Un mondo in piazza, falò in America Latina – Puntata 3

Avvertenza per il lettore: la redazione di queste note è contestuale alla diffusione delle prime notizie relative del Coronavirus nella regione cinese di Wuhan.
Oggi la pandemia di Covid-19 sta travolgendo il mondo con una velocità che sarebbe stata inimmaginabile solo poche settimane fa. Le popolazioni delle nazioni coinvolte nell’epidemia lasciano le piazze per rinserrarsi nelle loro abitazioni.
Ma dopo questo periodo di momentaneo “fiato sospeso”, le agitazioni/proteste descritte nel seguito non saranno certamente sopite perché non saranno risolti i problemi che le hanno generate. Perciò è facile immaginare che riprenderanno vigore, con modalità ancora da scoprire.

Continua il nostro percorso, seguendo la febbre di uguaglianza e democrazia che attanaglia i paesi dell’America Latina, dal Messico al Cile. Le proteste, perlopiù, sono legate a diseguaglianze, corruzione e instabilità politica.

Eraldo Rollando
28-02-2020
Bolivia
Il sistema elettorale boliviano, per l’elezione del Capo dello stato, basato sul doppio turno, prevede il ballottaggio se il candidato con più voti non supera il secondo concorrente con una differenza maggiore del 10 percento. Con le elezioni del 20 ottobre 2019, Evo Morales è stato confermato presidente al primo turno, per il quarto mandato, avendo superato quella soglia fatidica, dopo un travagliato e discusso conteggio dei voti. Ma l’esito elettorale è stato contestato dall’opposizione, che ha accusato Morales di brogli, peraltro confermati dagli osservatori dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA).
In almeno tre città boliviane, Oruro, Tarija e Sucre, gruppi di attivisti hanno dato alle fiamme i seggi; qualche giorno dopo si sono verificati violenti scontri di piazza tra manifestanti e forze dell’ordine.
Il leader dell’opposizione Carlos Mesa ha dichiarato di “respingere e ignorare la chiusura dello scrutinio nazionale delle elezioni perché è il risultato di una frode e la violazione della volontà popolare” (Rainews.it).
Dopo tre settimane caratterizzate da violenze e tafferugli – si parla di 30 vittime, 1300 arresti e centinaia di feriti -, venuto meno il sostegno delle Forze Armate del paese, Morales rassegna le dimissioni, si rifugia in Messico assieme al Vice Presidente, e lascia la presidenza provvisoria nelle mani di JeanineAnez Chavez, vice-presidente del Senato e tra le principali esponenti dell’opposizione, che dovrà gestire le nuove elezioni.
Uno dei primi atti del governo ad interim della signora Anez Chavez, ritenendo Cuba e Venezuela mandanti e finanziatori delle manifestazioni, è stato quellodi espellere tutti i diplomatici venezuelani e cubani dal paese. “Non possiamo rimanere indifferenti alle apparenti interferenze del Venezuela negli atti destabilizzanti che hanno colpito il nostro paese”, ha dichiarato il nuovo ministro degli Esteri Karen Longaric.(unimondo.org)
Da due anni il Presidente indigeno Evo Morales è accusato dall’opposizione di autoritarismo e sospettato di fare parte di un giro di corruzione; inoltre non gli è stata perdonata la sua candidatura al quarto mandato presidenziale, nonostante un referendum popolare a lui contrario.
Tutto qui? Non è poco, in un clima politico e sociale così avvelenato il futuro non si prospetta facile.
Nel frattempo il Tribunale Supremo Elettorale della Bolivia ha fissato una data per le prossime elezioni presidenziali, che si terranno domenica 3 maggio. Lo stesso giorno ci saranno anche le elezioni parlamentari.

Haiti
A differenza della Repubblica Dominicana, con la quale condivide un terzo dell’isola Hispaniola nelle Antille, Haiti è un paese poverissimo.Colpito nell’estate 2004 dall’uragano Jeanne, nel gennaio 2010 da un terremoto devastante e nell’ottobre 2016 dall’Uragano Matthew, da tempo è costretto a fronteggiare una gravissima crisi economica.
Bastano pochi dati per fotografare la situazione: disoccupazione al 70%; più del 60% degli haitiani vive sotto il livello di povertà; la svalutazione del Gourde haitiano è ormai arrivata al 30%; inflazione al 20%; i salari sono congelati da mesi e il reddito medio è di 130 dollari al mese (circa 3 euro al giorno).
Già nel 2018 vi sono state proteste che hanno raggiunto momenti di violenza inaudita.
L’innesco è partito dall’annuncio dell’aumento dei prezzi del combustibile: “Da domenica 8 luglio la benzina costerà il 38% in più, il diesel 47% e il kerosene 51%”. Una decisione presa come conseguenza dell’embargo USA al Venezuela, che impedisce ad Haiti di accedere alleforniture di petrolio venezuelano ceduto al 60% del suo valore, e al rispetto degli accordi presi con il Fondo Monetario Internazionale a garanzia dei prestiti accordati.
Venerdì 6luglio dello stesso anno Haiti si è fermata per assistere alla partita dei Mondiali di calcio tra Brasile e Belgio; era attesa la vittoria del Brasile, con la speranza, da parte del governo, di fare dimenticare agli haitiani la stangata in arrivo. Così non è stato, e il mix di rabbia per la delusione patita e per la notizia dei rincari ha dato il via a una serie di violenze di piazza, facendo registrare supermercati e negozi saccheggiati, vandalismi, barricate nelle strade e incendi, anche di grandi proporzioni, in buona parte del paese con morti nelle strade.
Malumori fomentati? Forse.
Voci non confermate parlavano di proteste pilotate; certo è che in 17 mesi dal suo insediamento il presidente Jovenel Moise ha cercato di trasformare il paese, in mano ad una decina di famiglie oligopoliste che controllano quasi tutto, picchiando forte sulle inefficienze e la corruzione: si tratta di una reazione alla perdita di controllo da parte di quella decina di famiglie?
C’è anche chi ha parlato di una presenza a Port-au-Princedell’ex dittatore Jean-Bertrand Aristide.
Sarà vero? Di certo l’unica cosa vera è la rabbia di una popolazione ridotta allo stremo.
Nel 2019 le proteste sono riprese coinvolgendo anche il Presidente Moise: la mancanza ormai cronica di carburante, l’inefficienza dei servizi, e le accuse di corruzione al Presidente hanno trasformato le proteste in una vera insurrezione, trattata dalla polizia con mano dura. Secondo l’Ufficio dell’Organizzazione delle Nazioni Uniti per i diritti umani, la repressione del governo ha provocato la morte di 42 persone; inoltre 86 sono state ferite, tra cui nove giornalisti.
La situazione si è aggravata in ottobre con le dimissioni di Moise, pressato dalle accuse di un suo coinvolgimento nello scandalo bancario legato al gruppo Petrocaribe.
Il progetto per la formazione di un governo di unità nazionale, sponsorizzato dalla diplomazia della Santa Sede a Port-au-Prince, è naufragato il 3 febbraio 2020 dopo tre giorni di trattative. I diversi attori politici e rappresentati della società civile non hanno trovato un terreno di accordo sulla durata del mandato del Presidente.
Rimane, per il momento, un governo azzoppato che devefronteggiare la grave crisi politica, sociale e finanziaria di un paese allo stremo delle forze.

Colombia
Negli ultimi due secoli la Colombia ha visto 4 guerre civili, rivolte, scontri politici cruenti, scioperi repressi nel sangue e l’utilizzo delle forze armate come strumento di repressione politica.
Il paese è noto al mondo per la presenza di due “protagonisti”: le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) (1) e i trafficanti di droga, noti come “il cartello di Medellin”: due realtà direttamente o indirettamente interessate a controllare l’intero territorio colombiano.
Il 24 novembre 2016, dopo mezzo secolo di un conflitto che, da solo, ha causato 260mila morti, il presidente colombiano e il comandante delle Farc hanno firmato l’accordo definitivo di pace.
L’accordo, oltre alla pacificazione della società, ha anche lo scopo di ridurre l’influenza delle famiglie dei narcotrafficanti sui numerosi contadini attraverso una riforma agraria che permetta loro di sostituire le coltivazioni della droga con normali derrate agricole.

Oggi il clima sociale è meno gravido di pericoli rispetto ai 50 anni precedenti , ma il 43enne neo presidente Ivan Duque(eletto in agosto 2018) e il suo governo si trovano, comunque, a dover fronteggiare un’ondata di proteste e rivolte violente.
Nel novembre 2019, le organizzazioni sociali e vari settori dell’opposizione, hanno chiesto l’eliminazione delle forti disuguaglianze e un maggiore impegno per l’attuazione dell’accordo di pace con le Farc .Le comunità indigene, inoltre, hanno denunciato le “continue uccisioni” dei loro leader, fatti su cui l’ONU aveva già fatto sentire la sua voce di condanna per gli omicidi, che pare siano aumentati sotto il governo Duque.(2)
Il 21novembre scorso è statoindetto uno sciopero generale, che solo nella capitale ha portato in strada 250mila persone, per protestare “contro una serie di paventate riforme economiche improntate all’austerità, contro un governo accusato di non agire per limitare il dilagare della corruzione e contro le derive della polizia, considerata responsabile della morte di centinaia di attivisti per i diritti umani”.(www.lifegate.it)

Secondo la Fondazione indipendente colombiana “Paz y Reconciliaciòn”, gli uomini dell’Esmad, un corpo antisommossa della polizia, tristemente noti per la violenza dei loro interventi, anche in questa occasione non hanno smentito la loro fama. Negli scontri, in cui si sono visti all’opera i rivoltosi più esasperati e violenti, si sono registrati 3 civili morti e circa 300 feriti. La rivolta non ha risparmiato morti e feriti anche tra le forze dell’Esmad.
Le voci arrivate da quei luoghi raccontano:
“ … nel sud-ovest del Paese, tre agenti sono stati uccisi e altri sette sono rimasti feriti in un attacco a una stazione di polizia di Santander de Quilichao” … “Ieri (22 novembre) il sindaco di Bogotà ha annunciato il coprifuoco in città a partire dalle 21 per contenere rivolte e saccheggi, verificatisi durante l’ondata di proteste anti-governative”…“Al potere da poco più di 15 mesi, Duque è alle prese con la più vasta protesta contro un governo centrale degli ultimi tempi e che vede coinvolti sindacati, studenti, contadini e partiti di opposizione”. (fonte:rainews.it)

A Bogotà non manca però chi, marcando un’appartenenza politica e una situazione sociale di segno diverso, dà la colpa del caos al flusso dei migranti provenienti dal Venezuela: abitanti della zona ricca della capitale lamentano che “I profughi venezuelani commettono atti di vandalismo, occupano abusivamente le case dalle quali cacciano via con la forza gli abitanti e seminano il terrore tra la gente” … “Per gli abitanti di quella zona, all’origine delle manifestazioni di questi ultimi giorni ci sono “i profughi e i comunisti”, ma in nessun modo l’ingiustizia sociale, la miseria e la corruzione del governo di Ivan Duque”.(fonte: gas.social – Chiasso)

Nel tentativo di placare il malcontento, il presidente ha annunciato, in novembre, l’avvio di un “dialogo nazionale con tutti i settori per rafforzare le politiche sociali”, ma con il nuovo anno sono riprese le proteste: il 21 gennaio un nuovo sciopero generale ha fermato il paese.
In una manifestazione a Bogotà le organizzazioni, affiancate dalla Chiesa locale, hanno protestato nuovamenteper gettare luce sulle tante uccisioni e minacce verso i difensori dei diritti umani (3) e contro la proposta di reintrodurre le fumigazioni di glifosato sulle piantagioni di coca, con grave danno alla salute delle persone e all’ambiente.

Note a Colombia

  1. La nascita delle FARC risale al 27 maggio 1964 durante l’Operazione Marquetalia, una massiccia operazione militare dello Stato colombiano, effettuata con appoggio statunitense, atta a reprimere con la forza le esperienze di auto-organizzazione agraria contadina che si erano sviluppate nelle regioni Tolima e Huila, accusate dal governo di rappresentare un pericolo per l’integrità della nazione, in quanto “inaccettabili repubbliche indipendenti”. Alla luce della cruenta repressione subita, i sostenitori di quelle esperienze stabilirono che la resistenza e la lotta armata mediante la pratica militare della guerra di guerriglia mobile, erano l’unica strada da percorrere per portare in Colombia il cambiamento e le riforme strutturali che la popolazione chiedeva. Il loro scopo era sovvertire l’ordinamento statale colombiano per instaurare una democrazia popolare e socialista.(Wikipedia)
  2. “In Colombia prosegue la strage di attivisti sociali. Un altro leader sociale colombiano è stato assassinato ieri mattina. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha espresso la sua «seria preoccupazione» per i ripetuti omicidi in Colombia di leader sociali ed ex combattenti delle Farc e ha chiesto «azioni effettive» per migliorare la sicurezza. Viene sottolineata anche la necessità di implementare tutti gli aspetti dell’accordo di pace tra governo e Farc e rafforzare la protezione degli ex guerriglieri. Secondo dati diffusi dall’Alto commissariato Onu per i diritti umani nel 2019 sono stati uccisi 107 attivisti per i diritti umani” (il Manifesto, 27-01-2020)3
  3. “Il tragico bilancio di questo inizio d’anno è il panorama preoccupante della violazione sistematica dei diritti umani, con 22 leader sociali assassinati in 18 giorni, due massacri in una settimana (Jamundí e Tarazá), 4mila persone sfollate nel dipartimento sud-occidentale del Tumaco.”( Agensir.it, 22-01-2020)

(3, continua)
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