Sei ancora quello della pietra e della fionda,
uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,
con le ali maligne, le meridiane di morte,
t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,
alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,
con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,
senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,
come sempre, come uccisero i padri, come uccisero
gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno
quando il fratello disse all’altro fratello:
«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,
è giunta fino a te, dentro la tua giornata.
Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue
Salite dalla terra, dimenticate i padri:
le loro tombe affondano nella cenere,
gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Salvatore Quasimodo (Modica, 20 agosto 1901 – Napoli, 14 giugno 1968), è stato un poeta e traduttore italiano, esponente di rilievo dell’ermetismo. Premio Nobel per la letteratura 1959
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L’attualità di “Uomo del mio tempo”
Mai come in questo periodo risuonano la denuncia, il dramma e gli imperativi di Salvatore Quasimodo che con i suoi versi descrisse la crudeltà e la disumanità della guerra. Indelebili in molti noi “l’urlo nero della madre che va incontro al figlio crocefisso” o “il lamento d’agnello dei fanciulli” che il poeta utilizza in “Alle fronde dei salici “ per descrivere la distruzione di Milano nel 1943. Sono immagini sconvolgenti del passato che vengono però riproposte nelle guerre attuali, vicine a noi.
Anche in “Uomo del mio tempo” ritroviamo la nostra contemporaneità: ci riconosciamo nell’uomo primitivo e violento, nell’uomo ”senza amore” e “senza Cristo”, nella denuncia del poeta “sei ancora quello della pietra e della fionda” nonostante il progresso scientifico e culturale che pensavamo ci avrebbe preservato dalla malvagità. Condividiamo anche se spesso in modo silenzioso l’imperativo finale del testo “Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue salite dalla terra, dimenticate i padri…” in cui il poeta rivolgendosi ai giovani comanda di dimenticare il passato di guerra, la storia con i suoi scenari di conflitti e violenze per costruire un mondo di pace, di pietà e rispetto.
Oggi, alla luce degli attuali avvenimenti (distruzione di Gaza e guerra Israele-Iran) e del conflitto alle porte dell’Europa (guerra Ucraina-Russia) è bene richiamare anche le parole di Papa Leone XIV all’assemblea giubilare di pochi giorni fa “Nessuno dovrebbe minacciare mai l’esistenza dell’altro” e ancora “Torniamo a costruire ponti là dove ci sono muri e ci sarà Speranza”. Aggiungerei inoltre la necessità di prendere consapevolezza di sé, della realtà e impegnarsi/aprirsi verso l’altro per sconfiggere l’isolamento e l’individualismo in cui stiamo cadendo. Molti sono i segnali di chiusura verso gli altri che vediamo: il protagonismo imperante e il rifiuto del confronto e dell’incontro, lo straniero che cerca rifugio viene visto come un invasore, il partner che non risponde alle aspettative e limita l’ autorealizzazione va eliminato ed ucciso.
E’ necessaria quindi un’educazione all’alterità per costruire una cultura di inclusione, di comprensione e di coesistenza.