Umano e disumano

Gabriella Carlon
18-12-2023
Stiamo vivendo tempi tristissimi, immersi in angoscia e smarrimento, perché accadono eventi che non hanno più l’impronta dell’umanità. Imperversano guerre in molte parti del mondo e la guerra è già in sé fuori dalla ragione, come sostiene l’Enciclica Pacem in terris, o fuori dall’umano, come sosteneva Erasmo da Rotterdam (1) fin dal 1500. Forse non esiste guerra in cui non si commettano “crimini”, certo non esiste nessuna guerra “umanitaria”, come sottolineava Gino Strada. Purtroppo molte persone continuano a pensare che la guerra sia un modo per risolvere le controversie. Finché questa mentalità sopravvive, l’umanità si trova immersa nel rischio concreto della sua autodistruzione.
Tuttavia, nel corso degli ultimi decenni, sono state fissate alcune regole a protezione dei civili inermi e si è creata la categoria dei “crimini di guerra” per porre un freno alla bestialità. Eppure assistiamo impotenti, nei conflitti più vicini alla civilissima Europa, ad azioni che non rivelano altro che ferocia, non solo contro i civili, ma addirittura contro i bambini. Quanto succede in Palestina è al di fuori di ogni normale azione di guerra, che sia massacrare i civili da parte di Hamas o bombardare una popolazione prigioniera da parte di Israele.
Lo sgomento fa nascere una domanda: che cosa può spingere gli esseri umani a tanta disumana violenza?
Se diamo uno sguardo alla storia, vediamo che un primo passo è la disumanizzazione del nemico: gli europei giunti nel nuovo mondo aprivano aspre dispute chiedendosi se gli indigeni avessero o no un’anima, cioè se fossero uomini o animali. Una forma attenuata di questo pensiero è il razzismo, che considera il diverso come appartenente sì all’umanità, ma di razza inferiore, quindi non portatore degli stessi diritti, bensì soggetto all’arbitrio di chi è “superiore” a lui.
Un altro fattore che induce alla disumanizzazione dell’altro può essere il fondamentalismo religioso: se la mia religione è la sola vera, chi ne professa una diversa è nell’errore e nella malafede, offende la divinità, dunque contro di lui si possono accendere i roghi.
Non so quanto fattori di questo genere possano influire sulla mentalità di alcuni israeliani e palestinesi; credo che motivi meno ideologici, come il possesso della terra e il controllo del territorio, abbiano forse la preminenza. Certo frange estremiste da entrambe le parti conducono a posizioni politiche che si negano reciprocamente il diritto a vivere in uno stato autonomo e sicuro. Non credo però che questo sia il pensiero della maggioranza della popolazione, anche se in questo momento si fa rappresentare da governi estremisti. Penso invece che forse la sofferenza disperata porti all’esasperazione, imbarbarisca i rapporti umani, anziché creare empatia e comprensione reciproca. Per gli israeliani, con alle spalle secoli di antisemitismo e l’orrore della Shoah, la paura e l’insicurezza di fronte ad attacchi ricorrenti spingono all’odio contro il nemico; per i palestinesi un regime di oppressione, che con un processo di colonizzazione permanente, sottrae loro la terra dove sono nati e dove vivono, non può che favorire nel lungo periodo la ribellione violenta.
Di questa tensione che dura da decenni è ampiamente corresponsabile la comunità internazionale che ha permesso che le delibere dell’ONU venissero disattese e ha tollerato l’insediamento continuo di sempre nuovi coloni nel territorio palestinese. Il diritto alla difesa è diventato il “diritto alla vendetta” con ogni mezzo, senza pietas e senza umanità. Anche in una situazione così drammatica,  la comunità internazionale non aiuta i due popoli a superare i comportamenti istintivi per riportare ragionevolezza e avviare a una pacificazione. Assistiamo invece allo schierarsi da una parte o dall’altra. Il segretario dell’ONU che cerca faticosamente una posizione super partes viene sbeffeggiato e deriso; chi sottolinea che i palestinesi sono la parte più debole e oppressa da molti decenni viene tacciato di antisemitismo, e intanto atti di vero antisemitismo si diffondono in tutta Europa.
Neanche sul “cessate il fuoco” si raggiunge l’unanimità negli organismi internazionali, a riprova di quanto siamo incapaci di considerare ogni essere umano appartenente a una comune umanità, portatore di diritti universali e innanzi tutto del diritto alla vita. D’altra parte mai le “vendette” di Israele (come la costruzione del muro) sono state sanzionate dalla comunità internazionale con efficaci provvedimenti politici, anzi, al di là di una indignazione di facciata, hanno sempre ottenuto una reale copertura da parte dell’Occidente, come la stanno ottenendo anche in questo frangente.
Tutto ciò procura grande angoscia, perché si cerca solo la vittoria e non la pacificazione di due popoli, che sono comunque destinati a convivere su quel territorio. Vorrei che si potessero difendere i civili palestinesi pur condannando gli atti terroristici di Hamas e che si potessero condannare gli atti criminosi del governo Netanyahu senza essere accusati di antisemitismo.
“Due popoli e due stati” può rappresentare forse una fase intermedia, non so quanto praticabile oggi dopo l’insediamento di tanti coloni ebrei in Cisgiordania; ma la soluzione non può che essere uno stato laico, né ebraico né islamico, dove i due popoli possano convivere alla pari, rispettandosi reciprocamente come esseri umani.

Il Mediterraneo, “culla di civiltà”, oggi è diventato il cimitero dei migranti, il campo di battaglia di una guerra fratricida in Ucraina e della catastrofe di Gaza. Che cosa ci sta succedendo ?

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Note: 

 1) Del 1508 è la prima stesura e stampa del “Dulce bellum inexpertis” (Chi ama la guerra non l’ha vista in faccia), in cui scrive: “Anche i grammatici hanno intuito la natura della guerra: alcuni sostengono ch’essa si chiama bellum per antitesi, perché non ha niente di bello né di buono… Altri preferiscono far derivare la parola bellum da bellua, belva: perché è da belve, non da uomini, impegnarsi in uno sterminio reciproco. Ma a me, definire animalesco e bestiale un conflitto armato, sembra ancora inadeguato. In effetti, gli animali vivono per lo più concordemente e socievolmente all’interno della propria specie, si muovono in gruppo, si difendono e si aiutano reciprocamente. … Cane non mangia cane; il serpente non aggredisce il suo simile; v’è pace tra le bestie velenose. Ma, per l’uomo, non c’è bestia più pericolosa dell’uomo”.

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