Rifugiati e migranti economici

Gabriella Carlon
27 ottobre 2017
Nel nostro ordinamento e anche nel nostro modo di pensare rifugiati e migranti economici sono categorie ben distinte: i primi hanno diritto di asilo, i secondi no, anzi sono passibili di respingimento.
Rifugiato è chi è fuggito dal proprio paese a seguito di discriminazioni politiche, religiose, razziali: ospitato in un paese straniero ha diritto al riconoscimento legale del suo status e non può essere soggetto a respingimento.
Migrante economico è chi lascia il proprio paese per cercare migliori condizioni di vita e di lavoro e magari, con le rimesse, permettere a chi è rimasto nel paese d’origine di vivere un po’ meglio.
Ci saranno tante persone che abbandonano famiglia, amici, casa e ambiente culturale per desiderio di arricchimento o di avventura? Forse qualche caso isolato c’è, ma nella stragrande maggioranza i migranti economici sono spinti da condizioni di vita inaccettabili per mancanza di beni necessari a una vita umana, dal cibo all’acqua, dalla sanità all’istruzione. E sembra che coloro che partono non siano i più diseredati!
Diritti civili e diritti sociali
Il diverso orientamento giuridico (sì ai rifugiati, no ai migranti) deriva dal diverso modo in cui sono tutelati nel mondo occidentale i diritti civili e i diritti sociali: i primi sono garantiti, i secondi no.

Ginevra - La sede dell'UNHCR
Ginevra – La sede dell’UNHCR

L’ONU ha istituito un organismo per la tutela dei rifugiati (UNHCR) nel 1951, a seguito di una delle Convenzioni di Ginevra, perfezionata con un Protocollo del 1967 che ha tolto ogni limite spaziale o temporale al fenomeno dei rifugiati. In verità la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 elenca, accanto ai diritti di libertà, anche il diritto al cibo, alla casa, alla salute e all’istruzione. Ma quale organismo internazionale tutela chi migra perché non può godere di questi diritti?
Anche nella nostra Costituzione sono garantiti i diritti civili e politici ma non quelli sociali, che pure sono proclamati. La conclusione è che all’individuo viene garantita libertà di pensiero, parola, stampa e associazione ma non libertà dalla fame. Alla quale si provvede magari con opere caritatevoli, ma non con garanzia giuridica. Su questa differenza poggia il principio del respingimento.
Forse è tempo di fare una riflessione: il diritto al cibo e all’acqua garantisce il diritto alla vita; e come dovrà essere considerata un’esigenza così prioritaria?
Eppur si muove ….
Sul tema delle migrazioni qualcosa si è mosso: il concetto di rifugiato ha già subito un allargamento, infatti anche chi scappa da una guerra o da un contesto violento è considerato rifugiato perché è in pericolo il suo diritto alla vita (difficile è poi stabilire cosa sia guerra o violenza).
Nell’attuale dibattito fa capolino la categoria del rifugiato ambientale, cioè di colui che è costretto a migrare per catastrofi provocate dai cambiamenti climatici (siccità, inondazioni, infertilità del terreno).
Il problema è grave. Nel 2016 gli sfollati a causa di disastri naturali sarebbero stati 24,2 milioni; secondo stime ONU la prolungata siccità del Sahel potrebbe causare da qui al 2020 mancanza di acqua per 250 milioni di persone; secondo la Banca Mondiale nel 2040 potrebbe diventare inadatto alla coltura di cereali tra il 40 e l’80% del territorio sub sahariano. Queste previsioni spingono da un lato a prospettare l’inclusione nella categoria del rifugiato anche di coloro che scappano dalla fame e dall’altro a mettere in atto politiche che portino reale sviluppo nei paesi di provenienza. Ma tutto ciò richiede tempi lunghi.
Intanto bisognerebbe aprire canali di approdo legittimi e costruire pratiche di vera integrazione, sostenibili sia dai paesi europei sia dai paesi limitrofi a quelli in crisi, dove per altro si riversano, in prevalenza, i migranti di qualsiasi categoria.
L’orientamento più lungimirante non sarà forse quello che trova strategie di integrazione, piuttosto che di respingimento?

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