Auto elettrica

Gabriella Carlon
10-01-2021
E’ in atto una campagna mediatica a favore dell’auto elettrica, che potrebbe risollevare le sorti dell’industria automobilistica. L’argomento principe che dovrebbe indurci a comprare un’auto elettrica è la difesa dell’ambiente mediante la diminuita emissione di Co2 nell’atmosfera. Non v’è dubbio che l’inquinamento delle nostre città verrebbe abbattuto, con vantaggio dell’ambiente e della nostra salute.
Ma a fronte di una diffusione capillare dell’auto elettrica come e dove verrebbe prodotta l’elettricità necessaria ad alimentare tutte le auto elettriche che dovrebbero sostituire le attuali auto a benzina? In caso di vasta adesione da parte dei cittadini, probabilmente bisognerebbe ricorrere agli idrocarburi per produrre la corrente elettrica necessaria: l’impatto sull’inquinamento globale non sarebbe tanto diverso; per lo meno finché non si riuscirà a trarre dal solare una quantità congrua di energia.
Inoltre si dovranno produrre su larga scala le batterie capaci di alimentare le auto elettriche. Un minerale essenziale per la batteria al litio (come per quella dello smartphone) è il cobalto: per la batteria di uno smartphone sono necessari da 5 a 10 grammi di cobalto, per quella di un’auto ne servono da 8 a 9 chili. Già esiste un’impennata nel consumo di cobalto e si prevede che salirà ulteriormente nei prossimi anni. E’ vero che si stanno svolgendo ricerche per costruire batterie senza cobalto (pare che la cinese Svolt sia in grado di metterle sul mercato nel 2021), ma quali altri minerali saranno utilizzati? Cobalto o altri minerali come litio o nichel sono risorse infinite? Evidentemente no, e allora come ci si pone di fronte al problema della finitezza delle risorse?
Il recupero dei materiali è molto relativo, anche perché le batterie sono progettate per una migliore efficienza e non nella prospettiva del recupero del materiale usato.

Esiste poi, a proposito del cobalto, un altro grave problema: si calcola che il 70% del cobalto mondiale sia nei giacimenti della Repubblica democratica del Congo, dove viene estratto in larga parte in modo artigianale, in condizioni disumane, spesso anche dai bambini. Amnesty International ha denunciato, fin dal 2016, le conseguenze della svolta green dell’industria automobilistica. Le condizioni di lavoro, particolarmente nelle miniere artigianali, sono estreme e i salari sono irrisori: si calcola che siano impiegati circa 40.000 bambini e 160.000 adulti senza nessuna protezione per la loro salute, e quindi senza alcun rispetto dei diritti umani e del lavoro. (1)
Il materiale raffinato viene venduto ad aziende cinesi e sudcoreane produttrici di batterie per smartphone e auto elettriche, che a loro volta le vendono alle multinazionali del settore elettronico e automobilistico. Numerose ONG chiedono che venga reso trasparente il percorso della produzione di batterie, ma finora i risultati sono scarsi. Ancora una volta la ricchezza del sottosuolo africano produce profitti per altri, ma tutt’altro che benessere per gli abitanti locali. Forse a questo si dovrebbe pensare quando si dice “aiutiamoli a casa loro”.

Quando si parla di sviluppo sostenibile e di green economy, sia sul piano sociale che ambientale, temo che si guardi ai vantaggi per il nostro mondo occidentale, non alle condizioni complessive del pianeta. Spesso si tratta solo di una delocalizzazione degli svantaggi.
Penso che la strada sia un’altra: diminuire il prelievo e il consumo di risorse.
Si può privilegiare il trasporto di merci su rotaia, sviluppare un efficiente trasporto pubblico e ridurre il numero delle auto circolanti, superando la cultura dell’auto come proprietà individuale.
Quale strada imboccherà la green economy?

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(1) Per maggiori dettagli:
Lavoro minorile nelle miniere del Congo – Amnesty International
Avvenire.it – bambini schiavi nel Congo

Ambiente