Chiara Guanin
19-1-2016
Trucco, pettinatura, vestiti appropriati, trovo le mie due vicine di poltrona ridenti ed impegnate a fotografarsi con allegria sullo sfondo del sipario e del grande lampadario. Non molto più giovani di me, è la loro prima volta alla Scala. L’itinerario del loro biglietto è piuttosto oscuro, c’entra, mi sembra di capire, una loro amica che lavora all’interno, al bar. Niente da fare per il balletto di domani, come avrebbero preferito, stasera invece i migliori posti del loggione,più facilmente trovabili per un recital di Lieder, tutto in Tedesco e senza i sottotitoli per un guasto all’impianto. Parlottano e ridono sommessamente tra di loro, anche se già si sentono le prime note di incantevoli Lieder schubertiani. Di solito mi disturba anche la caduta di un granello di polvere, ma stavolta non mi unisco al coro dei competenti vicini, che le zittiscono stizzosamente. Fruscii di pagine, commenti a mezza voce, qualche richiesta di delucidazioni. I vicini si rassegnano, io rispondo. Mi sento grata e anche un po’ commossa dai i loro primi passi in un mondo meraviglioso e sconosciuto, sento il loro impegno e la loro gioia per la bellezza, della musica, del canto, della cantante, del suo sontuoso abito a strascico di seta corallo.
Seconda parte, più sommesse, alla fine partecipano con robusto brio ai sonori “ bravi “ liberatori.
Anche la più segaligna delle competenti viene a Canossa, chiede se le possono prestare il binocolo, per vedere meglio… l’abito e i gioielli della cantante, confessa con qualche esitazione.
Ambiente rigoroso, mi dicevano le mie amiche all’intervallo, non ci siamo abituate, da noi si parla, si scherza, qui è tutto sterile.
Sterile, in una parola detto tutto, come meglio non si poteva.