Addio Berlinguer

 Gabriella Carlon
09-10-2022

Politica e utopia

Ricorre quest’anno il centenario della nascita di Enrico Berlinguer.
Val la pena di ricordarlo non solo perché fu molto amato dalla base del suo partito, che ammirava La sua onestà e la passione con cui cercava di rendere un po’ migliore questo mondo. Basti ricordare la folla immensa e commossa al suo funerale.
Ripensando a ciò che egli impersonava, credo che bisognerebbe riflettere su come i politici riescano a far emergere dal cuore della gente sentimenti contrastanti: rancore per gli avversari e per i “diversi”, ammirazione per i ricchi e i corrotti, oppure spirito di solidarietà e desiderio di onestà e di giustizia. Troppo spesso si dimentica la funzione anche pedagogica dei politici nell’orientare l’opinione pubblica.
Berlinguer pose con forza la “questione morale” come necessario ripensamento sulla gestione del partito, avendo intuito la pericolosa deriva individualistica e opportunista che si stava diffondendo nel ceto politico, in un intreccio tra bene pubblico e affari privati che non prometteva nulla di buono. Riteneva che essere diversi e fare opposizione su certi temi di importanza sociale fosse un preciso dovere e non segno di arretratezza come molti pensavano.
Ma al di là di questo aspetto morale, certamente non secondario, la grandezza di Berlinguer stava soprattutto nel suo pensiero politico: aveva compreso che la “forza propulsiva” del comunismo sovietico si era esaurita e cercava nuovi strumenti e orizzonti per un mondo più giusto e solidale.
Non considerava positivamente la globalizzazione neoliberista, ma auspicava un mondo altro fondato sulla “austerità”, cioè su un modello di sviluppo che  contenesse il consumismo per realizzare una più equa distribuzione della ricchezza, prospettava uno sviluppo che riducesse le disuguaglianze e desse a tutti il necessario per una vita dignitosa. Intuiva che la corsa del liberismo sfrenato avrebbe portato il pianeta al collasso e l’umanità a continue guerre. Pensava che a realizzare un nuovo modello di sviluppo potessero concorrere anche quelle forze cattoliche e progressiste contrarie al capitalismo selvaggio che si andava delineando.
Da questi pensieri nacque l’idea del “compromesso storico”, che fu poi stravolto dopo l’assassinio di Aldo Moro.
Purtroppo queste idee lungimiranti non ebbero seguito nemmeno nel suo partito, vista l’evoluzione successiva del PCI, convertitosi rapidamente al neoliberismo imperante e al nuovismo craxiano, fortemente contrastato da Berlinguer.
Momento cruciale di questo contrasto fu il referendum sulla “scala mobile”, che cercava di salvaguardare il potere di acquisto dei salari: Berlinguer fu tra i perdenti, complice anche il sindacato, che incredibilmente si divise su questo punto. Trionfò invece un nuovismo, che in nome della “modernità” nei decenni successivi cambiò l’economia nazionale con provvedimenti di liberalizzazione incontrollata, che ebbe gravissime conseguenze sull’occupazione, sui salari e sul mondo del lavoro nel suo complesso, dimostrando che il nuovo non è necessariamente progressista.
La mancanza di eredi di Berlinguer ha provocato la fine della Sinistra italiana come partito di massa, oltre che un generalizzato abbandono da parte del ceto politico di una visione proiettata a realizzare un mondo diverso e migliore, che definirei utopico.
Ma la politica senza utopia diviene soltanto lotta per il potere e per il tornaconto individuale.

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Note
Foto di Enrico Berlinguer: Start Magazine

 

 

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