Nessuno dei due principali candidati alle elezioni presidenziali ha ottenuto la percentuale di voti necessaria per la più alta carica dello stato. Fiato sospeso in vista del ballottaggio che si terrà il 30 ottobre
Adriana F.
23-10-2022
Protagonisti assoluti del confronto sono stati Luiz Inácio Lula da Silva, 76 anni, leader del Partito dei Lavoratori (PT), già eletto per due mandati dal 2003 al 2011, e il presidente uscente Jair Bolsonaro, 57 anni, a capo del Partito Liberale e rappresentante di una destra conservatrice, populista e autoritario. Insieme hanno ottenuto il 90% dei voti complessivi.
Il primo ha avuto la maggioranza dei voti: oltre 57 milioni, pari al 48,4% del totale. Un ottimo risultato, ma non sufficiente per avere la carica di presidente del Brasile, per cui si richiede la maggioranza assoluta dei suffragi. Il secondo ha raggiunto un’imprevista buona posizione, essendo stato scelto dal 43,2% di brasiliani (più di 51 milioni).
Lontanissimi dai primi posti sono risultati il terzo e il quarto in classifica: Simone Tebet, del Movimento Democratico Brasiliano (MDB), partito di centro-destra, ha totalizzato il 4,2% dei voti; Ciro Gomes, del Partito Democratico Laburista (Pdt), di centrosinistra, si è fermato al 3%. Nessuno dei due è risultato vincitore in alcuno degli stati federati che compongono il Brasile.
In un contesto così polarizzato, con il nord-est e Minas Gerais favorevoli a Lula e le preferenze per Bolsonaro negli stati del sud e nell’area di San Paolo, qualcuno pensa che, nonostante l’obbligo di votare, a fine mese potrebbe aumentare il livello di astensione registrato il 2 ottobre (20,94% degli aventi diritto), anche a causa di un possibile aumento degli episodi di intimidazione, di cui per ora non si hanno notizie certe.
Due profili a confronto
La campagna elettorale si è concentrata sui temi più urgenti per gli elettori: sviluppo economico, gestione delle risorse del paese, lotta alla povertà e diritti delle minoranze. Temi che vedono i due schieramenti su posizioni inconciliabili. Tanto che nessuno dei due candidati è riuscito a essere trasversale, come testimonia dal Brasile Alfredo Somoza, presidente della Ong italiana ICEI.
Luiz Inácio Lula da Silva, ex sindacalista, saldamente ancorato alla sinistra e, a quanto dice Antonio Piemontese su Wired, (clicca) “appoggiato (silenziosamente) da Washington”, punta a normalizzare il Paese, riproponendo l’esperienza di “un’epoca felice” in cui il Brasile era diventato un nuovo modello del socialismo mondiale e aveva avviato un programma di riforme tese a introdurre “standard minimi di giustizia sociale in un Paese squarciato dalle disuguaglianze”. Un piano d’azione riuscito, che aveva portato il Brasile fuori dalla lista dell’ONU degli stati più poveri. Lista in cui il paese è tornato di recente a far parte.
Come precisa Andrea Torrente nel suddetto articolo, Lula promette “programmi sociali, investimenti in sanità e cultura, sostegno per i più poveri, fine del disboscamento illegale ed espulsione dei cercatori d’oro che uccidono gli indios e devastano le riserve indigene ricche di minerali preziosi”. Una strada pericolosa e difficile da intraprendere. Basti pensare che “a giugno, in Amazzonia ha perso la vita Dom Philips, giornalista del Guardian […] trucidato assieme all’esperto indigeno brasiliano Bruno Pereira mentre conduceva ricerche sulle minacce alle tribù isolate”.
Grandi speranze sono riposte in Lula anche sul tema delle disuguaglianze, perché la polarizzazione della società brasiliana non è solo politica ed economica. «Parlare di disuguaglianze – ha dichiarato la militante Dilma Rousseff (clicca) – è anche parlare delle donne di colore, questo è un Paese a maggioranza nera. Le donne di colore devono essere rispettate, Lula porterà questa sensibilità nelle sue politiche». Un problema serio che riguarda anche gli uomini. Lo dimostra il numero esiguo dei candidati neri alla presidenza: solo due su undici. E nessuno dei due ha potuto partecipare al dibattito a causa di una recente legge restrittiva varata dal governo uscente. Il razzismo, insomma, permea ancora pesantemente la società brasiliana.
Sul fronte opposto, Bolsonaro, ex capitano dell’esercito, ha centrato la sua campagna elettorale sui valori morali (“Dio, patria, famiglia”) e sugli attacchi al suo avversario, che ha definito “ladro” ed “ex detenuto” (clicca). Ma dopo quattro anni al governo lascia il paese in condizioni disastrose: “oltre 33 milioni di persone (un sesto della popolazione) patiscono la fame, l’inflazione è in crescita, il disboscamento in Amazzonia avanza a ritmi serrati, il paese è isolato sul piano internazionale: non dialoga coi vicini governati della sinistra, ha tagliato i ponti con i paesi africani di lingua portoghese (Mozambico e Angola) … si è attirato malanimo nelle cancellerie (clicca). E ancora: non ha attuato le liberalizzazioni promesse, ha spesso attaccato le istituzioni giudiziarie e la stampa e ha gestito malissimo la pandemia, portando il paese al secondo posto al mondo per numero di vittime (686.000 morti). Ha contrastato i governatori che decretavano il lockdown, ha ritardato l’acquisto dei vaccini puntando sull’immunità di gregge e in un video ha addirittura deriso i malati di Covid, facendosi beffe del loro respiro affannoso per mancanza d’aria.
Bolsonaro, però, mantiene il sostegno degli evangelici brasiliani (che sono un terzo dell’elettorato), ha stretto legami con i rappresentanti del mondo agrario (i fazendeiros) contrari ai regolamenti in difesa dell’ambiente e con i rappresentanti della finanza locale e internazionale, che chiedono tagli alle imposte, privatizzazioni e liberalizzazioni dei servizi a controllo statale. C’è poi chi ha apprezzato l’aumento dell’assegno sociale, da lui concesso negli ultimi mesi, e infine chi crede che Lula sia davvero coinvolto negli scandali di corruzione di cui è stato accusato.
Il suo Partito liberale, a conti fatti, ha ben poco a che vedere con il liberalismo moderato, mentre ha tutte le caratteristiche di un’estrema destra asservita alle multinazionali e nostalgica della dittatura: spregiudicata sul piano economico e reazionaria in tema di diritti civili e di rispetto delle minoranze. Non a caso Bolsonaro dimostra un’aperta ammirazione per personaggi come Trump e Orban.
I rischi per il paese
Il primo rischio, che riguarda il rinvio a una seconda votazione, è quello di un ulteriore aumento della tensione sociale, già altissima alla vigilia del 2 ottobre, di cui ha parlato senza mezzi termini Bruno Desidera, giornalista de “La voce del popolo” (clicca). In un articolo apparso sul sito del S.I.R. egli ha definito la campagna elettorale appena conclusasi “brutta, rissosa, violenta: candidati uccisi dai gruppi criminali e del narcotraffico, militanti politici presi a sprangate da gruppi di veri e propri squadristi, un linguaggio d’odio, un uso spregiudicato e strumentale della religione, un duello atteso in tutto il mondo che si è trasformato in un “wrestling” politico senza precedenti”.
La stessa fonte riferisce lo sconforto di Francisco Orba, sociologo alla Pontificia università cattolica di San Paolo, per le falsità usate dalla propaganda elettorale: “negli ultimi giorni Bolsonaro si è inventato la storia che Lula è un inviato del diavolo, e ci sono persone dalla fede semplice, nel Paese, che potrebbero pure credergli”.
A far temere un aumento della violenza è stato lo stesso atteggiamento del presidente uscente, che ha dichiarato pubblicamente che tutti dovrebbero avere un fucile e ha reso più semplice l’accesso alle armi. Sono quindi aumentati i brasiliani che girano armati e in internet circolano dei video che mostrano poligoni di tiro dove si spara contro l’immagine di Lula raffigurata sui bersagli.
Per coloro che temono l’avvento di un governo antidemocratico, il secondo rischio è che il presidente uscente venga rieletto. Non tanto perché sono convinti che Lula potrebbe fare molto meglio, ma piuttosto perché la progressiva deriva autoritaria di Bolsonaro fa presagire un ulteriore allentamento dei controlli sulle attività dei suoi sostenitori responsabili della devastazione ambientale a scopo di lucro. Ciò significherebbe un drammatico peggioramento in tema di crisi climatica (con riflessi negativi in tutto il continente e forse per l’intero pianeta) e un arretramento delle condizioni delle fasce più svantaggiate della popolazione, nonché una drastica riduzione delle fonti di sostentamento per i gruppi etnici che vivono nella foresta. Senza contare la possibilità che aumentino le leggi restrittive riguardanti i diritti civili delle varie minoranze locali, cui il presidente uscente non sembra affatto interessato.
C’è, infine, un terzo rischio prospettato da molti commentatori: che la vittoria di Lula non venga riconosciuta dall’avversario, avendo quest’ultimo dichiarato che “solo Dio” potrebbe rimuoverlo dal suo incarico di capo dello Stato. E ha già messo preventivamente le mani avanti, insinuando il sospetto di frodi nel conteggio dei risultati. In tal caso si potrebbe creare un’atmosfera da guerra civile, simile a quanto accaduto negli Usa, dove i seguaci del candidato sconfitto hanno sono arrivati a prendere d’assalto il palazzo del Campidoglio.
Anche in caso di vittoria, comunque, la strada di Lula risulterà irta di ostacoli e sarà difficile far approvare riforme e iniziative di qualche rilievo. Lo afferma Alessia De Luca dell’ISPI (clicca), sottolineando che il partito del presidente uscente ha vinto nelle elezioni legislative, con il risultato che Camera e Senato avranno ancora una maggioranza di destra. Il Partito Liberale in effetti potrà contare almeno su 99 parlamentari: un numero record che rende il Congresso nazionale il più conservatore della storia democratica del paese.
Con tale compagine di parlamentari conservatori già insediati, le potenti lobby presenti in Brasile avranno gioco facile nel mantenere inalterato il loro ricco business, spesso realizzato con metodi ai limiti della legge e in qualche caso di stampo criminale, che nessuno è mai riuscito a contrastare efficacemente, nonostante le sofferenze e i disastri causati all’ambiente e alla popolazione.
____________________________________________________________________________________
Note
Foto di copertina da “glistatigenerali.com”
Disclaimer (Per rivendicare diritti di proprietà su riferimenti e immagini)