… una gente che libera tutta
o fia serva tra l’Alpe ed il mare;
una d’arme, di lingua, d’altare,
di memorie, di sangue e di cor .
(A. Manzoni, Marzo 1821)
Gabriella Carlon
26-03-2023
E’ incredibile come le nostre menti siano tuttora prigioniere del nazionalismo, cioè di una ideologia ottocentesca: non riusciamo a pensare i rapporti tra gli umani in modo nuovo e diverso. Lo stato-nazione, costruito in Europa in epoca moderna, insiste su un territorio i cui confini hanno un carattere sacro: per la difesa di questi confini bisogna essere disposti a dare la vita. In quest’ottica la Presidente Meloni nel suo recente viaggio a Kiev ha paragonato la guerra attuale del popolo ucraino alle guerre di indipendenza del Risorgimento italiano, mostrando il fondamento ottocentesco della sua concezione dello Stato. Ma anche in un editoriale di E. Galli della Loggia si sostiene che “La guerra [in difesa della patria] mette in gioco la tenacia, la forza di volontà, il coraggio, anche l’abnegazione di cui siamo capaci, e dunque i valori personali e collettivi a cui siamo stati educati e in cui siamo cresciuti. Evoca per sua natura l’idea che esista qualcosa di più importante e quindi di più grande della nostra vita. In questo senso essa è a suo modo una terribile prova di altruismo. Che gli ucraini stanno affrontando nella maniera che si sa. E forse il pacifismo nostrano è solo il rimorso (forse anche un rimosso rimpianto?) per la consapevolezza di non essere più capaci di essere come loro.” (Corriere della Sera 28/2/2023).
Questa mistica della guerra a difesa della propria identità e dei sacri confini della patria pensavo appartenesse ai secoli passati, non più proponibile oggi, in un contesto che ha progressivamente elaborato forme di resistenza non violenta e strumenti negoziali per risolvere le questioni internazionali delle zone di confine (si pensi, per esempio, al caso italiano dell’Alto Adige) e su cui incombe l’incubo delle armi atomiche.
Troppe volte l’esaltazione della nazione, fondata sul sangue e sulla terra, è stata utilizzata dalla propaganda per coprire le cause profonde delle guerre, gli obiettivi reali, gli interessi inconfessabili: milioni di persone sono state convinte a uccidere ed essere uccise in nome della nazione. Il nazionalismo è stato spesso invocato come copertura anche nei conflitti degli ultimi decenni: basti pensare alle terribili guerre iugoslave con le conseguenti pulizie etniche, o allo stato ebraico d’Israele sempre più nazionalista, con conseguente apartheid per i Palestinesi, o alla guerra in Ucraina dove da un lato si inneggia al filonazista Bandera e alla ucrainizzazione del Donbass, mirando a far sparire dalla nazione la lingua russa, parlata da una parte della popolazione, e dall’altro si punta alla russificazione del territorio ucraino.
La premier Meloni non usa mai il termine stato per indicare l’Italia ma nazione, peccato che oggi in Italia sono presenti diverse etnie, diverse religioni, diverse tradizioni culturali: non siamo più gli “uni” di manzoniana memoria, ma plurimi e la sfida è proprio costruire modi di convivenza pacifica e di ben-essere collettivo nella diversità, sapendo che in futuro saremo sempre più in presenza di stati multietnici e multiculturali.
Il nazionalismo conduce alla perversione del concetto di patria e di identità perché sottintende, in modo talvolta esplicito e talvolta nascosto, uno sguardo di superiorità sulle altre etnie, sulle altre culture, sulle altre religioni, per sfociare spesso in un vero e proprio razzismo che sta alla base dell’imperialismo. Così si crea l’odio per il diverso, lo straniero, si costruisce la figura del nemico e ci si prepara alla guerra. Purtroppo l’Europa, che pure ha elaborato il principio dell’universalità dei diritti, garantisce di fatto tali diritti agli europei (bianchi e ricchi), ma non a chi sta ai margini della società o nelle periferie del mondo. L’Occidente ha conquistato il mondo per sfruttarne le ricchezze, non certo per estendere i diritti fondamentali a tutti gli esseri umani.
Eppure, non potendo più essere il concetto di nazione a rendere la società coesa, dovrà essere la cittadinanza, un sistema giuridico di diritti e doveri, a rendere possibile la convivenza in queste nuove società. Inoltre troppe questioni non sono più risolvibili da un singolo stato ma richiedono accordi più ampi possibili a livello globale: dal cambiamento climatico alla fame nel mondo, dalla legislazione del lavoro alla regolazione della finanza, dal modo di produzione allo smaltimento dei rifiuti sono tutti problemi che richiedono soluzioni globali e collaborazione tra gli stati. L’ottica deve essere quella di un unico genere umano, un unico destino, un unico pianeta su cui tessere la convivialità delle differenze. Questa visione ci permetterebbe di liberarci dalle barriere del nazionalismo, ma su tale lunghezza d’onda pare sintonizzato solo Papa Francesco, che viene disatteso se non, in alcuni casi, addirittura oscurato dai mezzi di informazione, un tempo portatori di riflessioni e dibattiti, oggi quasi trascrittori passivi delle agenzie di stampa dettate da chi detiene il potere.
Condivido pienamente il contenuto dell’articolo, che indica molto chiaramente radici profonde che sono alla base delle molte guerre che macchiano la storia dell’umanità.
Purtroppo attraverso i massmedia subiamo un diluvio continuo di slogan, di frasi retoriche, di affermazioni incredibili per chi solo conservi il lume della ragione. L’articolo di Galli della Loggia non ne è che un piccolo, orribile esempio.
Forse e soprattutto (per chi è ancora in grado di vedere altri interessi al di là delle apparenze) si dovrebbe riflettere di più su quanto l’infinita storia delle guerre mette in evidenza: sventolare principi e valori, giusti o sbagliati che siano, è sempre stato il modo per creare eroi e molti, molti morti.
E comunque, alla fine, come ci ricorda Bertolt Brecht “…Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente”.