Australia, disastro ambientale e miopia politica

Adriana F.
03-02-2020
Le drammatiche immagini degli incendi che dal settembre 2019 hanno colpito l’Australia hanno fatto il giro del mondo, accompagnate dalle notizie della loro inesorabile avanzata, che ha costretto a evacuare molte aree a rischio e ha raggiunto anche le periferie di città fittamente popolate.
Solo in gennaio la situazione ha iniziato a migliorare negli stati di Victoria e del Nuovo Galles del Sud per merito di un abbassamento delle temperature e di venti meno forti di quelli che avevano favorito il propagarsi delle fiamme. (1)
Lo stato più colpito dagli incendi è il Nuovo Galles del Sud: un centinaio di roghi attivi ha lambito Sidney (dove migliaia di persone sono state evacuate). Ma le conseguenze più serie si sono avute lontano dalla metropoli. Uno dei maggiori disastri è accaduto nella cittadina di Cooma, dove è esploso un serbatoio idrico e milioni di litri d’acqua hanno inondato le case e spazzato via le auto parcheggiate in strada. Ancora più drammatica la sorte di Balmoral, piccolo centro che è stato praticamente distrutto, mentre a Canberra (la capitale australiana) la qualità dell’aria all’inizio di gennaio era la peggiore al mondo, tanto che le autorità hanno invitato gli abitanti a non uscire di casa.
Nello stato di Victoria, un grave episodio si è verificato nella cittadina di Mallacoota (ridente centro turistico circondato da boschi), che non aveva ricevuto l’ordine di evacuazione. Così la sera del 31 dicembre, quando è arrivato il fuoco, gli abitanti e i turisti sono stati costretti a fuggire precipitosamente, muovendosi al buio per raggiungere la spiaggia ed entrare in acqua. La località è rimasta a lungo irraggiungibile da terra e le persone hanno dovuto essere evacuate via nave, essendo impossibile usare gli aerei per la scarsa visibilità causata dal fumo degli incendi.

Pesantissimo il bilancio dei danni subiti dall’Australia: 33 vittime accertate (tra vigili del fuoco e cittadini) e un numero imprecisato di dispersi, più di 11 milioni di ettari di terra bruciati, un miliardo di animali morti (stime del Wwf Australia), oltre 2.500 case completamente distrutte, decine di migliaia di abitazioni senza corrente elettrica, innumerevoli persone riversate nelle cittadine costiere dopo essere state evacuate dalle zone interne, antiche foreste carbonizzate e milioni di tonnellate di CO2 riversate nell’atmosfera (a Sydney, offuscata da una nube di polveri sottili, si è verificato un aumento del 10 per cento dei ricoveri ospedalieri). Gravi anche i problemi causati all’industria vinicola del sud dell’Australia e agli allevatori, che si calcola abbiano perso oltre 100mila capi di bestiame. E oggi il diciottesimo Paese più ricco al mondo, con quasi 50mila dollari di Pil pro capite, deve fare i conti con le richieste di risarcimento alle assicurazioni per le distruzioni provocate dagli incendi (stimati circa 165 milioni di dollari).

Il Primo Ministro Scott Morrison

In questo scenario dai contorni apocalittici, il 23 dicembre scorso il primo ministro australiano Scott Morrison è rientrato dalle vacanze alle Hawaii con qualche giorno di anticipo dopo aver appreso che due vigili del fuoco erano morti correndo a spegnere un incendio. Le scuse per la sua assenza, come riferisce il Post, sono state a dir poco ridicole per un personaggio con una carica così importante: “Sono certo – ha detto – che gli australiani siano imparziali e comprendano che quando fai una promessa ai tuoi figli cerchi di mantenerla”. Ha poi aggiunto che accettava le critiche ma che quello non era il momento delle divisioni. 
Già, niente divisioni! Per riparare alla figuraccia ha lanciato un richiamo all’unità e al senso di responsabilità (degli altri), forse per distrarre l’attenzione degli osservatori dal proprio comportamento irresponsabile.
Non è cambiata però la sua posizione sulla necessità di un’economia più rispettosa dell’ambiente. In un’intervista a Seven Network si è affrettato a precisare che non effettuerà tagli “sconsiderati”all’industria del carbone e non si impegnerà in obiettivi ambientali distruttivi per il lavoro”. Così ha aggiunto un’ulteriore autodifesa, continuando a negare l’urgenza di un impegno sul fronte ambientale.
La negazione dei cambiamenti climatici non è una novità in Australia. Anche il predecessore di Morrison, il conservatore Malcolm Turnbull, è sempre stato scettico verso le affermazioni degli scienziati sui pericoli che sta correndo l’ecosistema. Coerente con questa visione, nell’ottobre del 2018 il governo australiano ha rifiutato di aderire alle indicazioni del Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici, che prevedevano l’eliminazione graduale dell’utilizzo del carbone per produrre energia. A tale proposito Morrison ha più volte ribadito che la priorità del governo è quella di “assicurare che i prezzi dell’elettricità siano più bassi per le famiglie e per le aziende”, e considera l’allarme degli studiosi una forma di“terrorismo psicologico”. Lui, invece, sostiene che si può benissimo andare avanti come in passato.
Di fatto l’Australia è uno dei maggiori esportatori mondiali di carbone e questo combustibile fornisce il 60% dell’elettricità nel continente e 50.000 posti di lavoro. Ma le posizioni negazioniste sono sostenute dalla lobby del carbone che cerca di preservare i propri interessi sollecitando l’adozione di una tecnologia sperimentale (la Ccs, Carbon capture and storage), costosissima e controversa, che permetterebbe di stoccare sottoterra o sotto il mare la CO2 prodotta dall’uso di combustibili fossili. Una strada poco praticabile a parere degli esperti, visto che i progressi tecnologici in questo settore sono troppo lenti per consentire la necessaria riduzione di emissioni in tempi brevi.
Le critiche dei Verdi australiani, inutile dirlo, non hanno smosso minimamente la posizione del primo ministro, che anche nel discorso alla nazione in fiamme del Capodanno 2020, si è ben guardato dal collegare gli incendi alle emissioni di carbonio e ai cambiamenti climatici, affermando che gli australiani sono abituati ad affrontare “catastrofi naturali, inondazioni, guerre mondiali, malattie e siccità”.

Eppure la realtà lo sta sconfessando. Molti cittadini australiani hanno iniziato a sospettare che la violenza, la vastità e la durata degli incendi siano riconducibili al caldo anomalo registrato per molti mesi nel continente. Sono quindi aumentate le critiche alle scelta del governo sulle problematiche ambientali e i dubbi sui veri motivi di tanto attaccamento all’industria del carbone. Qualcuno ha anche frugato nel passato del premier “negazionista” rispolverando una sua battuta“spiritosa” del 2017, quando si è presentato in Parlamento con un pezzo di carbone, dicendo “non dovete aver paura, non vi farà male”.
Più in generale la reazione della gente, soprattutto nei piccoli centri più colpiti dalle fiamme, nasce dall’indignazione per la mancanza di interventi tempestivi che avrebbero potuto mettere in sicurezza città, paesi e villaggi e contenere l’entità dei danni. In un video che ha fatto il giro del mondo, per esempio, il primo ministro è ripreso mentre viene fortemente contestato dagli abitanti della cittadina di Cobargoper aver fatto troppo poco durante l’emergenza.
Ancora non possiamo sapere quanto influirà il dramma vissuto dalla popolazione sul consenso elettorale al partito di Morrison, ma certamente il primo ministro dovrà rimboccarsi le maniche per rimediare alla perdita di credibilità che la sua immagine ha subìto nell’ultimo mese.

Note:
(1) Un aggiornamento del 25 gennaio dell’agenzia AGI informa che in questi giorni la situazione è mutata: in Australia si segnalano tempeste e alluvioni, con venti a 100 km all’ora e tempeste di polvere che trascinano auto, case e animali in fuga, mentre le ceneri trasportate dalle piogge causano una moria di pesci. Condizioni ancora una volta estreme, che dovrebbero far riflettere.

 

 

 

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