Chiara Guanin
09-09-2017
Un corridoio stretto, siamo in tanti addossati alla parete sulle scompagnate sedie metalliche, qualcuno in piedi, pronto al balzo allo schiudersi della porta di fronte. Un’attesa lunga e penosa, tutti aggressivi e sospettosi, quello è giovane, cosa mai avrà, questo non ha l’aspetto del malato, qui a far perdere tempo. La coda è un intreccio di svariate patologie, la nefrologa è lentissima, l’anestesista procede a tamburo battente, invidia. Qualcosa però s’inceppa, dalla stanza dell’anestesista non esce più nessuno per un tempo lunghissimo…fermento, brontolio, ira. Si bussa, si minaccia a voce alta di entrare di forza. La porta si spalanca, esce furibonda la giovane anestesista, urla che lei è lì dalle otto della mattina, prima che arrivassero tutti loro, che lei ha bisogno di poco tempo per i giovani che affrontano l’intervento in buone condizioni, ma di molto tempo per gli anziani sofferenti, anche se l’ Ospedale le assegna per tutti lo stesso tempo, che lei non sa fare miracoli, ma si rifiuta di fare guai, che ci facessimo sentire dalla Direzione, invece di litigare. Il senso è questo, ma le espressioni che usa stanno tra lo stadio e il bar Sport, la sorpresa ci ammutolisce. Nel silenzio generale, la voce ferma di una signora in età: dobbiamo imparare di nuovo ad agire insieme per riavere i diritti per tutti.
Tutti insieme per i diritti di tutti, sarà bene ricordarsene.
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