Democrazia e disuguaglianza

Gabriella Carlon
07-04-2025

Come di consueto, in occasione della riunione dei miliardari della terra a Davos (20-24 gennaio 2025) OXFAM ha presentato il Rapporto annuale, che ha come tema la disuguaglianza. Report_OXFAM_Davos_gen2025.pdf
Apprendiamo così che il 44% della popolazione mondiale vive sotto la soglia di 6,85 dollari al giorno, che è considerata la soglia della povertà. La povertà monetaria implica la negazione dell’accesso ad acqua pulita, sanità e istruzione. La soglia della povertà assoluta è considerata 2,15 dollari al giorno: 733 milioni di persone soffrono la fame (152 milioni in più rispetto al 2019). Si dice che la globalizzazione ha ridotto la povertà assoluta, ma, se si scorpora il dato cinese, la situazione è stagnante. In Cina nel periodo 1990-2015 la povertà assoluta è stata ridotta del 75%.
A fronte di ciò, l’1% della popolazione mondiale detiene il 44% della ricchezza globale e l’andamento complessivo non è di riduzione, bensì di aumento della disuguaglianza: i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Non vanno diversamente le cose in Italia. L’indice di Gini, che misura la disuguaglianza, è passato da 0,67 (2010) a 0,71 (2024).

 

 

Il grafico illustra le enormi disuguaglianze esistenti:
il 10% più ricco (6 milioni) detiene il 59,7% della ricchezza;
il successivo 20% (12 milioni) detiene il 22,5%; l’ulteriore 20% (12 milioni) detiene il 10,4%;
il 50% più povero (30 milioni) detiene il 7,4%.

 

Nel 2023 si trovano in povertà assoluta 5,7 milioni di persone (i picchi sono nelle fasce 18-34 anni e 35-44 anni). Il dato più stupefacente è che l’aumento degli occupati non provoca la diminuzione dei poveri; il che significa che anche chi lavora può trovarsi sotto la soglia della povertà assoluta.

Perché accade? Il Rapporto indica le cause nella liberalizzazione dei contratti a tempo determinato, nel part-time involontario, nei mancati rinnovi contrattuali, nella eccessiva frantumazione delle tipologie di contratto. In Italia il salario è rimasto fermo negli ultimi trent’anni, mentre l’inflazione è del 17-18 % e addirittura del 25% per i beni alimentari.
Inoltre la precarietà di questo mercato del lavoro induce un modo di vivere il lavoro come mero strumento di guadagno e non anche come modo di realizzazione di sé, elemento che favorisce un individualismo sfrenato, toglie forza alla contrattazione collettiva e indebolisce sempre più chi vive del proprio salario.

Altro elemento che genera disuguaglianza è il sistema fiscale, che è sempre meno progressivo, contrariamente a quanto stabilito dalla Costituzione (art. 53). Il tentativo di aumentare i salari con la fiscalizzazione del taglio al cuneo contributivo genera in realtà una sorta di partita di giro, per cui i beneficiari del taglio sono i principali finanziatori, che poi si trovano anche a dover fare i conti con il venir meno della gratuità dei servizi essenziali (sanità, scuola, trasporti). Inoltre il sistema fiscale favorisce la rendita anziché il lavoro produttivo, incrementando così la ricchezza di chi è già ricco.
Il Rapporto suggerisce infine una serie di provvedimenti che dovrebbero porre rimedio a questa situazione: dal salario minimo per legge a una politica industriale da parte dello stato, da un sistema fiscale realmente progressivo a una patrimoniale a carico dello 0,1% dei cittadini più ricchi, da una tassa sulle grandi successioni a una revisione del catasto e a una seria lotta all’evasione fiscale.

Il quadro delineato dal Rapporto fa nascere una domanda: l’incremento delle disuguaglianze ha a che fare con la crisi che investe la democrazia occidentale? Probabilmente sì.
La grave crisi della democrazia si manifesta con l’astensione dal voto e con l’avanzata di partiti nazionalisti e autoritari. Evidentemente l’opinione pubblica maggioritaria non crede più che il sistema democratico consenta di orientare le scelte politiche dei governi. Queste sono ormai determinate non dai Parlamenti rappresentativi, ma dal potere esecutivo dei Governi, che rispondono a pochi oligarchi detentori del potere economico. Però il fondamento di una democrazia sostanziale è la redistribuzione della ricchezza: è l’uguaglianza, almeno tendenziale, che permette il godimento, o la speranza, del benessere e della libertà. Altrimenti di quale libertà può godere chi non riesce a sbarcare il lunario?
La polarizzazione della società con l’incremento dei due estremi, ricchi e poveri, uccide la democrazia, perché le decisioni, prese dai potentati economici, non sono più influenzabili e controllabili dall’elettorato, sia perché in alcuni casi questi assumono direttamente il potere, sia perché governano per interposte persone a cui hanno finanziato costosissime campagne elettorali.
Il dissenso privo di spazio politico e di potere reale diventa insignificante: può riempire le strade ma non incide sulle decisioni. L’opinione pubblica, opportunamente influenzata dai media, detenuti dagli stessi ricchi, si orienta perciò verso partiti reazionari, attirata da ideologie nazionaliste e razziste e rabbonita da bonus di ogni tipo, presentati come bonarie concessioni dei governi anziché come sacrosanti diritti. Smantellare la cultura dei diritti universali e inalienabili è l’obiettivo che si propongono i nuovi attori, perché è con le elargizioni che si stabilisce un filo diretto tra popolo e capo dell’esecutivo, al di fuori dei corpi intermedi che potrebbero garantire una partecipazione al momento decisionale.

Passo dopo passo la democrazia, senza uguaglianza tendenziale, diventa una forma vuota che lentamente trapassa in regime autoritario, se non addirittura dittatoriale.
Stiamo probabilmente assistendo al fallimento della democrazia occidentale.

Economia