Gabriella Carlon
17-10-2025
La pratica del land grabbing è in Africa molto diffusa. I governi di parecchi Stati, per avere fonti di reddito o per attirare investimenti esteri, cedono in concessione per lunghi periodi parti cospicue di territorio ad altri Stati o a multinazionali dell’agricoltura.
La Cina si è inserita in questo processo; anche l’italiana BF Spa (Ferrara) si è accaparrata circa 37mila ettari in Algeria per la coltivazione di grano, lenticchie e fagioli. Si è creata una joint venture tra BF e il Fondo nazionale di investimento algerino, dove la BF detiene il 51%.
Circa la metà dei territori dati in concessione sono adibiti a disboscamento, l’altra metà a monoculture, che rispondono alle esigenze dei paesi investitori e non a quelle delle popolazioni locali.
Il problema generato dalle monoculture è di vecchia data: nasce dallo sfruttamento coloniale e neocoloniale; ma anche dopo il raggiungimento dell’indipendenza politica il fenomeno è continuato e si è addirittura incrementato negli ultimi anni.
Le conseguenze per l’ambiente sono disastrose: in alcune zone si procede a un disboscamento scriteriato per impossessarsi di legname prezioso, in altre si diffonde la monocultura che distrugge la biodiversità con grave danno per l’agricoltura locale.
Danni altrettanto gravi colpiscono le popolazioni locali, che si vedono private della fonte principale di sostentamento. Infatti l’economia di tanti villaggi ha il suo fulcro nell’agricoltura di sussistenza che, permettendo l’esercizio della sovranità alimentare, tiene lontano lo spettro della fame. Mediamente l’azienda agricola locale non supera l’ettaro di superficie, tuttavia è in grado di soddisfare le esigenze più elementari della popolazione.
La particolare struttura giuridica diffusa in Africa, lontana dal concetto di proprietà introdotto dai colonizzatori, permette la sottrazione della terra ai contadini che la coltivano, perché questi, nella stragrande maggioranza dei casi, non possiedono nessun documento di proprietà della terra; l’uso è infatti determinato dalla tradizione e dal costume. Così è possibile privare la popolazione contadina delle fonti del suo sostentamento in maniera “legale”, ma tale processo, generando ulteriore povertà, è causa non ultima della impossibilità di abolire o quanto meno ridurre il problema della fame. Nel mondo le persone denutrite sono circa 795milioni; nell’Africa subsahariana il 23% della popolazione soffre di malnutrizione. Si dà ormai per certo che l’obiettivo del Millennio dell’Agenda ONU di abolire la fame entro il 2030 non potrà essere raggiunto.
Il fatto nuovo, che fa bene sperare, è che contro il land grabbing si sta estendendo in Africa occidentale un movimento di reazione, nato nel 2013 per contrastare la coltivazione industriale della palma da olio. Attualmente, sotto forma di Alleanza informale, comprende associazioni di contadini dei seguenti paesi: Gabon, Nigeria, Camerun, Sierra Leone, Repubblica del Congo, Liberia, Ghana, Repubblica Democratica del Congo, Costa d’Avorio, Uganda.
L’Alleanza, nel novembre 2024, ha emesso la Dichiarazione di Mouila (città del Gabon) in cui si denunciano i gravi danni provocati dal land grabbing sia all’ambiente sia ai contadini e alle loro famiglie. Nel Documento si denuncia inoltre l’atteggiamento discriminatorio nei confronti delle donne da parte delle multinazionali: vengono marginalizzate perché, essendo tra i più accesi difensori dell’agricoltura di sussistenza, sono un ostacolo al diffondersi dell’agricoltura industriale.
Lo scopo della Dichiarazione è fare pressione sui Governi locali perché fermino l’accaparramento delle terre. La strada proposta per il raggiungimento dell’obiettivo è la resistenza non violenta da parte dei contadini depredati, sostenuti da un’opinione pubblica adeguatamente informata di quanto sta avvenendo, anche se purtroppo tali notizie circolano solo negli ambienti ristretti che si occupano della relativa problematica.
Si ritiene però necessario richiamare l’attenzione degli Organismi internazionali sugli effetti negativi del fenomeno, in modo da dare risonanza mondiale alla questione. Anche questo è un obiettivo dell’Alleanza. D’altra parte sembra ormai una certezza che la soluzione del problema della fame stia nella sovranità alimentare, cioè nella possibilità delle comunità locali di scegliere che cosa e come coltivare per soddisfare i propri bisogni di cibo e le necessità più elementari. Le piccole aziende a conduzione familiare sembrano essere il sistema più efficace, esattamente l’opposto dell’agricoltura industriale in mano alle multinazionali e agli investitori stranieri.
Possiamo augurarci che si intervenga con una legislazione adeguata a salvaguardare il diritto al cibo sano e sostenibile anche per le popolazioni più povere.
Sembra comunque un segnale positivo la presa di coscienza e la reazione da parte dei contadini stessi in un continente, come l’Africa, soggetto da secoli a estremo sfruttamento, che genera spesso passività. I firmatari della Dichiarazione di Mouila cercano di prendere in mano il proprio destino.
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Fonte:
Altreconomia marzo 2025 (clicca per visualizzare)
Per approfondimenti:
Grain.org (clicca per visualizzare – in inglese)
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Note
L’immagine di apertura è tratta da Africarivista.it
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