Festeggiamo la Repubblica

Gabriella Carlon
30-05-2021

 

 

 

 

 

 

Anche quest’anno si deve rinunciare alle celebrazioni più partecipate e popolari in occasione delle ricorrenze civili fondamentali: 25 aprile e 2 giugno. Niente cortei festosi, niente ritrovarsi in tanti, a ricordare certo, ma anche a confermare un impegno civico per il futuro e a passare la mano alle nuove generazioni. Tutto ciò è motivo di dispiacere, ma la riflessione più triste va al fatto che buona parte degli italiani (stando ai sondaggi) darebbe il proprio voto a partiti che non riconoscono queste ricorrenze come date fondanti il nostro vivere civile.

Le feste nazionali hanno un forte valore simbolico: dovrebbero rappresentare i valori condivisi, che permettono a una società di essere coesa. Invece non abbiamo in Italia una giornata che tutti sentano come propria, al di là e al di sopra dei diversi orientamenti politici. Anzi il 25 aprile soprattutto,  sconfitta definitiva del fascismo e dell’oppressione da un esercito straniero, è per noi profondamente  divisivo: una parte, alquanto larga, degli italiani non si riconosce nei valori della Resistenza, che, nelle sue forme variegate e nei diversi orientamenti politici, aveva però un obiettivo comune: abbattere il fascismo e, attraverso un’Assemblea Costituente, dare un nuovo assetto allo Stato italiano. Ma perché tanti cittadini si sentono estranei a tali valori? Le comunicazioni di massa non hanno divulgato a sufficienza gli aspetti negativi di un regime che ha portato alla privazione dei diritti di libertà, alle leggi razziali e a una guerra disastrosa?

Forse, al di fuori dell’ambito accademico, non si è mai presa coscienza  delle responsabilità collettive. E la scuola non è stata sufficientemente incisiva. Evidentemente si ritiene che fascismo e antifascismo siano alla pari, due modi di pensare diversi: e non si deve forse ammettere la libertà di pensiero? Perciò saluti romani e altre manifestazioni di esaltazione del fascismo sono ampiamente tollerati. Non manca l’omaggio ai morti fascisti, che sarebbe “normale” il 2 novembre, ma che assume tutt’altro significato il 25 aprile e non può che essere di condivisione di quella ideologia e  di quell’operato: potrebbe anche essere irrilevante se fosse solo  celebrazione innocua e nostalgica del passato, ma non è così.

La sconfitta del fascismo e la Resistenza non sono eventi ormai privi di senso dopo 76 anni, ma sono il fondamento della nostra Costituzione, cioè della Carta che regge le nostre istituzioni, che governa i nostri diritti di cittadinanza, che regola il nostro vivere civile.  Per alcuni decenni, dopo il 1945, si è parlato di forze dell’arco costituzionale, mettendo ai margini chi non si riconosceva nella Costituzione perché nostalgico del fascismo. Ma quest’opera di marginalizzazione a un certo punto è venuta meno, si è sdoganato chi, con altro nome, mirava a riportare dentro la società valori anticostituzionali attraverso immagini e linguaggi che richiamavano palesemente il fascismo e il nazismo. Ideologie che non sono opinioni tra le altre; si tratta di un pensiero politico che mina dalle fondamenta la democrazia e pertanto non può avere cittadinanza, in quanto metterebbe a rischio le nostre libertà tanto duramente conquistate.

Ma tanti sono anche coloro che, pur senza aderire a forme palesi di fascismo, subendo però il fascino di ideologie nazionaliste e xenofobe, non possono ammettere una cesura netta   e un rifiuto totale del periodo fascista. Si pensa che in fondo responsabili del regime siano stati altri (Mussolini, il re, Hitler) e mai il popolo, secondo il mito “Italiani brava gente”. Non ci si avvede così dei pericoli insiti in certe espressioni e in certi atteggiamenti che sono propri non del fascismo storico, ma di una visione di società incompatibile con la Costituzione repubblicana. E forse per questo la democrazia in Italia è fragile, non nelle istituzioni, ma nella realtà sostanziale: la Costituzione rimane in parte ancora inattuata.

 

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