Un dubbio

Gabriella Carlon
22-01-2022

Lo scorso dicembre il Parlamento europeo ha insignito Alexej Naval’ny del Premio Sacharov, che è stato ritirato dalla figlia perché il titolare è, in Russia, privato della libertà e condannato al carcere per vari reati, ma verosimilmente anche per motivi politici.

Aleksej Naval’nyj nel 2017 (Wikipedia)

Il premio, come è noto, dal 1988 onora gli individui e le organizzazioni che operano in difesa delle libertà fondamentali (inclusa quella di espressione), attirando così l’attenzione sulle violazioni dei diritti umani. Tuttavia confesso che la decisione di fare di Navalny un martire della libertà di pensiero mi lascia perplessa.
Siamo certamente in presenza di orientamenti politici diversi: Putin cerca di restaurare, attraverso la Federazione russa, un impero multietnico di memoria sovietica, mentre Naval’ny propugna l’identità nazionale russa con accenti populisti che condannano la corruzione dilagante. Ma, se è vero quello che di lui si dice su Internet (Wikipedia e altri siti), Naval’ny sarebbe anche un sostenitore del nazionalismo più spinto, xenofobo in maniera anche molto volgare e non estraneo a manifestazioni in compagnia dei neo-nazisti: per questi motivi dal febbraio 2021 Amnesty International, pur continuando a chiedere la sua liberazione, non considera più Naval’ny “prigioniero di coscienza”, cioè persona privata della libertà a causa delle sue opinioni o di discriminazione e che non abbia usato violenza e non ne abbia invocato l’uso.
Alla luce di tante perplessità suscitate dal personaggio, forse sarebbe stato più  opportuno non tributargli un’onorificenza tanto prestigiosa, assegnata in passato a soggetti di ben altro significato simbolico, tra cui Nelson Mandela, Alexander Dubček, Reporters Sans Frontières, le madri dei desaparecidos in Argentina e i difensori dei diritti delle minoranze in Cina.
Il Parlamento europeo ha forse accertato che la condanna non sia fondata su validi motivi?  O nell’attribuire il Premio Sacharov sono prevalse le motivazioni di politica spicciola e di propaganda?
Propenderei per quest’ultima ipotesi, ma temo che la strategia per cui “il nemico del mio nemico è mio amico” non sia sempre positiva, anzi può perfino essere pericolosa. O sbaglio?

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