1795 – Per la pace perpetua

Già nel 1795 Kant auspicava la pace nel mondo; oggi più che mai abbiamo bisogno di trovare strumenti che possano permetterci di vivere senza continue guerre.

Gabriella Carlon
24-03-2022
Nella storia dell’umanità le idee procedono con lentezza, se Kant più di due secoli fa prospettava le condizioni che permettessero, nel rispetto del diritto internazionale, di liberarsi per sempre dalle guerre. E oggi invece il pianeta è ancora devastato da molteplici guerre, con l’aggravante, rispetto ai tempi di Kant, della possibilità di usare armi tali che – diceva Einstein – dopo la terza guerra mondiale, la quarta si combatterà con la clava.
La cultura politica occidentale ha elaborato, nella teoria, l’universalismo dei diritti e ha stabilito i diritti umani inalienabili, ma, contraddicendosi, ha indicato anche la competitività come valore, come regola fondamentale per la società del mercato. Ma la competizione, tra gli individui, tra le imprese, tra le nazioni, genera necessariamente vincitori e vinti, amici e nemici, delineando un orizzonte di scontro permanente. E’ vero che così si valorizza maggiormente l’individuo con le sue potenzialità, ma è anche vero che in ultima istanza le questioni si risolvono con la vittoria del più forte. E’ con questa cultura che l’Occidente ha dominato il mondo, fingendo di credere che i diritti umani si possano imporre con la forza delle armi.
Però il pensiero occidentale è attraversato anche da un filone di utopia: partendo dall’umanesimo di Erasmo da Rotterdam e di Tommaso Moro, che condannano la guerra come irragionevole e non degna degli umani, fino al sogno kantiano della pace perpetua.  Kant prefigurava una società di liberi e uguali e una federazione di Stati, regolata dal diritto internazionale, in cui ciascuno fosse non nemico, ma complementare a tutti gli altri.
Chissà se anche dall’Oriente possa venire una suggestione a concepire i rapporti umani come amichevoli e non concorrenziali. Pensiamo al confucianesimo che attraversa in filigrana il pensiero cinese e sostiene che l’armonia domina la realtà. L’equilibrio tra gli umani crea una società armonica, dove ogni essere ha una sua collocazione, concorrendo al bene dell’intera società. Non perseguendo l’interesse individuale si costruisce il bene comune (con la “mano invisibile” di A. Smith),  perseguendo il benessere degli altri che si persegue anche il proprio.

Del pensiero utopico dell’Occidente e dell’Oriente oggi abbiamo più bisogno che mai, visto che il pensiero realista ci ha condotto a guerre devastanti, disuguaglianze economiche intollerabili, sopraffazioni e progressiva distruzione delle risorse del pianeta . Abbiamo bisogno di un cambio di paradigma del nostro sistema di valori e del nostro sistema economico: la cooperazione reciproca, il rispetto delle diverse concezioni religiose, culturali e politiche, la messa al bando del nazionalismo, una equa distribuzione della ricchezza globale ci avvicinerebbero a una convivenza pacifica. “Fratelli tutti” ci ricordano Papa Francesco e il Grande Imam di Al Azhar Ahmed al Tayyib.
Riduzione progressiva degli armamenti e ragionevoli accordi sul piano economico  sarebbero passi indispensabili, uniti a un rafforzamento dell’ONU e di tutte le organizzazioni sovranazionali che hanno un punto di vista globale sul mondo. E’ una via obbligata, se vogliamo salvare la specie umana dalla catastrofe ambientale, sociale e militare.
Purtroppo l’orientamento culturale e politico dominante è di segno opposto. Le grandi potenze mondiali corrono agli armamenti: per le spese militari gli USA hanno stanziato, nel 2021, 778 miliardi di dollari (40% della spesa mondiale; 2364 dollari per abitante), la Cina 252 miliardi e la Russia 62 miliardi (430 dollari per abitante) (1). Il nostro Parlamento ha votato, per il 2022, un aumento delle spese militari fino al 2% del PIL passando da 26 a 38 miliardi l’anno.

Ma la speranza è più forte: confidiamo che la ragione e il senso dell’umano riusciranno a prevalere.

Cultura e Società