti. Di questi, circa il 10% (90,7 milioni) sono migranti internazionali, in proporzione molto variabile all’interno nei vari stati: da più del 50% in Andorra e Monaco, a meno del 2% in Albania, Bosnia ed Erzegovina, Polonia e Romania. Tali numeri, comunque, risultano spesso sovrastimati nei paesi europei, visto che le cifre effettive sono 3-4 volte più basse di quelle percepite dalla popolazione.
Il primo mito da sfatare, secondo il rapporto, riguarda le destinazioni dei migranti: non è vero che essi scelgano sempre di raggiungere i paesi “più ricchi”. Al contrario, la maggior parte di loro (85%) vive nei paesi in via di sviluppo.
Rispetto al loro stato di salute, il rapporto smentisce il pregiudizio secondo cui il migrante sarebbe portatore di patologie esotiche e quindi un fattore di alto rischio per le popolazioni ospitanti. L’analisi dei dati mostra che migranti e rifugiati sono spesso in buona salute. È vero, però, che essi corrono il pericolo di ammalarsi lungo il percorso migratorio o durante la permanenza nei paesi di transito a causa delle cattive condizioni igieniche e ambientali dei centri in cui sono costretti a sostare. Lungo le rotte dell’emigrazione, infatti, aumenta il rischio di contrarre infezioni e malattie trasmissibili (tra cui le infezioni respiratorie), sia per mancanza di assistenza sanitaria, sia per sospensione delle cure nel corso del viaggio.
Secondo il rapporto, sono ingiustificati anche gli allarmismi per le patologie infettive riscontrate nei soggetti provenienti da specifici paesi, perché i rischi per le popolazioni ospitanti risultano molto bassi.
In generale si constata che i migranti tendono ad avere le stesse patologie diffuse in Europa e nel mondo occidentale, come ad esempio il diabete e i tumori. Questi ultimi, però, vengono spesso diagnosticati in fase avanzata, e quindi con prognosi mediamente peggiori della media continentale.
Molto diffusi sono, piuttosto, i disturbi post traumatici da stress, che riguardano in particolare i richiedenti asilo e i rifugiati, che hanno subito o sono stati testimoni di esperienze traumatiche.
Altri disturbi riscontrati di frequente sono l’ansia e la depressione, spesso associate alla lentezza dell’iter burocratico per le domande di asilo, che tengono a lungo i richiedenti nell’incertezza, nell’isolamento e nell’impossibilità di cercare un lavoro. I più vulnerabili, naturalmente, sono i minori non accompagnati, per i quali è altissimo il rischio di abusi e di sfruttamento. Non a caso tra i bambini si registrano tassi elevati di depressione e sintomi post traumatici da stress.
Un ambito che richiede grande attenzione è quello relativo alle vaccinazioni, perché difficilmente si può accertare se i migranti abbiano una completa copertura vaccinale al momento dell’arrivo. È quindi indispensabile che il sistema sanitario dei paesi ospitanti attui un serio programma di vaccinazioni di base, rivolto soprattutto ai bambini, ma anche agli adulti.
Un dato inquietante riguarda la trasmissione del virus HIV/Aids, che solo nella regione europea dell’OMS risulta ancora in aumento. La causa, però, non è da attribuire alla presenza dei migranti, bensì all’assenza di politiche di prevenzione e di controllo della malattia da parte dei singoli stati, soprattutto nell’Europa dell’Est.

In questo scenario, il rapporto dell’OMS individua tre principali fattori che limitano l’accesso dei migranti ai servizi sanitari dei paesi di destinazione: lo status legale, le barriere linguistiche e la discriminazione. Ridurre l’impatto di tali ostacoli è una delle grandi sfide che dovranno affrontare i sistemi sanitari dei paesi europei. E sarà bene che lo facciano presto, perché garantire a tutti il diritto alla salute non è soltanto un imperativo etico (salvare vite umane), ma è anche uno strumento fondamentale per proteggere la salute della collettività, e aiuta perfino a risparmiare sui costi futuri. L’affermazione non è un paradosso, ma un dato scientifico ampiamente riconosciuto: intervenire prontamente per curare una malattia evita che questa degeneri in forme più insidiose, molto più complesse e costose da curare.

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