Le giornaliste sono pagate meno dei colleghi uomini. Tanto che l’istituto di previdenza della categoria (INPGI) si chiede se queste professioniste riusciranno a ottenere la parità di salario prima del cataclisma che accadrà con gli sviluppi dell’intelligenza artificiale.
Adriana F.
15-10-2023
Il sospetto è che la situazione non possa migliorare prima che si diffondano in modo pervasivo le moderne tecnologie in grado non solo di trasmettere informazioni, ma addirittura di elaborarle.
Secondo i risultati dell’indagine svolta lo scorso anno dall’Associazione degli enti previdenziali privati (ADEPP – clicca per approfondire), le diseguaglianze salariali delle giornaliste rispetto ai colleghi uomini sono aumentate a tutti i livelli di professionalità. E ciò accade nonostante sia cresciuta la presenza femminile nel settore. Sembra quindi duro a morire il pregiudizio che considera questo mestiere “prettamente maschile”.
La ricerca ha coinvolto 16 enti di previdenza con circa 107 mila iscritti, di cui 45mila donne e 62mila uomini.
Il dettaglio delle retribuzioni mostra che prima dei 30 anni di età il reddito medio delle professioniste è di circa il 20% in meno di quello degli uomini: 12.102 euro l’anno, a fronte dei 15.129 euro dei loro colleghi.
Nella fascia anagrafica che si distingue per i maggiori guadagni – quella fra i 50 ed i 60 anni – la media generale risulta essere di 47.291 euro, ma gli uomini arrivano a quasi 54.800 euro l’anno, mentre la componente femminile si ferma a poco più di 32.000 euro.
Viene poi notato che nel periodo 2007-2021 la percentuale di donne iscritte alla previdenza del settore è passata dal 30 al 42% del totale, ma con notevoli differenze tra le fasce d’età: l’età media delle donne professioniste è di circa 45 anni, contro i 50 degli uomini, ma al di sotto dei 40 anni le donne risultano essere circa il 54%.
Che la libera professione delle donne richieda maggior sacrificio rispetto a quello che ricade sui colleghi uomini si rileva anche dal fatto che sono più numerose dei colleghi uomini le professioniste che si cancellano dagli elenchi della Previdenza, soprattutto nella fascia di età 30-40 anni. Come in molti altri settori, infatti, anche per le professioniste dell’informazione, l’onere femminile del lavoro di cura (riguardante figli e familiari anziani) incide sulla continuità della professione e sulla carriera. Ciò accade soprattutto al Sud, spesso per le carenze nel sistema di welfare locale rispetto ad altre zone d’Italia, dove le lavoratrici possono contare su strutture o figure esterne di supporto (baby sitter, asili e centri ricreativi per l’infanzia).
Altro dato significativo emerso dalla ricerca è che le donne occupate in questa categoria non rivendicano pari dignità al compenso, bensì pari prospettive di lavoro. Un obiettivo già oggi difficile da raggiungere e che verosimilmente lo sarà ancora di più con i progressi dell’intelligenza artificiale in grado di raccogliere ed elaborare notizie, presentazioni e comunicati stampa.
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