Un Paese, sino ad oggi faro per l’innovazione e la ricerca scientifica, rischia di perdere risorse, non soltanto economiche, ma professionisti di rilevanza mondiale, e programmi importanti, per obiettivi economici incomprensibili ai nostri occhi. Sino a che punto è possibile tollerare?
Cristina Rollando
17-10-2025
Uno degli aspetti più controversi del governo di Trump è il rapporto con le Università e le decisioni, alquanto preoccupanti, di tagliare le risorse ai Centro di Ricerca, fiore all’occhiello degli USA da sempre. L’ostilità verso la ricerca scientifica e accademica (tagli, sospetti di antisemitismo, restrizioni sui visti) rappresenta non soltanto un attacco alla libertà di pensiero e di studio, ma un rischio enorme per una Nazione che è sempre stata il faro assoluto nella ricerca scientifica. Molti sono i centri di ricerca a rischio. Un’analisi della rivista scientifica Nature svela ora i primi dati sulla fuga di cervelli già iniziata dagli Stati Uniti: il 32% dei ricercatori sta cercando di lasciare l’America.
Un articolo pubblicato sul sito scientifico scienze.com di aprile 2025, rivela che un gruppo di oltre 1.900 scienziati statunitensi ha deciso di rompere il silenzio, rivolgendosi direttamente al popolo americano con un appello urgente. In una lettera aperta i ricercatori – membri delle prestigiose Accademie Nazionali delle Scienze, dell’Ingegneria e della Medicina – denunciano con forza quello che definiscono un attacco sistematico e pericoloso alla scienza e alle sue istituzioni, messo in atto dall’attuale amministrazione. Nella lettera viene riportato che da gennaio 2025 il governo ha messo sistematicamente in discussione l’autonomia scientifica attraverso la limitazione all’accesso alle informazioni, la minaccia di tagli fondi e il licenziamento di esperti. Inoltre sono più di 50 gli Istituti e le Università che hanno ricevuto pressione per modificare i programmi accademici. Un esempio conosciuto è quello della Columbia University, costretta a rivedere le proprie politiche interne per evitare la sospensione di fondi federali.
Da mesi, Trump sta portando avanti un’agguerrita campagna contro alcune delle principali università americane (Harvard, Yale, Stanford e altre), accusandole di essere focolai di “ideologia liberale”, poco propense a contrastare con determinazione antisemitismo e derive radicali nei campus.
Una buona notizia, a tale proposito, è giunta un paio di settimane fa: la giudice federale Allison D. Burroughs ha stabilito che la decisione dell’amministrazione di Donald Trump di sospendere circa 2,2 miliardi di dollari di fondi pubblici per la ricerca (nella fattispecie destinati ad Harvard) è illegale. La Casa Bianca, infatti, avrebbe violato il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che tutela la libertà di parola, colpendo in modo mirato e ideologico una delle università più prestigiose al mondo.
Oltre alla battaglia insensata contro le università e la ricerca, in nome dell’efficienza economica, il Dipartimento dell’Efficienza Governativa, ha avviato licenziamenti di massa in enti fondamentali per la sicurezza pubblica e la ricerca ambientale, tra cui:
- La NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration)
- Il Centro di Allerta Tsunami del Pacifico
- Il Laboratorio dei Grandi Laghi
Il risultato è un indebolimento delle capacità degli Stati Uniti di fronteggiare fenomeni naturali estremi, studiare il cambiamento climatico e pianificare strategie emergenziali efficaci.
Ciò che fino a poco tempo fa era considerato l’Olimpo della ricerca, meta di studenti, ricercatori da ogni parte del mondo e di malati in cerca di cure all’avanguardia, si sta trasformando in un Paese sempre meno aperto, meno inclusivo, con ridottissimi spazi per il dissenso, sempre più chiuso in se stesso.
Per molti intervistati l’America è ormai una dittatura.
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Note:
Immagine di apertura: Universitari dell’Università USA di Berkeley contestano le decisioni di Trump – Credit Pressenza.com
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