Morire da bambini a Gaza

 

I minori vittime degli attacchi super-tecnologici di Israele sotto la lente di ingrandimento di una Ong, che analizza le conseguenze di un conflitto ormai cronicizzato nel territorio di Gaza

Giulia Uberti
16-01-2022
È da lungo tempo che siamo informati, sia pure limitatamente e solo attraverso canali specialistici, della situazione nello stato d’Israele e, in particolare, delle prospettive di vita dei bambini a Gaza, nel contesto di tensioni tra Palestina e Israele. Una situazione che potremmo proprio chiamare “guerra in atto”, in cui le vittime non sono soltanto i palestinesi adulti, ma anche i minori. A parlarne in modo dettagliato è la Ong “Defense for Children International Palestine” (DCI-P), che già nel 2014 aveva stilato un rapporto su quanto accadeva nella Striscia di Gaza.
Quell’anno, facendo riferimento anche a notizie diffuse dalle Nazioni Unite, la Ong riferiva quanto segue: “il 2014 è stato un anno che ha portato violenza, paura e perdite di bambini palestinesi della Striscia. L’offensiva militare israeliana durata 50 giorni tra l’8 luglio e il 26 agosto, denominata Margine Protettivo, ha ucciso 547 bambini, mentre altri 3.374 sono rimasti feriti, incluso 1.000 le cui ferite li hanno resi permanentemente disabili. In totale, secondo il rapporto, l’operazione militare ha ucciso 2.220 palestinesi, di cui almeno 1.492 civili. Da parte israeliana: cinque i civili israeliani morti, di cui un bambino, e 67 soldati.”
È noto a tutti come Israele sia capace di presentarsi al mondo intero come “vittima” per i propri morti in questo conflitto e, partendo da questa premessa, come sia sempre pronta a giustificare la smisurata potenza dei propri attacchi militari. Ma la realtà sembra essere ben diversa, stando alle informazioni raccolte attraverso altri canali (rilasciate da DCI-P nel corso degli anni) sulle numerose violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito israeliano, e in particolare sugli attacchi che colpiscono anche i bambini. Tali attacchi, sempre sproporzionati, utilizzano mezzi e strumenti tecnologici molto avanzati, e quindi molto devastanti, che devastano abitazioni civili, scuole e quartieri residenziali palestinesi. Gli interventi bellici israeliani, infatti, includono l’uso di droni, aeroplani, bombe a frammentazione, granate stordenti e attacchi di artiglieria (anche semovente), che causano la morte di adulti e bambini anche nelle loro case, per strada o mentre fuggono cercando riparo. Il tutto nel silenzio quasi totale dei media internazionali e nella più totale impunità.
Secondo la testimonianza della stessa Ong, anche il 2021 è stato un anno nero per i bambini palestinesi presi di mira dalla violenza dei coloni. In maggio, per 11 giorni le forze israeliane hanno bombardato la striscia di Gaza uccidendo 60 bambini. Inoltre, durante la pandemia da

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Covid-19, le autorità israeliane hanno imprigionato dei minori palestinesi, mantenendoli in restrizione amministrativa senza nessuna accusa specifica (vedere il box a lato, che riprende una notizia di Save the Children). Israele, dunque, sembra voler avere il dubbio onore di essere l’unico Paese al mondo che persegue sistematicamente tra 500 e 700 ragazzi ogni anno nei suoi tribunali militari, senza concedere loro alcun diritto a un processo equo.

Per chiudere la bocca alle fonti di informazione non governative, l’ultima mossa di Israele è stata quella di catalogare la stessa DCI-P e altre cinque Ong come “organizzazioni terroristiche” con un ordine firmato da Benny Gantz (generale e politico israeliano). L’accusa principale è che queste Ong siano legate al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, organizzazione politica da sempre protagonista delle lotte contro l’occupazione dei territori palestinesi.
C’era da aspettarselo perché i coloni non amano la pubblicità negativa: incoraggiati dallo stato, continuano ad attaccare i palestinesi e a impossessarsi delle loro terre, ma le conseguenze di tali azioni devono rimanere occulte all’opinione pubblica mondiale.
Fortunatamente esiste una mobilizzazione internazionale che si organizza per sostenere le organizzazioni libere, tra cui figurano anche due Ong italiane, Arci e Arcs, attive in Palestina in difesa dei diritti umani. Entrambe mantengono contatti con alcuni parlamentari del nostro Paese per predisporre un’interrogazione urgente al governo, affinché l’Italia assuma in tempi brevi una posizione e chieda la sospensione dei provvedimenti che mettono a rischio l’intero sistema dell’associazionismo palestinese e internazionale presente in questa terra quasi dimenticata. Anche le due organizzazioni italiane, peraltro, potrebbero essere messe al bando e ciò significherebbe la chiusura di uffici e sedi, il possibile arresto dei membri delle associazione e il divieto di ricevere fondi dall’estero per le loro attività e i loro progetti. Ma la loro reazione in questo frangente è stata ferma e coraggiosa: “ci muoveremo in raccordo con le reti europee di cui facciamo parte, – hanno dichiarato – perché l’intera comunità internazionale riconosca il sopruso, la limitazione della libertà di associazione e le violazioni dei diritti”.

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