Una riflessione sulla Costituzione

Gabriella Carlon
30-11-2016
costituzione-italianaMi sembra che il termine democrazia rappresentativa possa essere inteso in molti modi: ne voglio richiamare tre fondamentali.
Il primo livello è quello formale: si ritiene democratica una struttura politica in cui i cittadini sono chiamati a votare a scadenza fissa in un contesto di pluripartitismo. Chi vince comanda e la minoranza ha diritto di tribuna ma nessun potere reale. Si garantisce così la stabilità del Governo con la preminenza del potere esecutivo.
Un secondo livello prevede la preminenza del Parlamento, organo rappresentativo a elezione diretta dei cittadini con sistemi elettorali che garantiscano la rappresentanza più larga possibile. Inoltre è favorita la presenza di forme associative intermedie (partiti, sindacati, movimenti) che coinvolgono i cittadini in varie modalità di partecipazione. Di esse si tien conto nella formazione dell’opinione pubblica e nella stessa attività politica in senso stretto.
Tale assetto tende a creare una società inclusiva, cercando la mediazione tra interessi conflittuali e visioni contrapposte. Massima deve essere la libertà d’informazione per alimentare uno spazio pubblico di discussione e confronto in parità. La maggioranza governa con limiti ben definiti dalla Carta costituzionale che tutela diritti universali e stabilisce organismi di controllo eletti da una piattaforma più ampia della maggioranza di Governo.
Un terzo livello prevede strutture legislative e socio-economiche che diano attuazione concreta a una tendenziale uguaglianza tra i cittadini in una società solidale, dove la ricchezza prodotta venga redistribuita e i diritti fondamentali (civili, politici, economici) siano non solo proclamati ma garantiti a tutti.
La Costituzione italiana del 1948 appartiene, come ognun sa, al secondo livello (con punte verso il terzo, mai attuate).
Dove ci conduce la revisione in corso sottoposta a Referendum? Ci conduce al primo livello, perché l’organo politico che ha più potere è il Governo, stante una legge elettorale che attribuisce un esagerato premio di maggioranza al partito vincente; si dà poi una data certa ai disegni di legge governativi ma non a quelli di iniziativa parlamentare o popolare (per questi ultimi, tra l’altro, si alza il numero di firme necessario) in modo da condizionare pesantemente il Parlamento. Inoltre si abbassa, dalla settima votazione, il quorum per eleggere il Presidente della Repubblica, così il potere esecutivo può eleggere uno dei propri controllori! Si aggiunga che il Governo ha la supremazia sulle Regioni.
Purtroppo l’orientamento a sbilanciare il potere a favore dell’esecutivo non è solo italiano, ma è il riflesso politico del capitalismo finanziario globalizzato. Val la pena di ricordare che la banca J.P.Morgan in un documento del 2013 aveva indicato come negativi quattro aspetti delle Costituzioni europee (secondo lei socialiste) del dopoguerra: debolezza dei Governi rispetto ai Parlamenti; eccessivo potere alle Regioni; eccessiva libertà di protesta; tutela del diritto al lavoro in Costituzione. Il neoliberismo ha bisogno di una democrazia di basso livello per perpetuare la iniqua distribuzione della ricchezza dell’attuale modello economico. Le riforme in atto si iscrivono in questa linea: il Jobs Act ha fatto la sua parte per quanto concerne il diritto al lavoro, la Buona Scuola ha limitato il diritto universale all’istruzione, facendo venir meno la capacità inclusiva.
Se vogliamo una possibilità alternativa a questo modello, dobbiamo difendere la Costituzione attuale, che dovrà essere ritoccata su alcuni punti per renderla più efficace tecnicamente, ma non per stravolgere il concetto di democrazia che vi è sotteso e incorporato. La Costituzione è tutt’altro che vecchia, anzi, se si volesse attuarla, sarebbe un ottimo programma politico per il futuro.
Ma che cosa è il nuovo? Che cosa la modernità? Un mondo globalizzato dominato dal neoliberismo individualista o un mondo conviviale in cui i diritti siano universali?
Questa è la vera scelta.

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