Gabriella Carlon
14-05-2025
Il mese prossimo si voterà per cinque referendum abrogativi.
Quattro si riferiscono a diritti nel mondo del lavoro, uno al diritto di cittadinanza.
Il referendum sul diritto di cittadinanza ha come obiettivo di ridurre da 10 a 5 gli anni di permanenza in Italia necessari per ottenere la cittadinanza, a vantaggio degli extracomunitari maggiorenni. Una soluzione di compromesso, che tuttavia, nell’annoso dibattito tra i sostenitori dello ius sanguinis, dello ius scholae, dello ius culturae, dello ius soli, presenta un miglioramento rispetto alla situazione attuale: un piccolo passo verso l’integrazione per tante persone che lavorano, pagano le tasse, vivono stabilmente in Italia. Verso una società più giusta.
Gli altri quattro quesiti riguardano il mondo del lavoro.
Uno si propone di migliorarne la sicurezza: le denunce annuali di infortunio sono circa 500 mila, i morti poco meno di mille, senza conteggiare quello che accade nell’area del lavoro nero. Considerato il numero quotidiano di morti sul lavoro (di cui l’Italia gode un triste primato), è benvenuto ogni tentativo di arginare il fenomeno. Attualmente appalti e subappalti, con la finalità di comprimere il costo del lavoro, non favoriscono certo la sicurezza perché spesso mancano, nella catena degli appalti, i controlli relativi alle norme antinfortunistiche. Il quesito si propone di estendere la responsabilità degli infortuni all’impresa appaltante, in modo da garantire maggiori controlli anche sui subappaltanti per salvaguardare la vita dei lavoratori.
Gli altri tre quesiti si propongono di combattere la precarietà del lavoro e chiedono l’abrogazione di norme introdotte dal Jobs Act, che hanno dato apparenza di normalità al contratto a tempo determinato.
Bassi salari e precarietà sono alla base della fuga di tanti giovani (155.000 nel 2024) che preferiscono andare all’estero, spesso dopo essersi laureati, perché trovano stipendi e condizioni di lavoro più soddisfacenti. La precarietà del lavoro non è solo fonte di ansia per il lavoratore che non ha alcuna certezza sul suo futuro, ma cambia radicalmente la condizione stessa del lavoratore, che si trova di fatto privato di qualsiasi capacità contrattuale. Come potrebbe, infatti, un lavoratore precario avere la forza di chiedere, magari con uno sciopero, condizioni di lavoro migliori e un salario più equo, precludendosi così la possibilità di un rinnovo del contratto alla scadenza? Spesso si dice che il lavoratore capace non viene comunque licenziato: certo il datore di lavoro cerca di tenersi le maestranze efficienti, salvo magari sostituirle con personale più giovane, che costa meno, se le competenze professionali richieste non sono elevate. Ma la conseguenza della libertà di licenziare e del contratto a termine è quella di togliere combattività al lavoratore, che finisce con l’accettare condizioni disagevoli per non vedersi allontanato magari dall’algoritmo: come potrebbe una persona in stato di palese soggezione vivere il proprio lavoro come una forma di realizzazione di sé e trovare il gusto e il piacere di lavorare?
Nel dettaglio i tre quesiti propongono:
1- abolire la legge che, nelle imprese con più di 15 dipendenti, anche di fronte a una sentenza del giudice che dichiara illegittimo il licenziamento, impedisce il reintegro di coloro che sono stati assunti dal 7 marzo 2015 in poi. Attualmente sono soggetti a tale norma 3 milioni e 500mila lavoratori, che risultano discriminati rispetto a chi è stato assunto in precedenza. L’obiettivo è impedire il licenziamento senza giusta causa.
2- abolire la legge che, nelle imprese con meno di 16 dipendenti, impone un tetto (6 mensilità) al risarcimento per licenziamento illegittimo. Sono soggetti a tale norma i dipendenti delle piccole imprese, circa 3 milioni e 700mila. L’obiettivo è aumentare l’indennizzo in funzione della capacità economica dell’azienda e dell’età e della situazione familiare del lavoratore.
3- abolire la legge che permette di instaurare rapporti a termine fino a 12 mesi senza motivi che giustifichino un contratto temporaneo. Attualmente i lavoratori a tempo determinato sono 2 milioni e 300mila. L’obiettivo è ripristinare l’obbligo di causali per il esplicitare le ragioni del contratto a tempo determinato.
<– (Clicca sull’immagine per leggere i testi ufficiali di ognuno dei 5 referendum)
Partecipare ai cinque referendum è un dovere civico che concerne una materia fondamentale in ogni democrazia: l’esercizio dei diritti da parte dei cittadini.
Votare “sì” può permettere ai lavoratori maggior forza nella difesa di condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro e nella difesa di regole contrattuali che garantiscano un’esistenza libera e dignitosa, come auspicato dalla nostra Costituzione.
Una maggior tutela dei diritti dei lavoratori penso sia tanto più indispensabile in vista della imminente rivoluzione dovuta all’introduzione dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi, affinché il passaggio avvenga con gradualità e attenzione ai bisogni delle persone. In una democrazia non può essere il profitto l’unico criterio che regola i rapporti tra i cittadini.
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Note:
Immagine di apertura: credit CGIL
Immagine Si – Comitato Referendum sul lavoro 2025: credit fondazionedivittorio.it
Il testo dei quesiti si può consultare anche ai seguenti link:
CGIL
Governo italiano
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Disclaimer e note legali (clicca per leggere – puoi rivendicare diritti di proprietà su riferimenti e immagini)
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Sono d’accordo con l’autrice dell’articolo G. Carlon che dice: che in democrazia non può essere solo il profitto a regolare i rapporti fra i cittadini, ma realisticamente la situazione è diversa. A fronte di circa 24 milioni di lavoratrici e lavoratori in Italia, non oltre il 60% ha la possibilità o fortuna, dico, di avere contratti lavorativi determinati da Leggi che ne tutelano i diritti e le prerogative. La differenza il 40% ca 10 milioni di lavoratori soggiace, per poter lavorare, a contratti con basse tutele occupazionali, a volte anche assenti, e oserei dire a forme di malcelato sfruttamento. Lo stesso Stato nel reparto scuola e sanità promuove ed alimenta precarietà e sfruttamento. Settori come: commercio, edilizia, servizi, dove sono spesso frequenti infortuni hanno scarse tutele e frequentemente lavoro nero. E’ vero che il lavoro deve essere dignitoso e rispettoso della persona come descritto e sancito dalla ns. Costituzione ma di fatto non lo è. Uscire da questo ricatto economico riequilibrando i rapporti di forza tra datori di lavoro e salariati attraverso Leggi scritte e applicate in favore dell’uomo e non a salvaguardia esclusivamente di meri interessi di bottega e di parte. Pertanto invito tutti a partecipare massivamente alla votazione referendaria del 8-9 giugno per non dare alibi a quanti vogliono il fallimento dei referendum nonostante siano uno degli organi per l’esercizio della democrazia.