Un mondo in piazza – Falò in America latina – Puntata 5

Avvertenza per il lettore: la redazione di queste note è contestuale alla diffusione delle prime notizie relative del Coronavirus nella regione cinese di Wuhan.
Oggi la pandemia di Covid-19 sta travolgendo il mondo con una velocità che sarebbe stata inimmaginabile solo un paio di mesi fa. Le popolazioni delle nazioni coinvolte nell’epidemia lasciano le piazze per rinserrarsi nelle loro abitazioni.
Ma dopo questo periodo di momentaneo “fiato sospeso”, le agitazioni/proteste descritte nel seguito non saranno certamente sopite perché non saranno risolti i problemi che le hanno generate. Perciò è facile immaginare che riprenderanno vigore, con modalità ancora da scoprire.
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Le proteste in America Latina puntano il dito sulle diseguaglianze e sulla povertà; ma la febbre scatenata dai casi di corruzione nelle “alte sfere”, violenza estrema, presenza di narcotraffico e crisi finanziarie a livello statale non dà cenni di remissione.

Eraldo Rollando
19-05-2020
Messico
Visto da fuori, il Messico non si presenta male. Per OCSE e FMI i “fondamentali” dell’economia si presentano solidi: debito pubblico sostenibile, sistema fiscale equilibrato, una politica monetaria adeguata. Ma … la pancia del paese ribolle, non riuscendo più a sopportare le devastazioni operate da violenza e corruzione.
Il confine Stati Uniti-Messico è da tempo l’area di maggior traffico illegale del continente americano. La droga, nelle sue varie forme, viaggia verso nord, mentre le armi viaggiano in maniera illegale verso sud, per rifornire i cartelli della droga.
E’ noto che dove regna l’illegalità prendono il sopravvento violenza e corruzione.
Nel 1980 si formò il primo gruppo organizzato per il narcotraffico e, nello stesso periodo, il governo federale iniziò il suo contrasto. Ma fu nel 2006 che l’azione governativa ebbe un forte impulso.
Il Messico … che rappresenta il maggior terreno di transito per la cocaina prodotta in Sudamerica e destinata agli Stati Uniti, oggi conosce una pericolosa situazione d’instabilità dovuta al conflitto tra lo Stato federale e i cartelli della droga, che a loro volta si combattono fra loro per il controllo del territorio e del narcotraffico. L’inizio del conflitto è generalmente fatto risalire a dicembre del 2006 … al duro intervento del governo è subito seguita una violentissima risposta dei cartelli, che ha portato a un ulteriore aumento della violenza con decine di migliaia di vittime, stimate in circa 35.000 dall’anno 2006 a oggi (2012). (Ce.S.I. – Centro Studi Internazionali- agg.2012)

Nonostante gli sforzi, oggi non si può dire che la guerra sia stata vinta. Il quotidiano Avvenire, nell’ottobre 2019, parla di “crisi avvitata intorno al problema della corruzione a tutti i livelli e al fallimento della lotta al narcotraffico”
Di fatto, non si può parlare che di fallimento se si guarda ai fatti del 18 ottobre 2019: a Culiacan (Messico), esplode la rivolta alla notizia dell’arresto di un figlio di Joaquin “El Chapo” Guzman, il re dei narcotrafficanti ora in carcere in Usa con una condanna all’ergastolo, più altri 30 anni; Quotidiano.net riferisce: “tre ore di sparatorie e la città, feudo di El Chapo, trasformata in una zona di guerra. Polizia e paramilitari pesantemente armati a bordo di fuoristrada si sono affrontati a colpi d’arma da fuoco con gli uomini del cartello di Sinaloa  …  le autorità hanno sospeso l’operazione dopo che gruppi criminali hanno messo a ferro e fuoco Culiacan  …  Ovidio Guzman Lopez, “è stato liberato e ha contattato la famiglia”, afferma l’avvocato Jose Luis Meza ai media messicani ”. Una decisione presa per evitare lo scontro con le bande armate, che avrebbe provocato un bagno di sangue tra la popolazione, ma che descrive la debolezza del sistema e il clima nel quale i messicani sono costretti a vivere.
Tutto questo, mentre rimane “sottotraccia” il grave fenomeno dei desaparecidos. Il 26 ottobre 2019 L’Osservatore Romano pubblica un articolo dal titolo: La “Brigata delle madri” (vedi) che scavano nelle fosse comuni cercando i loro figli desaparecidos.
Vi si racconta di quarantamila messicani scomparsi, secondo le cifre ufficiali. Gli attivisti parlano di centomila.

Il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador viene criticato da più parti per l’inerzia dimostrata nei confronti della violenza e dell’impunità che continuano a imperversare nel paese.
Forse un sussulto di orgoglio gli ha suggerito di emettere un giudizio di condanna per l’«abuso di autorità», e sollecitato indagini e castighi per i fatti accaduti alla metà di febbraio 2020 nello stato federato del Chapas: i genitori dei 43 ragazzi di Ayotzinapa, scomparsi nel 2014, sono stati attaccati dalla polizia dello stato del Chapas con gas lacrimogeni mentre protestavano, con il blocco di un’autostrada, per ottenere giustizia e verità per i loro figli, diventati il simbolo di quella guerra invisibile e atroce. Lo “sgombero” si era concluso con un bilancio di cinque feriti: tre studenti di cui uno, colpito alla testa, ricoverato in pericolo di vita , due madri e una bambina di tre anni.
Un capitolo non meno importante per la democrazia messicana è poi quello della violenza contro la stampa. Reporters sans frontieres (Rsf) ne registra gli effetti nel suo Rapporto (vedi) per il 2019: il documento mette in evidenza che il Messico, tra i paesi non in guerra, risulta essere tra i più pericolosi per numero di giornalisti uccisi nell’anno; dei 49 giornalisti uccisi in tutto il mondo nei 12 mesi, 10 si sono registrati in Messico. Christophe Deloire segretario generale di Rsf afferma che “L’America Latina è diventata mortale come il Medioriente”.

Argentina, un paese che ricade sui propri errori.
Un’economia al collasso: crollo del Peso, inflazione al 54%, povertà al 32,1%, mentre il 7,1 per cento degli argentini è indigente, sono i dati ufficiali dell’Inchiesta permanente sulle famiglie dell’Istituto nazionale di statistica (Indec). Così si presenta al mondo lo stato sudamericano nell’autunno 2019, mentre il tasso di cambio Peso/Dollaro a marzo si stava svalutando del 20%.
Alla fine di luglio 2019, Sindacati e Associazioni sociali hanno inscenato proteste con pentole, offrendo polenta: “La polenta, hanno detto i manifestanti, è il cibo che siamo ridotti a consumare in un contesto di inflazione, aggiustamento e licenziamenti”, annunciando nuove proteste con “piatti vuoti” per continuare a denunciare “la fame in Argentina” (vedi). E’ la reazione contro le politiche economiche del Presidente Macri (sconfitto alle elezioni del 29 ottobre 2019 dal Partito peronista, Ndr).
Ed è bene aggiungere che non tutto il paese si presenta uniforme in questo triste panorama: “Dal punto di vista geografico la regione più povera dell’Argentina risulta essere la provincia di Corrientes, nel nord-est del paese con un tasso di povertà del 49,3 per cento. L’area più agiata corrisponde invece alla capitale Buenos Aires, dove l’indice di povertà scende drasticamente al 12 per cento” ( Agenzianova.com – 11 set 2019).
La gravità della situazione trova conferma nel documento dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (Fao) pubblicato il 25 luglio dello stesso anno nel quale viene segnalato che un terzo della popolazione argentina soffre di carenze alimentari moderate o gravi; rivela inoltre che, solo negli ultimi due anni dal 2016 al 2018, si è registrato un incremento dal 19,1 al 32,1 per cento della popolazione in questa condizione.

Da dove arriva questo disastro? L’origine è sempre la stessa, e per l’Argentina è ciclica: quando un paese spende più di quanto dispone è costretto a indebitarsi (leggi FMI e grandi gruppi bancari internazionali); concausa: governi democratici deboli o incapaci, apparato industriale insufficiente e dittature militari. Un discorso che possiamo sviluppare solo sinteticamente, ma che rimandiamo all’approfondimento della solita Wikipedia.

Non parliamo dell’oggi, ma di diversi decenni fa: L’Argentina nel 1930 aveva tassi di crescita pari solo a quelli degli Stati Uniti; Il paese basava il suo sviluppo quasi esclusivamente su agricoltura e allevamento di bestiame, ma anche sull’attività mineraria e petrolifera. Il complesso delle esportazioni sosteneva l’intera economia, fino a che la seconda guerra mondiale non cambiò tutto: con il rallentamento delle esportazioni verso i paesi belligeranti, subito dopo la seconda guerra mondiale cominciò un lento declino. Durante il governo Peròn (1946- 1974 intervallato da colpi di stato) e della terza moglie Isabel, spodestata da militari nel 1976, la situazione economica si era già decisamente deteriorata : l’inflazione nel 1976 aveva raggiunto un picco del 566%, gettando il paese nel panico.
Arrivò “l’uomo forte”: il generale Jorge Rafael Videla. Alla guida di una dittatura militare, sospese ogni garanzia costituzionale, attuando una sistematica violazione dei diritti umani e macchiandosi di efferati delitti; furono uccise 30mila persone (i desaparecidos). E nel tentativo di porre rimedio alla debacle economica, i militari si rivolsero all’FMI per un prestito di migliaia di milioni di dollari (si mormora che gran parte di questi soldi siano finiti direttamente nelle loro stesse tasche). L’economia non migliorò, e fu con la guerra anglo-argentina, messa in moto dalla Giunta militare per il possesso delle isole Falkland/Malvinas (aprile giugno 1982), che la situazione finanziaria ebbe un ulteriore grave “scossone” causando oltre il crollo della moneta anche quello della dittatura.
I governi democraticamente eletti negli anni successivi, con l’alternanza di governi populisti del Partito peronista e liberali, nonostante o a causa dei continui indebitamenti, non riuscirono a rimettere il convoglio della ripresa economica sul binario giusto.
Oggi, il nuovo governo di estrazione peronista, succeduto ai liberali di Macrì e istallatosi il 10 dicembre 2019, deve affrontare la “sfida di sempre”: porre rimedio alla “maledizione” del debito estero.
Sono 3 le sfide della coppia presidenziale costituita da Alberto Fernandez e Cristina Fernandez de Kirchner: l’inflazione, le riserve della Banca centrale e il debito con il Fondo monetario internazionale. Un fardello pesante, una sfida epocale.” (Il Sole 24Ore -29 dicembre 2019)
In questi giorni di Marzo si parla insistentemente di ridiscutere il debito con il Fondo monetario per evitare il nono default degli ultimi 80 anni.

Nell’attesa, continuano le proteste con pentole, offrendo polenta.

(5, continua)
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