Le parole giuste per dirlo

Ci sono situazioni di estrema gravità, rispetto a cui è doveroso usare i termini più appropriati per far comprendere al mondo cosa sta davvero accadendo in alcuni scenari di guerra. Come nel caso di Gaza.

Adriana F:
02-11-2025
Immagino che nessuno, se non qualche antisemita da strapazzo, abbia gioito per il rapimento operato da Hamas dei cittadini israeliani nell’attacco terroristico del 7 ottobre. In quella operazione oltre 1200 civili e militari israeliani furono uccisi e circa 250 persone furono prese in ostaggio e portate a Gaza.
Le forze di difesa israeliane risposero dichiarando guerra a Hamas e conducendo una vasta campagna di bombardamenti aerei su Gaza, seguita da un’invasione terrestre su larga scala con l’obiettivo dichiarato di distruggere l’organizzazione, liberare gli ostaggi e garantire il controllo della sicurezza a Gaza. Ma quello che nessun osservatore si sarebbe aspettato sono state le dimensioni e la ferocia della risposta israeliana, che ha preso di mira soprattutto i civili (considerandoli complici dei terroristi). Durante le operazioni militari, infatti, Israele non solo ha costretto quasi due milioni di persone a sfollare, ma ha anche ucciso un numero impressionante di palestinesi, tra combattenti e civili. Il tutto senza avere alcuna certezza di colpire i terroristi, probabilmente già al sicuro in nascondigli a prova di attacchi.

Sembra quindi appropriata l’accusa di genocidio mossa dal Sudafrica davanti alla Corte Internazionale di Giustizia nei confronti di Israele, a cui ha chiesto di imporre un cessate il fuoco immediato. Una richiesta motivata dal modo indiscriminato con cui uno Stato dotato di strumenti militari d’avanguardia ha imperversato sul territorio abitato dai palestinesi, radendo al suolo case, scuole, ospedali, sedi di organizzazioni umanitarie e persino fonti di approvvigionamento di cibo e di acqua potabile.
Molti osservatori di quel teatro di guerra, però, hanno fatto notare che la sproporzione della risposta all’attacco subito, attribuendone le motivazioni anche a un interesse personale del responsabile. Infatti Bibi (nomignolo buffo, che non si addice affatto a un capo di stato stragista, quale si è rivelato il personaggio in questione) avrebbe dovuto affrontare un processo per corruzione, che ovviamente è stato sospeso per l’emergenza della guerra.
Nel vergognoso silenzio generale dell’Europa, affetta da strabismo politico e diplomatico, e a lungo allarmata soltanto dal dramma che stava vivendo l’Ucraina, la caccia ai terroristi si è trasformata in sterminio di massa e città rase al suolo. Senza peraltro ottenere alcun successo rispetto all’obiettivo dichiarato.
Ma se i governi europei si sono girati dall’altra parte, la drammatica situazione di Gaza ha scandalizzato i cittadini dell’Unione, che hanno organizzato manifestazioni di piazza molto partecipate per esprimere accorate proteste. Tra queste va segnalata l’iniziativa internazionale della rete dei Preti contro il genocidio, che ha ottenuto 550 adesioni. E non solo: perfino numerosi abitanti di Israele (attivisti per i diritti, comuni cittadini e familiari dei rapiti) hanno criticato la strage di civili palestinesi, che oltre tutto metteva a rischio la vita dei loro stessi cari con i continui i bombardamenti sui territori palestinesi. 

Al momento, data la stravaganza del personaggio, non sappiamo se il recente intervento di Trump avrà un esito davvero positivo, visti gli esiti deludenti di altre iniziative di pace, avviate e subito dopo abbandonate dal Tycoon. La cosa certa (incredibile a dirsi) è che nell’accordo non si parla  degli abitanti di Gaza. I quali, tornando, trovano città e villaggi completamente distrutti. Cumuli di macerie, insomma, come quelli visti nei documentari sulle città tedesche bombardate dagli alleati alla fine della seconda guerra mondiale. Con la differenza che in quel caso la Germania aveva invaso gli altri Stati ed era stata sconfitta, mentre qui si è trattato di un assalto all’ultimo sangue di un esercito contro una popolazione, parte della quale del tutto estranea ai rapimenti.
Da ultimo vale la pena di sottolineare un fattore importante molto sottovalutato: il costo ambientale della guerra, ovvero i danni invisibili degli armamenti. Sì, perché, come giustamente sottolinea Avvenire[1], “la guerra non distrugge solo città e vite, ma anche l’ambiente che ci è dato in custodia” (…) Mentre la corsa al riarmo accelera — drenando risorse economiche e umane — cresce anche il costo ambientale di un sistema che investe nella distruzione più che nella cura (…) Tra contaminazione dei suoli, foreste incendiate e perdita di biodiversità, resta un debito ecologico che durerà ben oltre la fine dei conflitti.  In un momento storico in cui la pace è più che mai imperfetta e fragile, dobbiamo chiederci: quale mondo vogliamo lasciare ai nostri figli e a chi verrà dopo di noi?”.
Quanto alla mediazione di pace del logorroico presidente statunitense, consiglio di leggere un articolo di Volere la luna, che spiega in dettaglio come ad armare Israele degli strumenti bellici più efficienti abbiano abbondantemente contribuito proprio gli Stati Uniti, il cui presidente ora si vanta della tregua concordata.

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Note:
[1] Avvenire, Newsletter dell’11 ottobre 2025
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