Gabriella Carlon
09-02-2021
Di fronte alla crisi ambientale e alla crescente disuguaglianza globale, negli anni recenti si è pensato con sempre maggior fiducia allo sviluppo sostenibile o all’economia green o alla crescita verde. Si sono orientate in tal senso diverse agende ONU, la Banca Mondiale, l’OCSE, la Commissione Europea. Tale prospettiva poggia sulla teoria del disaccoppiamento cioè la possibile separazione della crescita economica dall’impatto ambientale, come se si trattasse di variabili indipendenti: sarebbe auspicabile una loro evoluzione con andamento non proporzionale.
La Commissione Europea nel 2013 chiede “un disaccoppiamento assoluto di crescita economica e degrado ambientale” (Vivere bene nei limiti del nostro pianeta). Si tratta di verificare se l’operazione sia possibile. Mi sembra interessante a questo proposito un Report pubblicato da EEB (European Environmental Bureau) che prende in esame i numerosi studi effettuati sull’argomento. (1)
Preliminarmente bisogna stabilire su che cosa si vuole misurare il disaccoppiamento: se su un territorio limitato o sull’intero pianeta, se su tutte le risorse utilizzate o solo su quelle energetiche, se solo sulla produzione o anche sullo smaltimento del prodotto. Infine il disaccoppiamento può essere relativo o assoluto. Il primo si ha quando le due variabili non crescono in parallelo, ma una sopravanza l’altra in un certo tempo ma non abbastanza velocemente da far diminuire l’impatto complessivo, mentre quello assoluto si ha quando diminuisce l’impatto complessivo, cioè l’attività economica cresce senza un incremento dell’impatto ambientale oppure l’impatto diminuisce senza una corrispettiva diminuzione dell’attività economica.
L’efficacia del disaccoppiamento va calcolata rispetto all’obiettivo che ci si propone. In questo momento il problema più grave, dal punto di vista ambientale, è il cambiamento climatico: gli interventi previsti dovrebbero cercare di mitigarne gli effetti dovuti alle attività umane; si dovrebbe raggiungere una diminuzione nell’emissione di CO2 in tempi brevi, limitando l’incremento della temperatura media globale a 1,5 °C. La crescita verde può raggiungere quest’obiettivo? La risposta del Report sopracitato è negativa, perché risultati positivi si possono raggiungere ma limitatamente a un territorio, non all’intero pianeta. Invece il cambiamento climatico è un problema da affrontare in maniera globale.
Se nei paesi ricchi è possibile che a una crescita del PIL del 10% corrisponda un aumento dell’impronta ecologica del 6%, gli effetti globali sono comunque negativi. Infatti la delocalizzazione delle produzioni ad alto impatto ambientale va a produrre inquinamento in altre parti del mondo; le innovazioni tecnologiche, che mirano essenzialmente all’aumento del profitto, spostano spesso i problemi: ad esempio la produzione di biocarburanti mette in discussione l’uso del suolo; l’auto elettrica richiede elevato uso di risorse provenienti dal Sud del mondo (litio, cobalto, rame); l’uso dell’idrogeno implica elevata produzione di energia elettrica (prodotta da fonti rinnovabili -idrogeno verde – o da fonti fossili -idrogeno blu -?); il riciclo, oltre che essere possibile solo entro certi limiti, richiede comunque l’uso di nuove risorse; l’economia dei servizi abbisogna d’infrastrutture materiali rilevanti; infine i vantaggi ottenuti potrebbero essere annullati semplicemente da un incremento dei consumi a livello globale. La conclusione del Report è che sicuramente serve diminuire l’impatto ambientale cercando una sempre maggiore efficienza: ridurre l’uso di materie prime e di energia fossile e perseguire il massimo del riciclo è cosa buona, ma tutto ciò non basta a raggiungere gli obiettivi che ci proponiamo.
Che fare allora? Gli autori del Report propongono di guardare ad altri modelli culturali che, oltre al principio dell’efficienza, abbiano a cuore quello della sufficienza, cioè che siano volti a selezionare i consumi in funzione di ciò che è davvero essenziale al nostro benessere psico-fisico. Si tratta di disaccoppiare il PIL dal ben-essere, dal ben-vivere, verso la prosperità senza crescita.
Inoltre, mi permetto di osservare che la crescita verde trascura completamente il problema della distribuzione della ricchezza, mentre sappiamo che la disuguaglianza è ormai un problema non solo etico, ma anche economico.
Credo che ci voglia davvero un diverso paradigma culturale a suggerire scelte diverse, non solo individuali ma strutturali, nell’economia e nella politica. Necessita un ceto dirigente in grado di guidare la transizione verso un altro modello di società.
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Note
(1) AA.VV., Il mito della crescita verde, Luce edizioni, 2020
Edizione originale: Decoupling debunked: Evidence and arguments against green growth as
a sole strategy for sustainability, edito da EEB, 8 july 2019
N.B. EEB (European Environmental Bureau) da non confondere con EEA (European Environmental Agency) che è un organismo dell’Unione Europea.