Parlando di Populismo

Gruppo Corallo
( a cura di Eraldo Rollando)
19-7-2016
Negli ultimi anni il dibattito sulle forme della democrazia sta sempre più coinvolgendo larga parte delle popolazioni, non solo in Italia, complici le varie crisi economiche, finanziarie, politiche, sociali, e non ultime, culturali.
La discussione è uscita dalle “sacre stanze” della politica e del pensiero specializzato per approdare al pubblico dibattito principalmente tramite personaggi della pubblicistica e dello spettacolo. Gli scandali, le ingiustizie e forme di prevaricazione, evidenziatesi nell’ambito della politica, a vari livelli, e da essa trasferiti in buona parte alla così detta società civile hanno maturato un forte senso di frustrazione e il desiderio di cambiamento; si è accentuato, così, il bisogno di partecipazione attiva alle decisioni “che contano”.
La democrazia rappresentativa, in cui il cittadino delega un suo rappresentante a decidere per suo conto, così come è conosciuta oggi, è vissuta come un impedimento alla presa veloce delle decisioni e, soprattutto, un sistema attraverso il quale i rappresentanti degli elettori, da questi considerati una casta, una elite, vengono visti conniventi fra di loro ad operare più per il bene personale che per il bene delle comunità. Tutto ciò messo in risalto da numerose passate e attuali inchieste e sentenze della Magistratura, in particolare da quella italiana
In aggiunta alle ragioni sopraesposte, si può sicuramente affermare che con la caduta del muro che divideva Berlino in due settori di influenza contrapposti, dopo la seconda guerra mondiale, e la riunificazione della Germania in un unico Stato, gli equilibri strategici della politica mondiale, a partire dagli inizi degli anni 90 del XX° secolo, sono entrati in grave difficoltà ripercuotendosi anche sugli equilibri psicologici e sociali delle popolazioni.
Ha preso forma un’ansia riformatrice del sistema democratico tendente, in molti casi, al suo superamento. Si parla di post-democrazia; si parla del “dopo”. Nessuno, però, oltre a fare diagnosi, sa spiegare quando sarà possibile quel “dopo” né, tanto meno, dire di quali contenuti sarà riempito.
Una delle risposte messe in campo è il ritorno a forme di democrazia diretta in cui il cittadino non sia più rappresentato ma sia rappresentante di se stesso. C’è da notare, per inciso, che tali forme di democrazia sono oggi presenti, in ogni caso, solamente in un numero limitatissimo di piccoli stati (vedi Svizzera) e che, in grandi stati coesistono già con la democrazia rappresentativa (vedi istituto del referendum).
Dal punto di vista storico, successivamente alla sua nascita nella Grecia nel V° secolo avanti Cristo per mano di Pericle, il tema della democrazia diretta viene ripreso nel XVIII° secolo, con l’Illuminismo, da Jean-Jacques Rousseau e indicato come la sola forma di governo che supera l’infedeltà dei rappresentanti eletti e del degrado della delega politica (“… nel quale la specie umana e il nome di uomo è disonorato”).
Niente di nuovo, si potrebbe dire. Questa posizione (di Rousseau) la ritroviamo oggi con l’inserimento nel dibattito di vari personaggi della politica, della pubblicistica e dello spettacolo che, per dare forza al loro pensiero, adottano una pratica che viene comunemente definita populismo.
E’ un concetto, questo, che non ha un significato preciso, presenta contorni sdrucciolevoli, è soggetto alle più svariate interpretazioni e viene, prevalentemente, spesso usato da chi lo considera contrario alle proprie idee per etichettare un comportamento negativo. Nella individuazione del personaggio, movimento, partito è singolare e ragionevolmente corrispondente al vero la definizione del filosofo francese della politica Jean Leca quando afferma: “Quando dal popolo emergono argomenti ragionevoli sono popolari, se non ci piacciono sono populisti”.
E’ altresì interessante la posizione di Yves Mény, docente di scienze politiche e Presidente della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che dice: “…la democrazia negli anni ha saputo introdurre regole superiori di civiltà. Viceversa per il populismo esiste solo la voce del popolo, che tra l’altro è una voce spesso manipolata…….Nel populismo è frequente trovare un uomo che pretende di incarnare le aspirazioni e le frustrazioni di una parte del popolo”. (intervista di Antonio Gnoli su Diario di Repubblica del 12/11/2003).

Nel 1977 l’allora deputato Giorgio Napolitano, membro del PCI e in seguito Presidente della Repubblica Italiana, portava in evidenza la grave situazione politica e sociale che il Paese stava attraversando, pur riconoscendo essere in via di risoluzione la crisi economica che si era dovuta fronteggiare negli anni precedenti.
Avvertiva, però, che la ripresa economica avveniva in presenza dell’incerto andamento produttivo collegato anche alla difficile situazione dell’economia mondiale, ad un alto tasso di disoccupazione, in particolare con l’esclusione di una larga fascia di occupazione femminile e in presenza di masse ingenti di giovani disoccupati, al preoccupante pericolo di disgregazione del Mezzogiorno e in presenza di sacche di emarginati che nelle grandi città provocano un forte disagio nella società. “I pericoli che minacciano le istituzione democratiche vengono innanzi tutto da qui …”
Sembra la cronaca di questi giorni: quasi 40 anni dopo, la situazione non si può dire sia molto cambiata.
Chissà se il livello di corruzione nella pubblica amministrazione si trovava ai livelli che oggi registriamo?
La disaffezione dalla politica ha, quindi, un passo lungo nel tempo e l’antipolitica ha avuto molta acqua sulla quale galleggiare.
Ci si può stupire se nei talk-show televisivi da molto tempo la parola più gettonata sia populismo?
Ma, quale populismo? Qual è il populismo genuino e quale quello “taroccato”?

Dunque: Populismo.
Intorno al 1970 il dibattito sul tema prese nuovo vigore; si prese a parlare non solo di populismo ma anche delle nuove forme che venivano manifestandosi.
Oggi se ne parla molto, e viene molto praticato sia dalle opposizioni che dai governanti di ogni tendenza politica.
Semplificando al massimo, si può attribuire al termine un doppio significato:
– in negativo, identificando chi fa demagogia richiamandosi al popolo e attuando quella pratica politica che tende a ottenere il consenso popolare attraverso promesse o “visioni” fatte passare come importanti, se non addirittura indispensabili ma la cui realizzazione è difficile, se non impossibile.
– in positivo, chi governa traendo la sua forza dalle richieste del popolo e la usa per realizzare un programma di governo che, appunto, venga incontro agli interessi del popolo stesso.

E’ il significato negativo che oggi è maggiormente “visto” (e che preoccupa di più chi ha a cuore le sorti della democrazia, per le storture che ad essa possono essere apportate).
Vedremo più sotto come all’aggettivazione negativa corrisponda il termine più puntuale di demagogia. Potremmo dire, già ora, che, secondo buona parte degli analisti politici, la demagogia (negativo) e il populismo (positivo) trarrebbero entrambi la loro origine da una sorta di esasperazione malata e irrimediabile di esperienze di governo democratico, che non è riuscito a dare soddisfazione a tutte le componenti della società, dalle classi più abbienti alle più povere.
Gli argomenti portati da un populista, nell’accezione negativa vista sopra, sono i più vari e quasi sempre orientati “al bene del popolo”, il quale popolo è da lui visto non come la somma di singoli individui ma come un’unica entità indivisibile senza distinzioni interne di valori, cultura, classi. Il sospetto con il quale un populista (leggi demagogo) viene guardato corrisponde sovente ad una accusa se non peggio ad un insulto.

Allora, per potere meglio comprendere il significato del termine, rimanendo nell’ambito di nostro interesse, quello politico, facciamoci aiutare da due fonti diverse e autorevoli.

a) dal Dizionario della Lingua Italiana “il Sabatini Coletti:
– Atteggiamento o movimento politico tendente a esaltare il ruolo e i valori delle classi popolari.
– (spregiativo) Atteggiamento demagogico volto ad assecondare le aspettative del popolo, indipendentemente da ogni valutazione del loro contenuto, della loro opportunità.
– Movimento rivoluzionario russo della fine del XIX secolo, che propugnava l’emancipazione delle classi contadine e dei servi della gleba attraverso la realizzazione di una sorta di socialismo reale.
b) Dario Fo (premio Nobel per la letteratura):
il 7 marzo 2013 scriveva: “molti mi scrivono e mi telefonano, addirittura c’è chi mi ferma per strada chiedendomi: ma non le pare che Grillo, a parte il suo talento, sia di fatto un populista? Fermi tutti, rispondo, voi sapete che significato abbia la parola populista? Il dizionario dice che è populista colui che intende migliorare la posizione del popolo permettendogli di sfuggire alle violenze delle classi, ai ricatti e allo sfruttamento. Quindi è un termine positivo completamente opposto all’altro termine: demagogo. Forse coloro che con tanta leggerezza usano la definizione di “populista” per denigrare un oppositore, dovrebbero tornare sul dizionario e consultare il termine alla voce “demagogo” e scoprirebbero che al contrario quell’espressione significa “colui che, con ipocrisia ben calcolata, cerca di sfruttare l’ingenuità di una popolazione per trarre vantaggi indegni”.

E’ chiara, allora, la proposizione espressa più sopra circa i due significati, considerando la necessaria semplificazione e classificazione
Quindi, nell’uso che ne viene fatto oggi, a prescindere dalla posizione e dalle idee politiche di alcuni personaggi come Beppe Grillo, il termine populista andrebbe sostituito con il termine “demagogo”?
Sicuramente fa riflettere lo show messo in atto da Clint Eastwood, quando alla Convenzione repubblicana di qualche anno fa, dialogando con una sedia vuota sulla quale siede metaforicamente Barack Obama definisce i politici “i nostri impiegati”. (ovazione dei partecipanti).
Fra i politici italiani, ma anche nei giornali e in televisione, il termine populista viene usato molto spesso in modo scorretto. In aggiunta a ciò, c’è da rilevare che quando un termine viene inflazionato dall’uso lo stesso comincia a perdere il suo significato originale, diventa persino diafano, quasi trasparente creando una catena di distorsioni per la quale l’ormai “suono” perde sintonia tra la fonte e la destinazione.
Pierre – André Taguieff in L’illusione populista – Ed. Pearson Italia s.p.a. 2003 (a pag. 36) afferma che, a partire dagli anni 90 del XX secolo il termine ha fatto la fine della parola surrealista. Per un po’ di tempo era frequente, come per un tic, sentire affermare “ma è surrealista”, tanto quella parola era stata ormai svuotata di un significato preciso; infatti, “… l’uso eccessivo in qualsiasi occasione priva la parola della sua pertinenza.”
Molti hanno provato a definire i confini del termine e a individuarne il “genitore”. Si possono fare due considerazioni: la prima è che condivide con Democrazia il riferimento al popolo ma non ha vero status di teoria politica, la seconda è che, come afferma il politologo e ordinario di scienze politiche Marco Tarchi su Repubblica del 2003, “…ha molti padri, interpreti e seguaci ma nessun maestro”.
Vari studiosi e osservatori di cose politiche hanno provato a coniare nuove definizioni da attribuire al termine. Daniele Albertazzi e Duncan McDonnell nel volume Twenty-first century populism: The Spectre of Western European Democracy parlano di “una ideologia secondo la quale al ‘popolo’ (concepito come virtuoso e omogeneo) si contrappongono delle ‘elite’ e una serie di nemici i quali attentano ai diritti, i valori, i beni, l’identità e la possibilità di esprimersi del popolo sovrano” (fonte Wikipedia)
Abbiamo visto l’uso negativo o spregiativo che viene fatto del termine e come, comunque, sia difficile , nei singoli casi, identificarlo senza ombra di dubbio.
Proviamo, allora, a proseguire indagando sul fenomeno che, dalla fine del secolo XIX, si è espanso nel mondo passando da un populismo di tipo agrario delle origini ad uno più tipicamente economico e politico sviluppatosi fra la prima e la seconda guerra mondiale, limitandoci ad alcuni casi più significativi. Non occorre dimenticare, però, che lungo la storia, molte istituzioni democratiche si richiamarono al popolo; alla stessa democrazia ateniese fu spesso imputato il fatto di “proteggere” il popolo contro le elite del tempo.

Vediamo, quindi, di orientarci sulla nascita e la diffusione del populismo, a partire dalla fine dell’800.

Segue un piccolo atlante, largamente incompleto e sintetico in cui, all’interno di ogni realtà, populismo e demagogia formano, spesso, un mix inscindibile. In alcuni paesi il populismo diede vita a movimenti politici e ad azioni di governo, in altri si manifestò con limitate esperienze che declinarono in breve tempo. Occorre ancora aggiungere che il fenomeno (sia esso genuino o demagogico) non fu/è prerogativa di una particolare politica ma ha attraversato e attraversa tutti gli schieramenti politici, sia di destra che di sinistra.

Vediamo dove inizialmente sembra sia nato (Russia) e dove quasi in contemporanea si è diffuso (Stati Uniti). Arriviamo poi all’Europa, allungando lo sguardo alle realtà nazionali più significative.
Volutamente, in questa fase di analisi, si è tralasciato il resto del mondo.

1- Russia – le origini del populismo moderno:
Esso nacque negli ultimi decenni dell’800 e si protrasse sino ai primi del ‘900, nell’impero russo, con il nome di Movimento di Narodniky (da narod = popolo), in ambiente cittadino, ad opera di giovani intellettuali e caratterizzato da idee di socialismo popolare che idealizzava la comunità contadina. Esso aveva lo scopo di emancipare le classi contadine sottraendole alla pressione zarista, anche attraverso l’azione diretta rivoluzionaria (ricordiamo che nel 1881 si arrivò all’uccisione dello zar Alessandro II° ).

2 – Stati Uniti – la diffusione nel Nuovo Mondo
Nel 1891 negli Stati Uniti, a Filadelfia, sorse il People’s Party, conosciuto anche con il nome di Populists. Il partito era posizionato nell’area politica della sinistra americana e sostanzialmente a base contadina. Ebbe una visione un po’ romantica del popolo, formato da poveri, piccoli agricoltori del sud e coltivatori di cotone. La sua missione fu quella di proteggerlo dal potere prevaricante di banche, grande finanza plutocratica,ferrovie ed elite in genere; nella sua azione confermava lo stereotipo dell’onestà della classe contadina contro l’arroganza delle classi “parassitarie” al potere che “stringevano alla gola” le classi più basse. Dopo il 1908 la sua eco, gradualmente, si spense
Il termine populism, tuttavia, rimase radicato nella cultura nordamericana e non venne usato solo per descrivere la fisionomia di un partito ma assunse via via, nella lingua inglese, anche sfumature negative. Da qui, prese ad espandersi gradualmente in tutte le lingue occidentali. Negli Stati Uniti il populismo continuò a serpeggiare sottotraccia sia fra i democratici che fra i repubblicani.
Il caso ultimo e più evidente è quello di Donald Trump, candidato repubblicano alle primarie 2016 per l’elezione del nuovo presidente USA. In sintesi, Trump è l’erede di una forma di nazionalismo patriottico intriso di rivendicazioni xenofobe ai danni di messicani e musulmani, nativismo e anti-elitismo che usa i media come cassa di risonanza.

3 – Europa: La diffusione nel Vecchio Continente
(miniatlante europeo)
Questa rassegna dei populismi europei, di sinistra e di destra, è largamente incompleta ma rappresenta, significativamente, a che cosa potrebbe andare incontro l’Europa se i propri leader politici più attenti non riusciranno ad attivare processi politici e di rigenerazione ideale, tali da contrastare questi che sembrano reali fenomeni di “frantumazione” del continente.

A – Francia.
Il populismo, in questo Paese, ha una germinazione molto lontana, seppure mai identificata dagli attori delle varie epoche con questo nome. Se ne trovano tracce in Rousseau, transita per l’Illuminismo e la rivoluzione francese. Compare agli inizi del ‘900 la traduzione del termine inglese. Vennero coniate le parole “populiste- populisme”, con la necessità da parte dei mezzi di informazione, di spiegare sia le vicende politiche americane che russe.
Nel 1930 con il Manifeste du Roman Populiste, autore il romanziere Léon Lemmonier, si cerca con la letteratura e in particolare con il romanzo, di raccontare le condizioni della vita del popolo nelle varie realtà contadine e cittadine, sulla traccia delle esperienze letterarie russe, abbandonando le forme di esasperato intellettualismo e le complicazioni psicologiche del romanzo borghese.
Si parla spesso del populismo di Charles De Gaulle, che nel periodo 1958-1969 fu prima presidente del Consiglio, poi presidente della Repubblica. A causa di una certa retorica nazionalista fu, appunto, tacciato di populismo; di fatto, incarnò e trasmise ai francesi un forte senso dello Stato e la difesa degli interessi generali.
Solo nella storia recente della Repubblica francese si incontra una forma di populismo spiccatamente di destra, con accentuato carattere demagogico. Ci si riferisce al Fronte Nazionale, partito di estrema destra con molte somiglianze al Movimento Sociale Italiano, fondato nel 1972 da Jean – Marie Le Pen e successivamente guidato, dal 2011, dalla figlia Marine.
Il progetto politico del fondatore si basava, sostanzialmente, nella reintroduzione della pena di morte, forti restrizioni sull’immigrazione da paesi extraeuropei, e ritiro della Francia o maggiore indipendenza dall’Unione europea.

B – Romania.
Troviamo qui il termine nei primi anni del 900. Nel 1900 oltre l’80% della popolazione era formata da contadini, la maggior parte dei quali era sfruttata dai latifondisti terrieri . In questo Paese, soprattutto per mano degli intellettuali che avevano a cuore le sorti dei contadini, si provò a creare l’immagine del cittadino-contadino. In quel contesto presero corpo due correnti ideologiche: il marxismo e il Poporanism, termine importato dalla vicina Russia (tramite Constantin Stere,un rifugiato proveniente dalla Bessarabia – regione all’est della Romania e all’epoca appartenete ancora all’Impero russo- . che portava dalla Russia le idee del populismo russo) e derivante dalla parola “popor”, che in romeno significa “popolo”. Le due correnti ideologiche, pur essendo contigue anche per la loro comune matrice socialista russa, ebbero molti punti di disaccordo e di contrasto.
Gli eventi che coinvolsero la Romania nella prima guerra mondiale furono determinanti. Le elezioni a suffragio universale del 1919 portarono alla scomparsa dell’ideologia populista e la nascita di un partito che prese il nome di Partito contadino, il cui programma era principalmente incentrato sull’espropriazione dei latifondi, la formazione di cooperative e del credito fondiario.
Nel 1991 si presentò alla ribalta un nuovo partito di stampo demagogo-populista:
il PRM – Partito della Grande Romania, fondato da Corneliu “Vadim” Tudor, poeta e giornalista, leader xenofobo, omofobo, nazionalista e irredentista. Nel 2000 riuscì ad ottenere per il parlamento nazionale circa il 28% dei voti con 126 seggi. Gradualmente perse terreno sino a scomparire negli anni più recenti.

C – Polonia
Il primo vero fenomeno di populismo si incontra con l’entrata in scena di Lech Walesa, tra il 1980 e il 1990; in quel periodo la Polonia ha conosciuto una forma di populismo che ha cambiato quel paese. Il discorso di Walesa per la campagna elettorale alle elezioni presidenziali del 1990 può essere sicuramente visto come un mix di populismo e demagogia. “…voglio restituirvi la Polonia perchè possiate partecipare a tutto… il vostro programma sarà il mio programma. il mio programma non proviene dai libri ma dalla realtà polacca e da 25 anni di attività di operaio”.
Successivamente, comparvero sulla scena politica polacca i fratelli gemelli Kaczyńsk che, pur già ministri all’epoca di Lech Walesa, arrivarono in posizioni di alta responsabilità dal 2005 ad oggi.
(Lech Kaczyńsk è morto in un incidente aereo nel 2010 e il fratello Jarosław non è più primo ministro dal 2011).
Il PIS – Legge e Giustizia, fondato nel 2001 dai due gemelli, è accusato di forti venature populiste ed euroscettiche e cultore di un nazionalismo incontrollato e di esasperata xenofobia
In Polonia, il PIS, alle elezioni del 2011 ha raccolto il 29,9% dei voti collocandosi al secondo posto. Alle presidenziali del Maggio 2015, il suo candidato Duda ha vinto con il 51,5% dei voti

D – Grecia
Premessa per chiarire il contesto:
la storia della Nazione greca in epoca moderna ha inizio nel 1821 con la fine dell’Impero Ottomano e della sua occupazione, che durava dal 1453 (caduta di Costantinopoli). Da allora, per circa 150 anni, la Grecia fu squassata da continue guerre, prima, durante e dopo le due guerre mondiali, nonché da una guerra civile.
Il suo percorso democratico ebbe inizio nei primi anni del 1950, con una interruzione per il colpo di stato che fermò il processo democratico per circa sette anni dal 1967 al 1974.
1 – Il PaSoK: nel 1974, con la caduta del cosiddetto”regime dei colonnelli”, Andreas Papandreou fondò il PaSoK (Movimento socialista Panellenico). Nel 1981 divenne Primo ministro del governo greco, ottenendo il 48% dei voti, e formò il primo governo socialista della storia greca.
Secondo Stathis Kalyvas, politologo greco che insegna Scienza politica a Yale, nel suo libro pubblicato nel 2015 da Oxford University Press, “Modern Greece,” fu un governo di impronta statalista, con caratteristiche populiste e demagogiche. Lo studioso descrive il socialismo di Papandreou come caratterizzato da un’elevata dose di demagogia e da una politica economica tipica dei movimenti populisti: elevata spesa pubblica, bassa pressione fiscale e copertura della differenza tra entrate e uscite facendo debito e stampando moneta. Il tutto condito con retorica marxista, terzomondista e anti occidentale.
2 – Anche ND (Nuova democrazia), il partito conservatore di centrodestra, può essere considerato un partito populista. Vinte le elezioni nel 2007 ha governato la Grecia da solo o in coalizione sino al 2014. Può essere considerato una brutta copia del PaSoK in quanto, governando allo stesso modo, porterà la Grecia al disastro economico.
3 – Tsyriza: nel 2015 a vincere è la sinistra radicale con il partito di Alexis Tsipras che, a buon titolo, può essere identificato come un mix di populismo e keynesismo.
4 – Alba Dorata: lo troviamo fra i partiti minori, di forte connotazione populista. Un partito di estrema destra descritto dai maggiori media internazionali come una formazione neofascista e neonazista.

E – Italia.
Un recente studio curato dal giornalista e scrittore Gianni Riotta, e pubblicato da Counterpoint nel 2012, analizza il fenomeno del populismo in Italia datando la sua nascita al 1799 con la Repubblica Napoletana “… quando i giacobini democratici, ispirati dalla Rivoluzione Francese, instaurarono un governo democratico in città, proponendo al popolo riforme cui il regime monarchico dei Borboni, il più ottuso in Europa, per sempre si oppose.” (Stagioni del populismo italiano – pag. 9).
Lo studio è interessante in quanto attraversa la politica italiana dal periodo pre-fascista sino ai giorni nostri analizzando, lucidamente, i soggetti politici che di volta in volta si sono succeduti.
Il termine populista, tuttavia, sembra sia stato introdotto dopo la prima guerra mondiale.
Il 3 dicembre 1921 sulla rivista “L’Ordine Nuovo”, rivista fondata da Antonio Gramsci, che “usciva quando usciva”, comparve un articolo, sul tema del populismo, firmato da Piero Gobetti sotto lo pseudonimo di Baretti Giuseppe.
1 – Il fascismo, che in quel periodo aveva preso il potere sotto la guida di Benito Mussolini, non arrivò mai a definirsi populista eppure, parole come “aula sorda e grigia” riferite al Parlamento, l’esaltazione retorica del popolo, la celebrazione dei riti e delle adunate, l’esaltazione della gioventù, il mito del superuomo (Mussolini) che salva la Patria, sono alcuni esempi, di demagogia populista. Inoltre il fascismo iniziò a rappresentare il popolo non più come un insieme di entità differenti ma come una unica identità genetica nella quale ogni singolo si identificava.
Il fascismo, come il nazismo fece, appunto, propri molti temi della retorica populista.
Tra tutti, due:
– la demolizione del sistema parlamentare, visto come fonte di corruzione e
-la figura del capo che incarnava in sé l’anima del popolo.
Fu una esperienza politica che, al di là di un giudizio fortemente negativo di carattere storico e morale, la si può definire un mix fra populismo vero e populismo demagogico, nella quale, questa seconda connotazione prese sempre più il sopravvento.
2 – Nel primo dopoguerra nacque il Qualunquismo con Guglielmo Giannini, di chiara matrice demagogica anche se armato di buoni propositi. Nel 1944 venne fondato prima il giornale L’uomo Qualunque che, a detta del fondatore, aveva una missione chiara: “… Questo è il giornale dell’uomo qualunque, stufo di tutti, il cui solo, ardente desiderio, è che nessuno gli rompa le scatole”. Subito dopo sorse il partito Fronte dell’uomo qualunque nel quale si perseguiva l’obiettivo di gestire lo stato senza l’intervento di politici “… per governare basta un buon ragioniere che entri in carica il primo di gennaio e torni a casa il 31 di dicembre”. Il partito si presentò alle elezioni per l’Assemblea Costituente nel 1946 e alle politiche nel 1948 dove, praticamente, scomparve.
3 – Facendo un balzo in avanti, nel 1989 venne creato un nuovo movimento: la Lega Nord, che confederava alcuni partiti regionali del nord Italia. Fra questi il movimento autonomista lombardo fondato nel 1982 da Umberto Bossi e la Liga Veneta, presente alle regionale del Veneto nel 1983.
Viene considerato dagli osservatori politici come un partito a stampo populista le cui parole d’ordine, soprattutto nella Lega del primo decennio, si possono sintetizzare con: “Roma ladrona”, “padroni a casa nostra”, “blocchiamo gli immigrati”, la Padania ai padani”, “forza Vesuvio”, “i campi Rom? Io li raderei al suolo” ecc … nonché alcuni riti tra i quali , la cerimonia di prelievo dell’ampolla dell’acqua, alle fonti del Po a Pian del Re sul Monviso. Negli anni successivi, pur mantenendo il suo carattere populista/demagogo, il partito ha cercato di smorzare i toni aspri del primo periodo per poter virare dal contesto regionale a quello nazionale.
Con questa virata, però, la barca leghista ha finito, negli anni 2014-15, per appoggiarsi alle estreme destre francesi (Fronte Nazionale) e inglesi (UKIP – Patto dell’indipendenza del Regno Unito), nonché al movimento di Casa Pound, di chiara derivazione fascista.
4 – Nel 1994 Berlusconi, a seguito dello “sconquasso” politico e la frantumazione di alcuni partiti politici per lo scandalo della così detta Tangentopoli, “scende in campo” e crea Forza Italia.
Il partito viene definito da Guy Hermet, francese, professore universitario, saggista e storico delle democrazie e del populismo: “un esempio di populismo mediatico”. Ne sono esempio i discorsi demagogici, rimasti tali. Infatti sono finiti nel nulla: il milione di posti di lavoro promessi, la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, l’inglese, che doveva essere insegnato “decentemente” nelle scuole, la rinascita dell’Aquila dopo il terremoto, solo per ricordarne alcuni. Si tratta chiaramente di populismo/demagogia mediatica.
5 – Il 4 ottobre 2009 nasce Il Movimento 5 Stelle (M5S). E’ il “partito” politico italiano fondato a Milano dal comico e attivista politico Beppe Grillo e dall’imprenditore del web Gianroberto Casaleggio sulla scia dell’esperienza del movimento Amici di Beppe Grillo, attivo dal 2005.
Il M5S definisce se stesso non un partito ma una “libera associazione di cittadini”.
Presenta aspetti tipici di ogni movimento populista, in cui primeggia una certa ostilità verso il ceto politico “professionista” in contrapposizione all’immagine del “cittadino qualunque”, la propensione a forme elementari di democrazia diretta quali, ad esempio, le votazioni o i referendum via Web, il non volersi definire “onorevoli” (quelli eletti al Parlamento nazionale), bensì “cittadini” o “portavoce”.

F – Germania:
La traduzione iniziale del termini fu “Populismus”. A cura della estrema destra tedesca fu data preferenza, però, al termine Völkisch in particolare durante la Repubblica di Weimar (1919-1933) e nel Terzo Reich suscitando, a ragione, visioni di grande inquietudine.
La parola, sostanzialmente intraducibile, racchiude in sé i tre elementi fondamentali che caratterizzarono quel periodo, e cioè quello nazionale, quello popolare e quello razziale. Ragioni che rendono, però, il populismo tedesco molto diverso dagli altri populismi.
Adolf Hitler, dittatore nazista, sale al potere nel 1933 con il
1 – Partito Nazionale dei Lavoratori . Il suo rapporto di leader con il popolo che lo osannava lo fa entrare a pieno titolo nella categoria populista.

Nella Germania postbellica la parola populismo non ha avuto molta eco. Tuttavia, negli ultimi anni sono sorte forze politiche che sono state accusate di comportamenti e proclami molto vicini a questa espressione.
2 – AfD – Alternative für Deutschland (Alternativa per la Germania) è una di queste.
Il partito è nato nel febbraio 2013 su posizioni euroscettiche e, soprattutto, antieuro. Negli ultimi tempi ha aggiunto altri temi populisti e/o di destra: il rafforzamento della democrazia diretta (sul modello svizzero), la difesa della famiglia tradizionale, l’immigrazione e il patriottismo. I molti nostalgici della vecchia moneta, il Marco, hanno trovato la loro casa in questa forza politica che si posiziona nell’area di centro-destra ma distante dal partito nazionalista ed estremo NPD. Non a caso i loro fondatori sono, per la maggior parte, docenti universitari, imprenditori e giornalisti. I sostenitori del partito, di estrazione sociale medio – alta, intravedono, nella costruzione dell’Europa, rischi di natura prevalentemente economica.
Dato su sondaggi elettorali fra il 3 e il 5% , alle elezioni federali del marzo 2016 il partito, guidato dal 2015 da Frauke Petry, in tre Länder, ha preso, rispettivamente, il 15,1 % il 12,6% ed il 24,3 % diventando il terzo partito in Baden-Württemberg e il secondo in Sassonia-Anhalt, superando i socialisti dell’ SPD in entrambi i casi.

G – Gran Bretagna:
I principi di libertà, che ancora oggi governano le leggi dei maggiori stati democratici moderni, già erano presenti in quelle terre mentre nel resto d’Europa i princìpi dell’assolutismo erano fortemente radicati. Ciononostante moti e rivolte popolari anche cruente erano frequenti. Nel XIX secolo si formò un movimento politico-sociale che prese ispirazione dalla People’s Charter del 1838 E’ noto come Cartismo, derivando il nome da questo documento e, pur non potendolo definire come un movimento populista, contiene in sé molti elementi che si richiamano al popolo. Infatti, nel documento sono particolarmente indicative le richieste di elezioni a carattere universale, soppressione delle norme di elezione in base al censo e l’elezione annuale del Parlamento. Il movimento ebbe breve vita autonoma e lentamente confluì nei partiti pre-socialisti prima e socialisti poi.
In anni recenti, soprattutto ad opera di formazioni politiche, alcune minoritarie, di destra o estrema destra, si sono manifestati fenomeni di demagogia populista, sollecitati anche dalla pesante crisi economica. Tra questi, due in particolare:
1 – Il Bnp – British National Party, fondato da Nick Griffin è stato spesso criticato per aver promosso ideologie al limite della xenofobia. Il programma è fortemente caratterizzato da lotta all’immigrazione con la “deportazione degli immigrati illegali” nei loro paesi di origine, l’opposizione all’islamismo, la reintroduzione della pena di morte per chi uccide bambini o ufficiali di polizia, l’opposizione all’aborto e naturalmente l’uscita dell’Inghilterra dalla Comunità Europea.
Recentemente è stato messo in ombra dall’altro partito di destra
2 – L’Ukip – United Kingdom Independence Party
Il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito è senz’altro il più famoso e affermato di questi movimenti. E’ sostanzialmente un partito conservatore e nazionalista con venature populiste, e senza dubbio il suo programma ha molti punti in comune con i partiti di estrema destra europei.
Il suo fondatore, Nigel Farage, fa dell’euroscetticismo il suo punto di maggiore forza e consenso popolare. Nel Parlamento Europeo, Farage si è spesso scagliato contro le lobby, con particolare riferimento alle banche. La BCE è considerata un nemico che strozza la gente e l’euro una malattia che bisogna debellare. Nel 2011, mentre in Italia era stato formato il governo Monti, in un suo intervento in aula, ha detto apertamente che al governo greco e italiano erano stati instaurati, ad opera dei burocrati di Bruxelles, dei “governi fantoccio” più accondiscendenti ai programmi economici comunitari. Nelle elezioni locali del 2013 è risultato il terzo partito del Regno Unito con il 23% dei voti.

H – Belgio
NVA – Alleanza Neo-Fiamminga
E’ un partito politico di centrodestra fondato nel 2001. La sua principale rivendicazione è l’indipendenza delle Fiandre, nel quadro dell’Unione europea, in modo da creare uno stato federale, con poco competenze centrali e molto decentramento, formato dalle Fiandre a nord e dalla Wallonia a sud.
Da moltissimi anni la questione è stata posta dagli indipendentisti fiamminghi con uno slogan che si potrebbe tradurre con “Il Belgio? Che crepi”.
E Bruxelles, capitale sempre contesa fra nord e sud, cosa sarà per l’Europa?
Alle elezioni europee del 2014 questa formazione ha ottenuto il 16,5% dei voti.
Non è facile inserire questo partito fra i partiti populisti; certamente le sue proposte contengono una indubbia carica demagogica che lo fa sembrare tale.

I – Olanda,
Il PVV (Partito per la libertà), partito della destra liberale, nasce nel 2006 e già in quell’anno, alle elezioni legislative, guidato da Geert Wilders, raccoglie quasi il 6% dei voti.
Alle successive elezioni del 2012 si attesta sul 10% dei consensi.
Si configura come un movimento di cittadini e una piattaforma elettorale; non è infatti un partito tradizionale con iscritti, non svolge congressi e non riceve finanziamenti pubblici ma solo da parte di privati. (fonte Wikipedia)
E’ considerato una formazione populista e conservatrice con marcate caratteristiche di euroscetticismo e antislamismo. Mescola il rifiuto all’eguaglianza sociale con l’antipolitica e il contrasto all’immigrazione.

K – Spagna
Podemos (traduzione: Possiamo) è un partito di sinistra di area socialdemocratica. Nato nel gennaio 2014 si è subito affermato a causa delle pesanti ripercussioni della crisi economica acquisendo l’8% dei voti alle elezioni europee di cinque mesi dopo.
E’ stato fondato da alcuni attivisti di sinistra legati al Movimiento 15-M (noto anche come il movimento degli Indignados).
Facendo leva sui guasti provocati dalla crisi economica stessa, Podemos si è subito caratterizzato come partito populista per la sua forte opposizione alla “casta” e per alcune posizioni, apertamente demagogiche, come quella di requisire tutte le case di proprietà delle banche per darle agli sfrattati.
Il suo leader Pablo Iglesias inoltre, con le accuse di imperialismo agli Stati Uniti e lanciando l’idea di fare uscire la Spagna della Nato, ha dato motivo ai suoi critici di accusarlo di un populismo più simile a quelli sudamericani che non a quelli europei.
Tutto sta a vedere se nel tempo, avendo la possibilità di prendere la guida del governo, manterrà gli impegni o non sarà costretto ad una sterzata di 180 gradi come quella fatta da Tsipras in Grecia nel 2015.
Nel frattempo, il 26 giugno 2016, si sono svolte le elezioni politiche, a ridosso del referendum inglese Brexit del 23 giugno nel quale ha vinto il voto per l’uscita dalla Gran Bretagna dalla UE.
L’argomento Brexit è stato ignorato dai contendenti durante tutta la campagna elettorale ed il suo risultato è piombato sul voto degli spagnoli all’ultimo minuto.
La preoccupazione di risvegliare sopiti ardori secessionisti, ha probabilmente impaurito coloro che erano pronti a votare Podemos, con il risultato che il movimento è finito al terzo posto dopo il partito Popolare e il partito Socialista, impedendo a Pablo Iglesias, per questa tornata elettorale, di divenire Presidente del governo spagnolo

L – Austria
1 – FPO – Partito della libertà austriaco
Vale la pena di soffermarci su questo partito, in quanto rappresenta la cartina di tornasole di quello che potrebbe capitare all’Europa nel prossimo futuro.
E’ nato nel 1956 come partito pan-germanico (aspirazione politica a riunire tutte le popolazioni di lingua tedesca), liberal-conservatore e nazionalista.
Posizionato alla sua nascita in area di centro-destra, nel tempo, ha finito per spostarsi alla destra estrema assumente sempre più le caratteristiche nazionaliste ed euroscettiche con marcata connotazione populista.
Sino al 2008 si è posizionato su un consenso elettorale attorno al 10% con una punta nel 1999, di breve durata, del 27% favorita dalla spregiudicata campagna elettorale dell’allora segretario Jörg Haider.
Dal 2008 il partito ha iniziato una costante ascesa nei consensi elettorali, complice la marcata campagna anti immigrazione messa in atto.
Nel 2008, alle elezioni federali: 17,5%
Nel 2013 alle elezioni nazionali: 20,5%
Nel 2016 al primo turno delle elezioni presidenziali ottiene il 36,4% e si presenta come primo partito.
Al ballottaggio viene fermato dal candidato dei verdi che acquisisce la maggioranza per un pugno di voti. Siamo nel momento in cui l’Austria inizia ad alzare una barriera anti immigrati al Brennero e avanza l’intenzione di denunciare il trattato di libera circolazione di Schengen.
2 – TS – Team Stonach
E’ un partito collocato nel centrodestra. Viene fondato da Frank Stronach nel 2012 e alle elezioni nazionali del 2013 ottiene il 5,7% (11 seggi su 183). Viene qui citato per le sue caratteristiche di partito populista di ispirazione euroscettica e liberista. Propone meno tasse e l’uscita dall’UE.

M – Ungheria
1 – FIDESZ – Unione civica ungherese, è un partito conservatore e populista di destra, di ispirazione cristiana nato nel 1988 come formazione anticomunista.
Alle elezioni parlamentari del 1988 ottenne il 8,8% dei voti, che divennero il 29,4% nel 1998
Dal 2002, in alleanza con il Forum Democratico ungherese prima e con il Partito del Popolo Cristiano Democratico successivamente, ha continuato a crescere nei voti sino a portare la coalizione a raggiungere il 53% dei voti. E’ il partito del premier Viktor Orbán che, al governo dal 2010, ha dato seguito a quattro modifiche costituzionali restrittive delle libertà civili e politiche.
2 – JOBBIK – Movimento per una Ungheria migliore E’ un partito ultranazionalista, xenofobo, antisemita, anti-europeista.
Alle ultime elezioni politiche, quelle del 6 Aprile 2014, ha raggiunto il 20,2% dei voti.

Per concludere,
La carrellata sui populismi europei di sinistra e di destra, appena vista, non esaurisce il panorama mondiale di questo fenomeno. In tutti i continenti, e naturalmente anche nella parte europea non esaminata nel presente articolo, il populismo demagogico fiorisce e continua a fare proseliti in modo tale da poter essere visto quasi come un fenomeno endemico.
La speranza di un ritorno alla politica “sana” basata sulla ragione, anche in presenza di argomentazioni dibattute in modo aspro, non può e non deve essere accantonata come impresa senza via di successo,
Viviamo in un contesto storico-mondiale estremamente complesso dove pulsioni e spinte disgregatrici sono presenti in molte nazioni; le soluzioni possono essere pensate da politici che abbiano a cuore più le sorti delle proprie popolazioni che le proprie sorti personali. Purtroppo la cruda realtà ci mostra quanto sia rara la categoria “Dirigenti seri e capaci”.
Oggi, vicino a noi, iniziamo a vedere dove può condurre una politica scriteriata basata sul populismo demagogico.
Il 23 giugno 2016 , con il referendum denominato Brexit, la Gran Bretagna ha votato per l’uscita dall’Unione Europea. Le prime reazioni del mondo economico, finanziario e politico internazionale sono state di paura e sgomento. All’interno della Gran Bretagna, la Scozia e l’Irlanda del nord, contrarie all’uscita dall’Unione, minacciano la secessione.
E’ questa una vicenda paradigmatica di come una classe politica, dotata di scarse capacità progettuali, abbia alimentato le insoddisfazioni e soffiato sulle sofferenze delle classi più deboli per giungere a un risultato che, in ultima analisi, si ritorcerà contro quelle stesse classi.
In un’intervista, pubblicata sul Corriere della Sera del 4 luglio 2016, Wolfgang Schauble, ministro delle finanze tedesco, a proposito di politica “sana”, ha dato il seguente giudizio su Boris Johnson, accanito e “sbracciato” sostenitore dell’uscita dall’Unione: “Non mi è mai piaciuto, ma il modo con cui ha condotto questa campagna non corrisponde alla mia idea di responsabilità e serietà. Lui e la sua fazione hanno alimentato la campagna con tante esagerazioni e bugie”.
Pare che parte della stampa inglese abbia contribuito, a sua volta, a disinformare, per parecchi anni, persone meno dotate di capacità critiche diffondendo notizie su regolamenti inesistenti dell’ Unione Europea, che prevedevano la proibizione degli autobus a due piani, che vietavano di vendere le uova a dozzine (il sistema di misura inglese non prevede il decimale), che mettevano fuori legge il gioco delle freccette nei pub e altre amenità del genere.
E’, per appunto, a ciò che rischia di portare il populismo,
Prossimamente toccherà agli USA sperimentare questa politica con Donald Trump come presidente? La sua campagna per le primarie presidenziali è stata impostata su un mix di populismo e conservatorismo, dove le perle che maggiormente risplendono sono il suo aperto appoggio all’ulteriore allargamento all’utilizzo delle armi da parte di cittadini privati (che dire, nel frattempo, della strage di poliziotti perpetrata a Dallas-Texas il 7 luglio 2016 e a Baton Rouge-Lousiana una settimana dopo, come reazione, pare, all’uccisione di cittadini di colore da parte della polizia?) e la proposta di una moratoria sull’immigrazione delle persone di religione islamica.
E, come ciliegina finale, c’è da riferire e stigmatizzare il comportamento a dir poco sorprendente di Nigel Farage, leader del partito UKIP, e del suo principale alleato nella strategia referendaria anti Ue Boris Johnson, dopo il disastroso risultato, ottenuto con la vittoria del referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Ue, che hanno pensato bene di darsela a gambe levate di fronte alle loro responsabilità. Ambedue si sono ritirati, tra fine giugno e i primi di luglio di quest’anno, dalla lotta politica nel loro Paese.
La cronaca delle ultime ore rileva che, dopo le dimissioni del primo ministro Cameron, la guida del governo inglese è passata il 13 luglio a Theresa May che, per ragioni di equilibrio interno al partito dei Conservatori, ha sventato la tentata “fuga” di Boris Johnson cooptandolo nel governo e assegnandogli il Ministero degli esteri. In questa posizione, però , non potrà trattare di Brexit con l’Ue in quanto questo incarico è stato affidato al nuovo ministro David Davis.
Come dire: stattene lì e non combinare altri guasti.
Una riflessione amara su certi personaggi è quasi obbligatoria.
Quali conclusioni trarre da tutto ciò?
Ci dobbiamo affidare alla speranza?
Sicuramente, di una cosa c’è bisogno: oltre a una classe dirigente locale, che abbiano a cuore le sorti delle proprie popolazioni, di una classe dirigente a livello mondiale che sia capace di re-indirizzare i bisogni, le aspirazioni, l’immaginazione di popoli apparentemente “smarriti” e che nel contempo abbia le caratteristiche di serietà e responsabilità auspicate da Wolfgang Schauble, sulla cui politica economica si può legittimamente discutere, ma della cui serietà non è possibile dubitare.

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