Myanmar – una guerra civile dagli effetti devastanti

Recenti studi del Global Peace Index 2024, uno degli indicatori più autorevoli, forniscono dati aggiornati al 2024 circa il numero dei conflitti nel Mondo, salito a 56, il più alto mai registrato dalla Seconda guerra mondiale. E il Myanmar è tra i primi della lista, con una guerra civile tanto devastante quanto ignorata dagli occhi del Mondo.

Eraldo Rollando
3-07-2025

La guerra civile in Myanmar è tra le 6 più distruttive, quanto a vittime, gravi carenze alimentari, trattamenti sanitari carenti e crollo dell’economia. Ma, è anche diventata invisibile. Non se ne parla, non se ne discute e, peggio ancora, la si vede con occhio assuefatto. Insomma, fa ormai parte di questo panorama distopico in cui realtà e finzione cambiano ruolo di volta in volta.
Come in un film seriale in cui tutto può accadere, e da spettatori tutto accettiamo fino a trasporre nella realtà quotidiana questo nostro “accettare”. Così va il Mondo?

Un succinto percorso storico
Il Myanmar, noto anche come Birmania fino al 1989, sin dalla sua formazione nel IX secolo, per la migrazione di etnie birmane dalla Cina, ha vissuto periodi di vita difficile intervallati da periodi più o meno lunghi di stabilità. Un percorso tormentato che ha visto un’accelerazione nel diciannovesimo secolo con la conquista britannica nel 1824; i britannici, in omaggio alla strategia romana del “Divide et impera”, sfruttarono le divisioni etniche per mantenere il controllo del Paese. Un secolo di sottomissione coloniale in cambio di relativa “tranquillità”.
Come la Storia insegna, dopo una lunga sottomissione, il lievito del malumore fa germogliare ogni sorta di ribellione.
Dopo l’indipendenza dal Regno Unito nel 1948, Il Myanmar registrò una serie di governi autoritari e di conflitti interni, alimentati da tensioni etniche e politiche.
Ebbero luogo alcuni colpi di Stato che si susseguirono fino ai giorni nostri.
I principali sono stati quattro:

    • 1962: Il generale Ne Win prese il potere con un colpo di Stato militare, instaurando un regime socialista che durò fino al 1988.
    • 1988: Dopo le proteste pro-democrazia, il Consiglio di Stato per la Restaurazione della Legge e dell’Ordine (SLORC) prese il controllo del paese. I militari, però, non abbandonarono la presa mettendo in atto, di fatto, un nuovo golpe.
    • 1990: In quell’anno le elezioni democratiche “concesse” dai militari, furono vinte dalla Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), guidata da Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la pace, con un risultato preponderante. Tuttavia, la Costituzione del Myanmar consente di assegnare ai militari il 25% dei seggi parlamentari, il che permise loro di mantenere il controllo su Difesa, Affari di Frontiera e Interni e, di fatto, sull’intero governo.
    • 2021: Il colpo di stato più recente, guidato dal generale Min Aung Hlaing, comandante in capo delle forze armate del Paese, ha ribaltato il governo legittimamente eletto e preso il potere.

Il Myanmar dal 2021
Il regime, che mantiene il Myanmar sotto il peso del suo tallone e che sopprime ogni pur minima espressione democratica, ha innescato una crisi politica, economica e umanitaria che ha posto sulle spalle del Paese un fardello insopportabile di sofferenze.
Le proteste della popolazione, inizialmente pacifiche, hanno scatenato la repressione violenta della Giunta militare.
Di fatto, la presa di potere e la reazione violenta alle proteste, hanno dato il via a una guerra civile, causando migliaia di morti e di sfollati.
Il quotidiano  Avvenire , nell’edizione del 1 febbraio 2024, riportava la notizia che  “quasi 20.000 dei 26.000 arrestati per motivazioni politiche in Myanmar sono ancora detenuti e spesso sottoposti a tortura e abusi senza processo. Tra di loro c’è gran parte della leadership democratica, inclusa Aung San Suu Kyi, Premio Nobel per la Pace. I combattimenti hanno causato gravi sofferenze: 1.576 persone sono morte in custodia del regime negli ultimi tre anni e oltre 6.000 sono state uccise dal golpe, con alcune fonti che parlano di 45.000 vittime, tra cui 13.000 bambini. L’offensiva delle milizie etniche da ottobre ha causato almeno 300.000 nuovi profughi, portando il totale a oltre due milioni”.
Apprendiamo, sempre da Avvenire , edizione del 20-6-2025, la notizia che non può che preoccupare coloro che negli anni hanno sostenuto e apprezzato l’opera di Aung San Suu Kyi: “«Dalle informazioni della Suu Foundation, la leader birmana sarebbe rimasta ferita nel carcere che sarebbe stato danneggiato dal violento sisma che ha colpito il Paese il 28 marzo scorso. Gli avvocati della leader birmana hanno dichiarato di avere seri motivi per temere che possa morire in carcere mentre il mondo rimane indifferente », ricorda l’associazione Italia-Birmania insieme”.

Il 16 aprile 2021, poco dopo il golpe, un gruppo di politici appartenenti al Parlamento sciolto dai militari, ha costituito un Governo di unità nazionale (NUG) in esilio, riconosciuto dal Senato francese e dal Parlamento Europeo come il legittimo governo del Myanmar.
Naturalmente, la Giunta ha dichiarato lo stesso NUG illegale e lo ha designato come organizzazione terroristica.
Nel settembre 2021, il NUG ha istituito la Forza di Difesa del Popolo (PDF) e ha lanciato una rivoluzione a livello nazionale. Attualmente, il NUG opera da remoto e in clandestinità all’interno del Myanmar, senza una capitale ufficiale.
Fonti giornalistiche stimano il numero di combattenti intorno ai 100.000 che utilizzano in tutto il Paese tattiche di guerriglia per contrastare le forze militari del regime.
Nel frattempo sono sorte altre forze di opposizione.
Secondo Giada Aquilino, che riporta le dichiarazioni di  Matteo Fumagalli  (docente di Relazioni internazionali all’Università di St. Andrews in Scozia) a lei rilasciate e pubblicate in un’intervista su Vatican News, “A partire dall’ottobre del 2023 una coalizione composta da tre gruppi etnici armati:
– l’Arakan army, che controlla l’80-85% dello Stato Rakhine, in cui vive la minoranza musulmana perseguitata dei Rohingya e «dove l’organizzazione armata ha creato delle istituzioni parastatali che forniscono alcuni servizi alla popolazione»
il Myanmar national democratic alliance army, appartenente all’etnia Kokang,
il Ta’ang national liberation army attivo nello Stato di Shan che hanno lanciato una nuova offensiva contro le autorità di Naypyidaw. Conquistate basi militari e città strategiche.
Nella parte orientale, prosegue il docente della St. Andrews, operano «altre organizzazioni, come l’Unione nazionale Karen o l’Esercito dello Stato unito Wa, al confine con la Thailandia»”.

Una situazione in cui la Giunta militare ha perso il controllo di quasi metà del  Myanmar, ma che rischia anche di perpetuare una situazione di conflitto, dal momento che un’auspicabile federazione di tali forze tribali per prendere possesso della guida del Paese e condurlo a vere elezioni democratiche non sembrerebbe essere in vista, nonostante i militari abbiano annunciato le elezioni tra dicembre 2025 e gennaio 2026.

Il terremoto
Poco si è parlato nei media delle sofferenze imposte ai civili a seguito del conflitto tra le forze della Giunta e quelle di opposizione.
Si è parlato del Paese asiatico per non più di un paio di settimane a causa del disastroso terremoto del 29 marzo 2025.  L’onda simica, di magnitudo 7.7, ha colpito l’80% degli edifici, comprese scuole, ospedali, ponti, strade, sistemi idrici ed elettrici.

Si sono registrate 3600 vittime e danni enormi alle infrastrutture e ai siti storici; risulterebbero distrutti circa 1.850 edifici e oltre 2.290 danneggiati nelle regioni più colpite di Mandalay e Sagaing.
Oltre 1,6 milioni di persone sono state sfollate, e molte comunità sono rimaste isolate. In aggiunta a questo, piogge torrenziali hanno aggravato le condizioni di vita di intere famiglie rimaste senza casa dopo il terremoto, aumentando tra l’altro il rischio di malattie trasmesse dall’acqua.

La PDF, da parte sua, ha annunciato un cessate il fuoco parziale per facilitare i soccorsi nelle aree colpite, mentre i militari al governo hanno ostacolato le operazioni di soccorso, limitando l’accesso agli aiuti umanitari nelle aree controllate dai ribelli. In alcuni casi sono state bombardate aree devastate dal terremoto dove operano queste forze.

L’economia
La situazione economica del Myanmar è estremamente difficile. Dopo il golpe, il paese è precipitato in una crisi politica e sociale che ha avuto gravi ripercussioni sull’economia.
Il PIL è in calo, l’inflazione è in aumento e la disoccupazione è dilagante.
A causa del conflitto sono state applicate sanzioni internazionali, le imprese straniere sono fuggite, molte persone cercano lavoro nei paesi vicini, spesso in condizioni di sfruttamento, molti giovani, per evitare la coscrizione obbligatoria introdotta dai militari sono fuggiti dal Paese aggravando ulteriormente la crisi sociale ed economica
Avvenire, nell’edizione del 7-6-2025, rivela che “ … gran parte dei 55 milioni di abitanti è in disagio economico, 20 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria e protezione, 15 milioni patiscono la fame. Le violenze aumentano, anche per l’annuncio di elezioni tra fine dicembre e gennaio 2026. Per pensare a pace e stabilità, servono subito un cessate il fuoco di tutte le parti in conflitto, dialogo inclusivo, un processo di riconciliazione interna, ripresa economica e impegno diplomatico globale”.

La situazione è diventata estremamente critica. L’inviata speciale delle Nazioni Unite, Julie Bishop, ha dichiarato che il Myanmar è “sulla strada dell’autodistruzione”, a meno che non cessino le violenze che continuano a devastarlo  (it.euronews.com)

Poi, purtroppo, le notizie più recenti che scorrono in televisione fanno nuovamente calare il sipario su questa terra tormentata.

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