Si torna a scuola

Gabriella Carlon
25-09-2021
Tutti gli alunni sono rientrati nelle aule e speriamo che ci restino per tutto l’anno. Giustamente la preoccupazione maggiore è la diffusione della pandemia. Visti i disastrosi risultati dell’anno scorso sul piano dell’apprendimento, della socializzazione e dell’abbandono scolastico, non possiamo che augurarci che possa proseguire la scuola in presenza.
Vorrei però fare una riflessione più ampia su  come la nostra scuola possa contribuire a formare cittadini democratici.

Il pensiero ottocentesco ha giustamente legato l’istruzione obbligatoria  al suffragio universale, in quanto, si pensava, solo cittadini scolarizzati e consapevoli possono votare con cognizione di causa. Le comunicazioni di massa, nel Novecento, si sono rivelate più efficaci dell’attività scolastica e hanno interferito con questo progetto, tanto che l’istruzione obbligatoria non ha necessariamente creato cittadini consapevoli; tuttavia è innegabile che la scuola statale abbia avuto una funzione importante nei processi di alfabetizzazione, integrazione e partecipazione alla vita collettiva.
Negli ultimi decenni, parallelamente alla destabilizzazione dei corpi intermedi, si è proceduto a cambiare di fatto obiettivo alla scuola, al di là delle dichiarazioni di principio: dalle “tre I” (inglese – internet- impresa) di Berlusconi alla “Buona scuola” di Renzi non è più la formazione del cittadino lo scopo primario dell’attività scolastica. Lo scopo primario è la formazione di forza-lavoro da immettere sul mercato.
Nessuno nega l’importanza della formazione professionale, ma può essere solo questo l’asse portante della formazione delle nuove generazioni? E’ solo questo l’aspetto da coltivare nel delicato passaggio dall’ambito della famiglia a quello complesso della società? Penso di no. Specie nella situazione di multiculturalismo in cui si trovano soprattutto le classi della scuola dell’obbligo, sembrano prioritarie integrazione, Intercultura, condivisione delle regole, educazione alla cittadinanza.
Credo che la funzione fondamentale della scuola statale sia quella di formare cittadini, che non significa solo  capacità di vivere insieme agli altri e di instaurare buoni rapporti con i compagni di classe, ma, via via a livelli sempre più profondi, di percepire che si appartiene a una società, a una storia, a una cultura inserite in un mondo che abbraccia l’intera umanità. E la scuola dovrebbe anche insegnare che la cultura ha un valore intrinseco, a prescindere dalla sua utilità e spendibilità sul mercato del lavoro. Eppure entrambi questi aspetti, cittadinanza e valore del sapere, sembrano assenti dalle ultime riforme del nostro sistema scolastico.
La Buona scuola prevede una scuola selettiva, governata dalla meritocrazia (senza tener conto dei livelli di partenza), e dalla competività tra Istituti, con finanziamenti privati che dipendono dalla capacità del Dirigente-manager di accaparrarsi sponsor, oltre che gli insegnanti migliori. Tutti gli ampliamenti dell’offerta formativa devono essere coperti dai finanziamenti privati: non si può non vedere il disegno di creare Istituti differenziati (di serie A-B-C…) in quanto i genitori meno abbienti non potranno certo concorrere ai finanziamenti ed eventuali imprenditori-sponsor cercheranno le scuole con gli utenti meno problematici. Chi vorrà finanziare le scuole di periferia e dei quartieri difficili, che più di altre avrebbero bisogno di arricchire l’offerta formativa? Si accentuano le disuguaglianze e, persino nella scuola statale, viene meno il principio di offrire a tutti gli alunni pari opportunità. Inoltre un imprenditore-finanziatore sarà interessato alla formazione professionale, ma perché dovrebbe auspicare formazione al pensiero critico, al sapere disinteressato o alla cittadinanza? Il meccanismo dei finanziamenti non è irrilevante ai fini degli obiettivi dell’attività scolastica.
In questo contesto di avvio alla privatizzazione della scuola statale, non si può non considerare il problema del finanziamento alla scuola paritaria. Aggirando in vario modo l’art. 33 della Costituzione, a seguito della Riforma Berlinguer, lo Stato versa alle scuole paritarie circa 500 milioni annui (1), a cui si aggiungono contributi vari da parte di Regioni e Comuni e il mancato introito fiscale dovuto alle detrazioni delle quote pagate dalle famiglie agli Istituti paritari (su queste ultime voci il calcolo risulta difficoltoso e le cifre sono alquanto variabili a seconda della fonte). I favorevoli alle scuole paritarie sostengono che in realtà lo Stato risparmia perché non sostiene i costi di strutture e personale per gli alunni della scuola paritaria (circa un milione a fronte di nove milioni della scuola statale), che sarebbero ben più alti di quanto attualmente versato. Al di là delle cifre, bisogna però esaminare il senso politico dell’operazione.
Quando i nostri governanti parlano di “scuola al centro”, di quale scuola stanno parlando?
Una scuola che si ponga come obiettivo prioritario formare al confronto con idee, culture, condizioni sociali diverse non può che essere pubblica. Ma una scuola paritaria, per la maggior parte confessionale, può perseguire tale obiettivo? No. Tutti noi abbiamo incontrato genitori che scelgono la scuola non statale per preservare il figlio da incontri spuri, come il venire a contatto con ragazzi di ceti sociali più bassi o, non sia mai, figli di stranieri, oppure dal confronto con valori e modi di pensare diversi da quelli familiari.
Ma se togliamo di mezzo gli obiettivi  propri di una scuola pubblica, che fanno solo “perdere tempo”, allora diventano logiche sia la privatizzazione della scuola statale sia la richiesta di un continuo aumento dei finanziamenti alla scuola privata-paritaria, che può essere, da questo punto di vista, più efficiente di quella statale nel formare individui competitivi e possibilmente vincenti. Vorrei osservare che se ci sono vincenti, ci sono anche perdenti, con buona pace della solidarietà e della coesione sociale.

Tutto torna: formiamo individui che abbiano una sola dimensione, quella economica, e usiamo le disuguaglianze per creare livelli di formazione differenti. Fortunatamente tanti insegnanti  non sono allineati a queste direttive e forse riescono ancora  a essere formatori di umanità.
———————————————————————————————————————————
Note
1) dato relativo all’ultimo anno scolastico pubblicato: 2016-17

Cultura e Società