Educazione affettiva: una necessità da attuare con concretezza e intelligenza

Psicologi, pedagogisti, sociologi e antropologi sono concordi nel definire la situazione educativa di oggi come frutto del passaggio dalla “società normativa alla società affettiva”. Una società in cui non ci sono più regole, ma dove la ricerca della felicità è la priorità incondizionata, vissuta nella libertà assoluta. Risultato di questo passaggio è il caos e la perdita di una reale dimensione relazionale e affettiva che possa costituire il collante tra gli esseri umani. Femminicidi e aggressività nelle relazioni sono all’ordine del giorno. Esiste una via d’uscita?

 Cristina Rollando
11-06-2025
La recente serie Netflix “Adolescence” ha puntato nuovamente i riflettori sul tema dell’emergenza educativa, sulla crisi degli adolescenti e degli adulti che,  avendo abdicato al ruolo educativo, hanno alimentato inconsapevolmente l’ideologia del “tutto è possibile”, scardinando le antiche regole morali che contrapponevano il bene al male.
In un mondo senza regole precise, dove il virtuale ormai ha soggiogato il reale …  i contorni del lecito/illecito, permesso/vietato, sano/pericoloso, diventano sempre più sfumati. Come sfumate, inconsistenti e indefinibili diventano le emozioni, motore di ogni agire umano.
 

Succede così che, nel 2025, si uccide per noia, per adrenalina, per rabbia, per possesso, per gelosia, per frustrazione… figli dell’analfabetismo emotivo, si dice; o della società dell’opulenza. Ed è qui che psicologi, pedagogisti, scrittori, ma anche genitori, insegnanti e gli adolescenti stessi reclamano a gran voce l’urgenza di inserire l’educazione affettiva nelle scuole; ma non con interventi spot di una o due giornate, tenute da esperti, ma come vera e propria materia curriculare. Argomento di certo da non catalogare tra le novità assolute, sollevato a più riprese anche da parte dei Governi, senza tuttavia aver portato ad alcuna azione che possa essere considerata incisiva e determinante per recuperare una generazione considerata ormai senza più punti di riferimento.
 
A parlare di competenze trasversali, tra cui l’intelligenza emotiva, come competenze necessarie e funzionali al benessere di ogni essere umano, è stato l’OMS nel 1993 (più di 30 anni fa!). L’Organizzazione Mondiale della  Sanità identificò 10 “Life Skills”, competenze che tutti dovrebbero acquisire, al fine di poter affrontare le avversità che la vita ci sottopone e, soprattutto, al fine di poter costruire il proprio progetto di vita, con consapevolezza e autenticità.                                                                             “Life Skills” Clicca sull’immagine per ingrandire   —->

 

Saper riconoscere e gestire le emozioni, impedendo che le stesse prendano il sopravvento e conducano ad azioni e comportamenti inefficaci o pericolosi, è alla base di un vivere rispettoso, non soltanto nei confronti dell’altro, ma nei confronti di se stessi.
Nella povertà valoriale e pedagogica del nostro tempo, sembra che tutti siano d’accordo sugli assunti teorici di base, ma nel passaggio dalla teoria condivisa alla pratica, qualcosa si infrange. Contro che cosa? Contro la burocrazia? La pigrizia? I costi? L’incapacità di attuare modifiche sistemiche ai percorsi di studi?
In periodo pandemico, a gennaio del 2022, era stata approvata in Senato la proposta di Legge n. 2782 dal titolo: “Disposizioni in materia di insegnamento sperimentale dell’educazione all’intelligenza emotiva nelle scuole di ogni ordine e grado”.
Nei primi 3 articoli della proposta di legge viene delineato il perimetro dell’attività: l’intelligenza emotiva viene trattata, come l’educazione civica, in forma interdisciplinare, a carico dei docenti stessi, ai quali devono venir garantite almeno 25 ore di formazione annue.
Che seguito ha avuto la proposta? Nessuno. Cosa ne è scaturito? Nulla. In una scuola ormai morente, qualsiasi spinta al cambiamento sembra non avere terra fertile per attecchire.
 Invece, se guardiamo oltre ai nostri confini nazionali, in alcuni paesi, i programmi di educazione affettiva sono attivi da decenni. In Danimarca, “l’educazione all’empatia” è parte integrante del curriculum scolastico dai 6 ai 16 anni. Durante queste lezioni, le e gli studenti imparano a comprendere le emozioni proprie e altrui, sviluppando fiducia reciproca e capacità di supporto. Questo approccio mira a formare individui consapevoli e socialmente responsabili.

La Svezia ha introdotto l’educazione sessuale come materia obbligatoria sin dal 1955; la Germania nel 1968. Questi programmi abbracciano un approccio “olistico” che include aspetti come l’educazione emotiva, la gestione delle relazioni, il rispetto e il consenso.
Negli ultimi due anni, grazie a finanziamenti del Pnrr alle Scuole superiori di primo e secondo grado, molti Istituti hanno attivato percorsi di Mentoring e coaching motivazionale per gli studenti più fragili. Gli esiti e i dati raccolti, però, raccontano di una necessità estesa che non tralascia nessuno. Non è più possibile distinguere tra soggetti fragili e non, tra chi ha desiderio e motivazione negli studi e chi non ne ha.
L’incapacità di affrontare la realtà sta divorando anche i ragazzi apparentemente cresciuti ed educati in contesti sani; il terrore di venir giudicati e il non saper fronteggiare cadute e fallimenti non fa distinzioni di tessuto sociale, provenienza, genere e contesti.
Affrontare il tema dell’educazione affettiva deve diventare una delle priorità dei nostri politici. Lo sforzo ingente di professionisti ed Enti che, con passione ed energia, si dedicano tutti i giorni ai giovani, non basta più. L’Italia ha bisogno di una riforma strutturale e intelligente che possa permettere ai ragazzi/e di essere accompagnati nel faticoso percorso di comprensione delle dinamiche emotive e affettive.

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Note:
Immagine di introduzione: credit  Cargomilla.it

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