Raffaele Masto: raffinato osservatore dell’Africa di ieri e di oggi

Giulia Uberti
09.04.2020
Nato a Milano il 12 dicembre del 1953 è morto in un ospedale di Bergamo dove era stato ricoverato in seguito ad un trapianto di cuore il 28 marzo 2020, vittima del COVID-19.

Raffaele Masto (immagine da Radiopopolare.it)

Raffaele Masto era un cittadino del mondo, un mondo che amava. Attraverso Radio Popolare era molto conosciuto, lavorava nella redazione esteri. Per il suo lavoro fu inviato in America Latina, in Medio Oriente ma in particolare in Africa, continente che egli amò, e dove ebbe ispirazione per molti dei suoi scritti. In Africa realizzò anche diversi documentari e reportage di carattere sociale, politico e antropologico.
I suoi scritti, e suoi libri, erano sempre basati sull’esperienza diretta che egli riusciva a trasmettere con un linguaggio che affascinava i suoi lettori. I temi trattati erano quelli che maggiormente lo colpivano nei viaggi: la povertà e l’ingiustizia a causa delle quali maggiormente soffrono i Paesi del Sud del mondo.

L’Africa era vista da Masto con occhi nuovi, non era più quella degli esploratori, ma nemmeno l’Africa della Karen Blixen, o quella delle grandi speranze dei padri della patria del postcolonialismo che R. Kapuscinski ha così ben raccontato. L’Africa del terzo millennio è un continente che non sa dove andare, abbagliato dal mito dell’Occidente e contemporaneamente deluso, rassegnato, roso dal cancro della corruzione e dilaniato dalle guerre. Impossibile
sapere oggi, dove sarebbe andata l’Africa se il suo percorso non si fosse intersecato con il nostro. Probabilmente il suo processo di sviluppo non avrebbe avuto bisogno dello stato-nazione, dei confini, dell’accumulazione del capitale come da modello occidentale che ha spinto le civiltà africane su binari che non erano i loro.
Parlando dell’Africa che amava diceva di non aver bene chiaro attraverso quali circuiti fosse nato questo suo amore, ma diceva: ”… so che questo è avvenuto come se di volta in volta mi rendessi conto di non riuscire a spiegare avvenimenti e fatti senza fare ricorso alla parte più emotiva del mio essere. Credo che tutto questo dipenda dal fatto che l’Africa è un nervo scoperto, più che per gli africani, per noi occidentali. Un nervo scoperto perché rappresenta qualcosa di incompiuto, un ambito che non è stato completamente permeato dalla civiltà vincente, quella della rivoluzione francese e industriale, del mercato globalizzato e del profitto, della tecnologia e della razionalità. Un nervo scoperto perché racchiude in sé quegli elementi primordiali che il progresso scientifico ha relegato nei circuiti periferici del nostro cervello e che invece in Africa riaffiorano con più facilità e influenzano comportamenti individuali e collettivi. Per questo motivo cercare di comprendere a fondo le dinamiche sociali e politiche africane significa fare i conti con ciò che di primordiale c’è in noi, qualcosa che è impresso nel nostro Dna ma che, grazie al fatto che viviamo in società nelle quali la precarietà è limitata e il benessere elevato, abbiamo potuto progressivamente far assopire. L’incontro con l’Africa risveglia invece questa parte di noi e l’impatto, di solito, è traumatico e affascinante allo stesso tempo.

R. Masto fu per anni giornalista della rivista Africa per la quale curava il blog “Prima pagina”. Spazio nel quale egli raccontava i tormenti e le speranze dell’Africa; egli ha contribuito a rompere il silenzio dei grandi media nazionali, spesso distratti. Lui parlava dell’Africa con un suo stile : con il cuore e con la ragione, con professionalità e passione civile, soprattutto con bontà d’animo. Raffaele era sempre dalla parte degli oppressi, degli emarginati, delle popolazioni sfruttate. Il suo desiderio era quello di raccontare i fatti e aiutare a comprenderli. Immancabilmente svelava la straordinaria umanità delle bidonville, l’inaspettata creatività e vitalità sepolte nei luoghi più miserabili e, in particolare, il grande desiderio di liberazione dei diseredati.
Nel numero di Africa, gennaio/febbraio 2020, R.Masto analizza “ l’Africa in piazza”. Egli mette in luce come del ritorno alle piazze nei diversi Paesi in pochi si sono accorti, i media non ne parlano. Le Capitali africane sono periodicamente scosse da manifestazioni della società civile. In Italia, in particolare, TV, stampa e social trascurano, spesso, quanto accade nel continente. Mentre di questo parla il recente rapporto “l’Africa Mediate”. La Guinea è portata come esempio da Masto dove, nelle scorse settimane c’è stata una eroica lotta in piazza per evitare a Alpha Condé di modificare la Costituzione per potersi ripresentare a un terzo mandato. Copione che più volte si è presentato in diversi Paesi: i giovani si ribellano e, in assenza di telecamere e microfoni di grandi media internazionali, l’evento non fa notizia. A differenza dei giovani di Hong Kong o del Cile, i giovani africani hanno a che fare con dittatori che non vanno per il sottile, non esitano a far sparare sulla folla ad altezza d’uomo. Nessuno racconterà nulla in assenza di media internazionali. Il caso Guinea non è l’unico. In Sudan la lotta è andata avanti per 6 mesi, ha lasciato sulle strade centinaia di civili, uccisi dalle forze armate comandate da un generale tutt’ora n.2 del regime. Eppure la società civile ha vinto.
E’ tutta l’Africa che in questi anni è scesa in piazza. E’ accaduto in Gabon, dove il presidente Omar Bongo, al potere da 42 anni aveva lasciato il trono al figlio. Il popolo ha protestato e … decine di giovani sono rimasti vittima. Nel silenzio dei media.
In Togo qualcosa di analogo: schiere di donne per decine di settimane hanno protestato contro il governo di Faure Eyadéma, figlio del dittatore Gnassingbé Eyadéma (da 52 anni il Paese è in mano alla loro famiglia)
La lista si potrebbe allungare … allo Zimbabwe, alla Rèpubblica Démocratica del Congo, all’Algeria, al Burundi e di tanti altri Paesi che hanno pagato con decine di giovani uccisi per la democrazia.

L’Africa avrà sempre maggior peso nel futuro per i cambiamenti in corso: per la crescita demografica, per le sue ricchezze agricole e minerarie e per la sua creatività. La fine di alcuni regimi offrirà al pianeta un mercato inaspettato, enorme, e che si metterà in gioco con il resto del mondo, perché queste lotte di popolo sono vittoriose. Esempio: l’Etiopia, meglio ancora il Burkina dove Campaoré fu costretto alla fuga nel 2014 da una serie di manifestazioni in piazza dove le donne erano le più numerose. La stampa internazionale parlò solo dell’epilogo.

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Note:
– Rif. Blog di R. Masto: l’africa che ho amato
– Africa n.1,gennaio/febbraio 2020

Cultura e Società