Gabriella Carlon
29-3-2019
Come si sa, la democrazia è costituita da molte variabili, formali e sostanziali. Lasciamo per ora da parte la questione della democrazia sostanziale: non sono certo questi tempi reazionari a prospettarci un possibile miglioramento della sostanza della democrazia. Mi sembra però che oggi, in Italia ma non solo, si debba lanciare un allarme sui rischi che sembra correre la stessa democrazia formale.
I pilastri della democrazia vanno dall’universalità del suffragio alla rappresentatività, dalla divisione dei poteri alla presenza di organi di garanzia e di controllo. Il tutto regolato da procedure codificate. Per realizzare la rappresentatività si devono svolgere libere elezioni con pluralismo di liste; essenziale è la libertà di espressione e la presenza di una informazione corretta e non manipolata. La nostra Costituzione, in particolare, prospetta la centralità del Parlamento.
Se guardiamo all’ultimo anno di governo giallo-verde, ma anche al periodo renziano o a quello berlusconiano, vediamo invece un netto prevalere dell’esecutivo, che presenta spesso decreti-legge (anche se non esiste urgenza) o testi di legge blindati o, peggio ancora, leggi-delega che danno al Governo mano libera su una molteplicità di materie.
Il Parlamento ha solo funzione di ratifica. Ma dove si svolge allora la mediazione tra maggioranza e opposizione in modo che le leggi approvate rispecchino il più possibile la volontà del maggior numero possibile di cittadini? O chi ha vinto le elezioni ha facoltà di governare in modo dittatoriale?
Altro aspetto preoccupante è la “pervasività” del Ministro degli Interni. Non c’è questione su cui non intervenga a dettare la linea. Vestendo giubbe varie (forse per sentirsi uno sceriffo?) tratta i più svariati argomenti: incontra gli imprenditori e i lavoratori, decide sui migranti visti solo come pericolo per l’ordine pubblico, decide alleanze particolari con alcuni paesi europei, va in missione da Putin… Ma allora a cosa servono e perché paghiamo i suoi colleghi a capo dei diversi Ministeri?
Il conflitto con la Magistratura è quotidiano. Non è una novità. Ma il ritenere che il potere dell’Esecutivo non abbia limiti mi sembra una china molto pericolosa. Peggio ancora la giustificazione “Abbiamo preso i voti”, come se l’investitura elettorale potesse cancellare i limiti all’esercizio del potere previsti dalla Costituzione e dalle leggi, che stabiliscono principi e procedure a cui devono attenersi i governanti e il parlamento. L’investitura che il ministro degli Interni proclama di aver avuto dalle urne fa sì che si dichiari rappresentante “degli Italiani” ma agire e legiferare come se le minoranze non fossero italiane o non esistessero, non promette nulla di buono, perché Il rapporto diretto massa-capo è la caratteristica di tutte le tirannie. In parallelo si svuotano tutti i corpi intermedi che sono i canali che possono permettere la partecipazione attiva dei cittadini (per ora non sostituibile dal voto sulla Rete), nonché informare e orientare l’opinione pubblica: operazione necessaria in regime di suffragio universale e unico antidoto alla deriva a cui può essere soggetta la democrazia per sua stessa natura, come nella storia si è purtroppo già verificato.
Occorre stretta vigilanza.
Tre brevi puntualizzazioni:
1) Salvini non si basa sui voti, ma,ancor peggio, sui sondaggi;
2) le ultimissime vicende della piattaforma Rousseau dimostrano quanto infida sia la democrazia diretta informatica;
3) nessun paese è mai abbastanza maturo per la democrazia, la quale è un sistema politico raro sia nel tempo che nello spazio; un sistema che si può imparare solo vivendolo e che, come tutti gli apprendimenti, comporta errori, progressi e regressi. E’ il sistema più difficile che ci sia; il che non significa che non sia anche il più bello.
Un altro aspetto su cui mi sembra importante riflettere è quello della “democrazia diretta”, sbandierato e incoraggiato da una delle due parti politiche attualmente al governo: non soltanto quindi “abbiamo preso i voti”, ma anche “siamo i portavoce di chi ci ha votato e, se occorre, chiediamo direttamente a loro che cosa fare”.
Che i cittadini possano votare per ogni decisione parrebbe l’”optimum” di uno stato che vuol essere davvero democratico: proprio per questo mi chiedo se la tendenza e la scelta formale di una “democrazia diretta”, che le attuali tecnologie ormai consentono, non ci faccia correre rischi ancora più gravi.
A parte l’evidente e concreta possibilità che pochissimi possano utilizzare e/o manipolare i programmi ai loro fini, ciò che viene a mancare è quella necessità di mediazione richiesta anche nell’articolo: rispondere al proprio elettorato non significa essere dei portaborse senza margini di manovra che devono soltanto realizzare ciò che la loro parte elettorale chiede, rinunciando a possibili mediazioni e convergenze e a sentirsi rappresentanti anche degli altri cittadini, presenti in parlamento attraverso le minoranze che hanno votato.
E’ una logica che porta all’alternanza delle dittature, democraticamente elette ogni cinque anni, e che faranno riferimento diretto soltanto ai loro elettori ogni volta che lo riterranno opportuno o politicamente vantaggioso.
A tutto questo bisognerebbe aggiungere una riflessione sui rischi legati alla ricerca di informazioni documentate, alle notizie false, alla mancanza di confronto al di fuori dei propri ambiti, a una democrazia in cui il cittadino non condivide con altri cittadini il proprio impegno politico, ma è solo di fronte al potere, all’impossibilità per una persona normale ad avere il tempo necessario per fare politica, approfondendo realmente ogni aspetto sul quale poi dovrà decidere.
Dati i risultati delle ultime elezioni e i governanti che si sono aggiudicati i vari ministeri, ho seri e cupi dubbi sulla validità del concetto di democrazia in un paese che, a mio avviso, non ha dimostrato di essere maturo per questo tipo di gestione del potere; a meno che ci sia un burattinaio esterno che regoli tutto dandoci l’impressione di essere noi a decidere.