Nota per il lettore: la prima parte, La presenza cinese in Africa , è raggiungibile a questo link , o al link posto a fondo pagina
Giulia Uberti
22.06.2020
Tra Cina e Africa si è instaurata una relazione squilibrata che genera effetti perversi. I prestiti cinesi fanno crescere il debito africano, che negli ultimi cinque anni è raddoppiato – con il rischio che diventi insostenibile – e che Pechino detiene per il 14 per cento. La Cina non presta denaro gratis, intende essere ripagata, come normale che sia, ma si garantisce la restituzione dei soldi prestati stipulando clausole capestro. Un esempio significativo da questo punto di vista è Gibuti, dove ha sede la prima base militare permanente all’estero della Cina. Pechino ha investito 15 miliardi di dollari per lo sviluppo del principale porto e delle infrastrutture collegate. L’82 per cento del debito estero è nelle mani di Pechino e, in caso di inadempienza, Gibuti potrebbe cedere ai cinesi il controllo del porto strategico di Doraleh, all’ingresso del Mar Rosso e del Canale di Suez. Fondamentale per la nuova via della seta.
Altro esempio é Il porto di Mombasa, tra i più grandi e frequentati dell’Africa Occidentale, è stato utilizzato come garanzia del prestito di 3,2 miliardi di dollari utilizzati per la costruzione della linea ferroviaria di 470 chilometri tra Mombasa e la capitale Nairobi. Se il Kenya non salda il debito, la Exim Bank of China ne assumerà il controllo. Non solo, il porto di Lamu potrebbe essere ceduto per 99 anni alla Cina se Nairobi non adempierà alle condizioni di rimborso dei prestiti.
Ma l’esempio più eclatante è rappresentato dallo Zambia. Il debito estero del Paese è di circa 9,37 miliardi di dollari, se si aggiungono i debiti delle società statali si arriva a 15 miliardi. Un terzo del totale è dovuto alla Cina. Ormai il debito nei confronti di Pechino sta raggiungendo livelli insostenibili. L’aeroporto di Lusaka presto potrebbe finire nelle mani cinesi, così come l’Azienda elettrica nazionale (Zesco), mentre già il 60 per cento della Zambian National Broadcasting Corporation (Znbc) è detenuto da una società cinese. Alla fine lo Zambia diventerà una colonia politico-economica cinese.
Il forte indebitamento in crescita costante e senza speranza di recupero dei Paesi africani è fonte di preoccupazione. Secondo la China-Africa Research Initiative della John Hopkins University, il debito accumulato dai Paesi africani nei confronti della Cina, dal 2000 al 2016, ammonta a 124 miliardi di dollari. Questo viene visto come un modo per portare i Paesi africani verso l’insolvenza per poi acquisirne in toto le risorse strategiche.
Da Pechino (AsiaNews/Agenzia) – In tutto il mondo, specie nei Paesi in via di sviluppo, le ditte cinesi sono impegnate a realizzare dighe, ferrovie, strade, palazzi e altre infrastrutture, spesso in cambio di petrolio e minerali preziosi. Migliaia degli operai impiegati sono detenuti, affidati sulla parola. Questi detenuti risultano tutti volontari. Gli esperti ritengono che il sistema sia favorito dallo stesso governo di Pechino: le ditte cinesi coinvolte in questi progetti sono in genere statali e non potrebbero, da sole, convincere tanti detenuti e assumersene la responsabilità, ottenere passaporti o visti di espatrio per tutti. I carcerati sono impiegati per avere mano d’opera a basso costo.
Migliaia di detenuti delle prigioni cinesi sono impiegati nelle opere realizzate da ditte statali in Africa come in altri Paesi in via di sviluppo. Lo scarso rispetto di Pechino per i diritti dei lavoratori sembra palese.
Alcune notizie arrivate alla conoscenza dai media ci dicono che ci sono incrinature nei rapporti diplomatici tra Pechino e alcuni Paesi africani. La prima è la conseguenza delle discriminazioni che hanno preso di mira gli africani a Guangzhou (quella che in italiano era chiamata Canton), messi in quarantena, spesso, senza giustificazioni. La seconda é l’uccisione in Zambia di tre dirigenti di aziende cinesi, che ha fatto crescere la tensione tra i cittadini zambiani e quelli cinesi. La popolazione dello Zambia comincia a sopportare sempre meno la presenza di Pechino nel proprio Paese.
In Ghana nel 2013 ci furono violente proteste dei locali impiegati in miniere private, la cui proprietà nominale era di un cittadino locale, ma in realtà appartenenti a cinesi. In soli 3 anni, le miniere da 160 sono diventate 3.000. Le proteste dei Ghanesi erano per sfruttamento, lavoro molto duro, stupro, disprezzo e comportamento razzista. Le autorità ghaneane hanno arrestato 160 cinesi per bloccare la loro industria mineraria illegale. Il governo del Ghana ha inoltre accusato gli arrestati di usare metodi di estrazione non autorizzati, che inquinano fiumi e laghi.
Infrastrutture:
Nel 2017 fu inaugurata la prima ferrovia internazionale elettrica del continente africano, costata più di 4 miliardi di dollari: TAZARA (Tanzania-Zambia Railway Authority). Si tratta di 1.860 km di ferrovia collegano il porto di Dar es Salaam in Tanzania con la città di Kapiri Mposhi in Zambia Oltre 700 chilometri di rete che collegano Addis-Abeba con la Repubblica di Gibuti, un Paese piccolo ma estremamente strategico in quanto il suo piccolo porto commerciale (destinato a crescere) è divenuto un importante hub tra il Sudest asiatico e il Canale di Suez. Qui i Cinesi hanno realizzato la loro prima base militare all’estero per il supporto di una task force navale cinese nel Golfo di Aden che consiste in due fregate lanciamissili, una nave di rifornimento e circa 700 militari tra cui squadre di rapido intervento delle forze speciali. Ma non solo. La Cina, oltre alla nuova base navale, sta finanziando progetti infrastrutturali per completare i collegamenti da Gibuti ai mercati chiave della vicina Etiopia. Nessuna attenzione all’ambiente nella costruzione e il percorso ha portato danni notevoli ad alcuni Parchi (es. Le Tsavo) con relativi danni al turismo.
In Angola i palazzinari cinesi hanno costruito ex novo una moderna città africana, il suo nome è: la Nova Cidade de Kalimba, composta da circa 750 edifici di otto piani.
La città potrebbe accogliere circa 500 mila abitanti invece è stranamente vuota, una vera e propria città fantasma. La ragione sembra essere che il prezzo di 90 mila euro, relativamente basso rispetto al valore, è decisamente troppo costoso per la popolazione locale.
Il governo di Pechino ha lanciato il programma politico “Una sola Cina in Africa”, una sfida che invita a lasciare il proprio paese per stabilirsi in un nuovo continente. Hanno preso parte a questo progetto, già 750 mila cinesi che si sono trasferiti in Africa negli ultimi dieci anni, mentre il mondo non ha minimamente prestato attenzione a questa evidente realtà.
La Cina sembra voler risolvere i propri problemi di sovrappopolazione e inquinamento inviando in Africa un consistente numero di persone e, considerando l’avanzamento dell’operazione non manca molto.
L’Africa trova nel suo alleato cinese un contrappeso all’Occidente che non avrebbe senza l’aiuto di Pechino. Trova soprattutto un partner meno ingombrante dell’ Europa e degli Stati Uniti, un Partner che dona rapidamente e senza condizioni quello che domandano capi di stato africani.
Il politologo francese Julien Nessi definisce la penetrazione cinese in Africa come una conquista multisettoriale composta da vari livelli strategici applicati simultaneamente : «Il primo livello è applicato attraverso ingenti investimenti diretti stranieri, il livello intermedio è basato sugli aiuti militari e il sostegno politico a stati africani caduti in disgrazia con l’Occidente, l’ultimo livello prevede il rafforzamento della presenza silenziosa della diaspora cinese nel continente dedita al piccolo commercio ».
In Paesi economicamente fragili, la penetrazione della piccola industria asiatica, con la vendita di oggetti di basso costo e valore, ha modificato le dinamiche commerciali, indebolendo ancor più quelle indigene ed aumentando la disoccupazione.
Nel mercato africano si possono osservare numerosi “Made in China” e migliaia di km di linee ferroviarie costruite dai cinesi per trasportare le tonnellate di legname e altri prodotti di estrazioni minerarie.
Nella strategia cinese l’obiettivo di creare un vero sviluppo economico nei paesi africani non sembra essere preso in considerazione. Forte di ingenti riserve monetarie in dollari, Pechino utilizza la cancellazione dei debiti, i prestiti a tasso zero, la cooperazione internazionale, l’aiuto militare come tanti piccoli cavalli di Troia per accrescere la sua influenza nel continente.
Un viaggetto nelle miniere di cobalto della Repubblica democratica del Congo è chiarificatore per rendersi conto delle condizioni disumane in cui vivono i lavoratori africani sotto il tallone delle multinazionali di Pechino. Il 60% del cobalto mondiale viene estratto nella Repubblica democratica del Congo, il 90% del materiale estratto finisce in Cina, paese che domina la filiera congolese del cobalto con diverse aziende, tra le quali la Congo DongFang Internetional Mining , che fa parte di Zhejiang Huayou Cobalt, uno dei più grandi produttori di cobalto al mondo.
Nella loro presenza, e penetrazione, i cinesi non dimenticano l’aspetto culturale, infatti numerosi sono i centri culturali in Africa denominati “Istituto Confucio”, ovvero un modo per diffondere la cultura cinese e la lingua mandarina in tutto il continente.
Tutto questo spiega l’ascesa machiavellica della Cina comunista come attore geopolitico in un teatro in cui una ristretta classe detiene ancora il potere con la complicità di gruppi di potere transnazionali ed ora cinesi.
——————————————————————–
(seconda parte, fine)
Clicca sul link sottostante per rileggere
“La presenza cinese in Africa – prima parte”
Joseph Ki-Zerbo : Storia dell’Africa nera, Einaudi, Torino 1977 ; A quando l’Africa ?
http://www.ocean4future.org/archives/39613 – Andrea Mucedola https://www.centromachiavelli.com/ricerche/
Marta Marson, Università degli Studi di Pavia, Università degli Studi dell’Insubria.
Articolo di Bernadette Amante
Fonte: http://oubliettemagazine.com/2014/03/24/le-citta-fantasma-dellafrica-si-moltiplicano-quali-sono-i-veri-interessi-della-cina/