Mercato del lavoro e politiche di inclusione

Cristina Rollando
03-07- 2025

Il mercato del lavoro negli ultimi anni ha subito cambiamenti importanti. Abbiamo assistito a molteplici fenomeni che hanno, da un lato, alimentato un dibattito serrato sulle motivazioni e sulle cause scatenanti, e dall’altro hanno acceso campanelli d’allarme sul mismatch tra domanda e offerta.
Per citare alcuni esempi, tra i più significativi:

    1. Il fenomeno della “Great Resignation”, o “Grandi Dimissioni, che ha fatto la sua comparsa in tempo di pandemia. Nel 2022, l’’Osservatorio sul precariato INPS aveva dato l’allarme su questo fenomeno dopo aver riscontrato che, rispetto al 2021, le dimissioni erano aumentate di oltre un terzo. Lavoratori con contratti di lavoro a tempo indeterminato che lasciano il proprio posto di lavoro, non sempre con un progetto di vita alternativo definito.
      Più di un lavoratore italiano su due, infatti, sta cercando un nuovo posto di lavoro o inizierà a farlo.
    2. Due ricerche (Workmonitor) e (Employer Brand Research<—(clicca per leggere), condotte annualmente dalla società Randstad, una delle principali agenzie per il lavoro in Italia, confermano questo trend, indagandone le radici all’interno di una molteplicità di fattori: senso di appartenenza, fiducia nel management, conciliazione tra vita e lavoro, opportunità di crescita e formative all’interno dell’azienda.
      Secondo le ricerche circa il 29% dei dipendenti si muove per cercare nuove opportunità di lavoro; la percentuale sale all’abbassarsi dell’età (tra i 25 e i 34 anni è del 38%).
      Se si considera la fascia di età compresa tra i 18 e i 34 anni, la percentuale sale addirittura al 51%.
      Dopo la pandemia, le persone non sono più disponibili ad anteporre il sacrificio per il lavoro al benessere e si pongono come obiettivo prioritario un equilibrio più sano tra vita lavorativa e vita professionale.
    3. Altro fenomeno degli ultimi anni, il “quiet quitting”, o “abbandono silenzioso”; è un fenomeno per cui un dipendente riduce il proprio impegno lavorativo al minimo indispensabile, senza però dimettersi formalmente.
      Secondo il report “State of the Global Workplace 2024” di Gallup (società internazionale di consulenza e analisi dati), il 25% dei lavoratori italiani è “attivamente disimpegnato”, contro il 16% della media europea. Inoltre, solo il 41% afferma di “stare bene” (vs. 47% europeo) e il 46% dichiara di sentirsi stressato (vs. 37% europeo).

Oltre ai fenomeni sopra descritti, altri elementi concorrono a creare destabilizzazione e criticità nell’attuale mercato del lavoro.
In primis il problema della denatalità, che oltre a creare disequilibri sul versante pensionistico, contribuisce ad aggravare la carenza di figure professionali da inserire all’interno delle aziende.
In secondo luogo il costo della vita che, in particolari contesti, depaupera il territorio di potenziali lavoratori. Per fare un esempio da vicino, una città come Milano ha registrato negli ultimi 10 anni un aumento del costo della vita di circa il 25% (dati statistici Comune di Milano).

Il settore dei trasporti, che da sempre assorbiva forza lavoro proveniente dal Sud, non riesce più a trovare lavoratori disponibili, anche a causa di stipendi che non reggono l’aumento esponenziale dei prezzi. Eppure a ottobre dello scorso anno, Atm, l’azienda milanese che gestisce il trasporto pubblico cittadino, aveva dichiarato di voler assumere 400 autisti per sopperire a una carenza definita emergenziale.

Ma se allarghiamo lo sguardo, la lente ci restituisce un’immagine di costellazioni “affamate” di personale qualificato: settori in cui le aziende non riescono a trovare risorse umane, nonostante, a marzo 2025, in Italia, la disoccupazione fosse pari a 1.555.000 unità, con un tasso di disoccupazione  (clicca) del 5,90% (secondo Trading Economics).
Dai dati del bollettino del sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e ANPAL, così come dall’ultima ricerca di Assolavoro DataLab, Osservatorio dell’Associazione nazionale delle agenzie per il lavoro, emergono, tra i settori colpiti:

    • Ambito sanitario: mancano 45.000 medici e 53.000 infermieri
    • Settore manifatturiero: servirebbero 280.000 tecnici altamente specializzati
    • Altre figure professionali ricercate: agenti immobiliari, analisti, venditori, operatori socio-sanitari, insegnanti

In considerazione di una fotografia che restituisce un mercato del lavoro estremamente instabile e affaticato, bisognerebbe pensare a quali strumenti e quali strategie sono a nostra disposizione nell’immediato per gestire la crisi. A cosa possiamo attingere per immettere sul mercato lavoratori preparati e coprire i fabbisogni?

Sicuramente si potrebbe pensare a una sinergia maggiormente efficace con le politiche di inclusione per l’immigrazione, che di per sé dovrebbero puntare a favorire l’inserimento sociale, economico e culturale dei migranti nella società di accoglienza.

Bisognerebbe inoltre elaborare e attuare progettualità rivolte ai migranti che fossero funzionali in tema di formazione, addestramento, preparazione e inserimento degli stessi all’interno, almeno, di alcuni specifici contesti dove la professionalità richiesta e la relativa preparazione, può essere cantierabile in tempi contenuti.
Un esempio tra tutti, è il settore sanitario con riferimento alla figura professionale dell’Operatore Socio Sanitario (OSS).
A tale proposito si evidenzia l’esperienza di The Human Safety Net, Fondazione creata nel 2017 da Generali, una delle principali compagnie assicurative al mondo.

I programmi di The Human Safety Net offrono sostegno a famiglie con bambini piccoli e promuovono l’integrazione dei rifugiati attraverso il lavoro.

Ad ottobre dello scorso anno la Fondazione ha presentato il progetto per la formazione e l’inserimento lavorativo di 300 ausiliari socio assistenziali (Asa), caregiver e operatori socio sanitari (Oss) nelle regioni Lombardia, Lazio ed Emilia Romagna, offerto a rifugiati e migranti di 18 Paesi diversi e che attualmente risiedono in Italia.
Oggi in Italia gli over 65 rappresentano il 24% della popolazione, si stima che questa percentuale crescerà di 10 punti entro il 2050, mentre i caregiver professionali sono circa 1,2 milioni.
Nel Paese risiedono 5 milioni di cittadini stranieri, di cui oltre 3 non comunitari e, tra il 2021 e il 2022, si è registrato un aumento del 556% di richieste di asilo e protezione internazionale, seguite dai ricongiungimenti familiari e dai motivi di lavoro.
Il progetto, partito a gennaio 2024 e che si concluderà a giugno 2026, vede attualmente oltre 100 beneficiari in fase di tirocinio, dopo la formazione teorica in aula, e rappresenta il rinnovato impegno di The Human Safety Net e Generali Italia a favore di rifugiati e migranti nel Paese.

L’iniziativa, che si pone l’obiettivo di creare un modello che possa essere esteso e replicato in altre regioni italiane, conta sulla collaborazione di soggetti impegnati nel mondo dell’accoglienza e della formazione professionale in grado di creare percorsi virtuosi e inclusivi: enti del Terzo Settore e del Non Profit, enti di formazione e strutture socio-sanitarie sul territorio nazionale.

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