Democrazia rappresentativa – un bene da salvare

Gabriella Carlon
28-04-2021

La democrazia rappresentativa non sembra godere di buona salute in generale, ma questo accade soprattutto in Italia, dove periodicamente il Parlamento viene commissariato per mano del Presidente della Repubblica perché incapace di esprimere una maggioranza di governo.
E’ abbastanza evidente che la democrazia rappresentativa può funzionare se funzionano i partiti, come previsto dalla Costituzione. Forse vale la pena di fare qualche riflessione su che cosa non va nei partiti, in particolare su due aspetti: il finanziamento e la funzione.
Quanto al finanziamento non ho dubbi che esso debba essere pubblico: in caso contrario i partiti rappresentano non i cittadini ma le lobbies che li hanno finanziati. Come si sa il referendum del 1993 ha abolito il finanziamento pubblico ai partiti, mantenendo solo il rimborso delle spese elettorali. Negli anni seguenti furono talmente gonfiate le quote per il rimborso che di fatto si mantenne il finanziamento pubblico, in barba all’esito del referendum. Di conseguenza partì una nuova ondata anti-casta e anti-partiti che portò nel 2012 (governo Monti) alla legge che ridusse drasticamente i compensi e nel 2014 (governo Letta) alla legge che li abolì completamente.
Attualmente è previsto un contributo ai Gruppi parlamentari per le loro attività istituzionali, nonché finanziamenti privati sia con il 2 per mille dell’IRPEF sia con erogazioni liberali fino al tetto massimo di 100.000 euro. Nel frattempo sono nati diversi enti (le Fondazioni) direttamente legati ai partiti e al loro finanziamento, che hanno creato nuovi problemi di trasparenza sull’origine dei fondi.
Credo che nell’accesa polemica anti-partiti di questi decenni si sia gettato il bambino con l’acqua sporca: è sacrosanto combattere la corruzione presente nei partiti, ma non si può abolire il necessario sostegno alla loro attività, che non può essere ridotta a quella di un comitato elettorale. La fiscalità generale dovrebbe sovvenzionare le attività dei partiti.

Quale funzione devono svolgere i partiti?
La Costituzione recita: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 49).
La tanto esaltata caduta delle ideologie non ha giovato molto alla democrazia: certo esistono anche ideologie perverse, che fortunatamente sono state relegate a piccoli nuclei minoritari, ma in realtà si è affermata un’unica ideologia, quella del mercato, che uccide una vera discussione politica perché trasforma i cittadini in consumatori indifferenziati, facendo venir meno la prospettiva di una società alternativa all’esistente, capace di dare un senso all’azione politica volta a un futuro migliore. La società viene concepita come una somma di individui in competizione tra loro e la pur necessaria coesione sociale si costruisce sul concetto di popolo indistinto, ricorrendo al nazionalismo ottocentesco e, ovviamente, alla xenofobia, che sono le basi reazionarie della Destra italiana.
Il popolo così inteso non ha però bisogno di una democrazia rappresentativa, bensì di un leader con cui identificarsi. A lui si attribuisce il potere di governare indisturbato e solo alla fine della legislatura verrà espresso il giudizio degli elettori. La lotta tra i partiti diventa allora solo lotta per le poltrone (come ha avuto il coraggio di denunciare Zingaretti) e i parlamentari possono tranquillamente cambiare casacca a seconda delle convenienze personali. In questo contesto non servono corpi intermedi interessati a confrontarsi con gli elettori sul modo migliore per risolvere i problemi dello stato, ma solo comitati elettorali che riescano a individuare costantemente un nemico a cui contrapporsi.
Una simile prassi, anche se rispettosa delle procedure democratiche, ha in realtà svuotato la sostanza della democrazia, che dovrebbe essere confronto e mediazione continua per raggiungere il più alto livello possibile di bene comune. Un Parlamento che si limiti a ratificare le decisioni del Governo può anche non esistere. La stabilità del Governo non può sopprimere il confronto democratico (a meno che non siamo in presenza di un pensiero unico, la legge del mercato).
La democrazia ha bisogno di partiti organizzati che rappresentino le diverse parti presenti nella società, con interessi, valori e visioni differenti e talvolta conflittuali. E ha bisogno di modelli alternativi su cui i cittadini possano ragionare, dibattere e infine scegliere. I partiti e altri corpi intermedi, quali sindacati, associazioni e movimenti, dovrebbero da un lato mostrare a quale modello di società intendono ispirarsi e dall’altro avere la capacità di mediare con la realtà economico-sociale esistente per tradurre in decisioni politiche e provvedimenti concreti l’avvicinamento alla società ideale.
I corpi intermedi hanno inoltre un importante compito, come previsto dalla Costituzione, nel rendere accessibile ai cittadini la partecipazione attiva al dibattito politico. Non è sempre facile per le persone comuni, impegnate nei mille problemi della vita quotidiana, orientarsi nel confronto tra le diverse opzioni e capire le conseguenze delle scelte operate dalla politica, specialmente se la comunicazione è dominata dalla propaganda centrata sull’immagine di un candidato, invece che su una visione ideale dei traguardi da raggiungere. In questo senso un partito ha anche una funzione di orientamento dei suoi elettori e dell’opinione pubblica in generale, aprendo un orizzonte di comprensione della realtà e di percorsi che aspirano a realizzare il modello di società a cui tendere. Per svolgere questa funzione un partito non può assumere le proprie decisioni sulla base dei sondaggi al solo scopo di ottenere consenso. Certo, è più facile sollecitare il tornaconto individuale piuttosto che l’aspirazione al bene comune, ma così non si instaura un adeguato governo della polis: si combatte solo per la conquista del potere.
Infine nel gioco democratico hanno un’importanza basilare i media, che dovrebbero fornire una corretta informazione e operare un costante controllo sui politici, sia sulla loro onestà sia sul significato sociale delle loro scelte. Ma esiste in Italia una informazione indipendente a livello diffuso (TV- stampa- social)? Temo di no. A giudicare dal coro contrario a Conte e favorevole a Draghi in maniera preconcetta e acritica (salvo qualche rara eccezione), sembrerebbe che i media abbiano rinunciato alla loro funzione di informazione puntuale e valutazione ponderata intorno ai problemi della nostra società. Ma speriamo che sia solo un temporaneo venir meno della funzione di critici attenti, rispetto al potere di turno, che i media dovrebbero avere.

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