Pensierini sulla flat tax

Gabriella Carlon
03-12-2022

Ho già sottolineato, in altro articolo, che la flat tax è in palese contrasto con l’art. 53 della Costituzione, oltre che essere politicamente disastrosa sul piano sociale.
Ma la forma in cui il Consiglio dei Ministri (per altro in continuità con il Governo Draghi) ha deciso di darle attuazione mi sembra doppiamente incostituzionale. Infatti crea una categoria di cittadini privilegiati rispetto agli altri, in barba al principio di uguaglianza non solo sostanziale, ma addirittura formale, quando è noto che l’uguaglianza formale è il fondamento dei sistemi democratici occidentali.
Continuare a mantenere e anzi ampliare (da 65.000 a 85.000 euro) la platea dei cittadini con partita IVA che godono della flat tax con aliquota 15% crea una disparità assurda e inspiegabile rispetto ai cittadini lavoratori dipendenti e pensionati, che vengono tassati, per il medesimo reddito, con aliquote che sono due o tre volte tanto. In virtù di quale principio costituzionale?
La Presidente Meloni ha sostenuto che si tratta non di favorire i ricchi, bensì i ceti produttivi: forse che i lavoratori dipendenti sono improduttivi? E i pensionati devono essere puniti perché, dopo essere stati produttivi per decenni, continuano a vivere? Mi chiedo quali siano i valori che l’attuale Governo vuole salvare.
Oltre che essere un provvedimento dal sapore del voto di scambio, per altro in coerenza con la campagna elettorale, non si possono non vedere altre conseguenze negative se si colloca questo punto nel contesto della legge di Bilancio. Intravvedo due conseguenze possibili. La prima: che ogni partita IVA cercherà di non fatturare oltre il limite di 85.000 euro, ricorrendo per le cifre eccedenti ai pagamenti in nero e all’evasione fiscale, già ampiamente diffusa e mai seriamente combattuta. La seconda: che farà aumentare la platea delle false partite IVA, cioè del lavoro dipendente travestito da lavoro autonomo. Sarà infatti più facile convincere ad accettare un finto lavoro autonomo perché più conveniente rispetto a un lavoro a tempo indeterminato ma dipendente. Sappiamo però che lavoro precario vuol dire meno diritti e meno garanzie, sul piano del salario, dei diritti, della sicurezza sui luoghi di lavoro. Infatti il lavoratore, avendo una posizione più precaria, sarà facilmente ricattabile, perché un rapporto di prestazione, collaborazione o consulenza può essere rescisso facilmente; mentre il datore di lavoro potrà rimodulare i tempi, i compensi per le prestazioni e le condizioni di lavoro senza dover rispettare le tutele del lavoro dipendente.

Si può sperare che in Parlamento l’opposizione corregga simili storture? Che qualcuno si ricordi dei principi costituzionali? Ne dubito, ma stiamo a vedere.

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