L’intervento di una Corte di giustizia degli Stati Uniti costringe una fabbrica di armi a risarcire alcune famiglie per l’uccisione dei loro figli. Una sentenza storica che potrebbe dare spazio a nuove cause e aprire una breccia nel mercato delle armi negli USA
Eraldo Rollando
25-02-2022
Un fatto, triste da ricordare.
Avvenne il 14 dicembre 2012, quello che fu chiamato “il massacro di Sandy Hook”.
Quella mattina Adam Lanza, un ventenne di Sandy Hook, un borgo nei pressi della città di Newtown in Connecticut (USA) uscì di casa imbracciando un fucile Bushmaster AR-15, un’arma militare non adatta per uso civile, per recarsi alla vicina scuola elementare. Nonostante il rigido protocollo di sicurezza della scuola, che richiedeva ai visitatori di essere individualmente ammessi dopo identificazione visiva e registrazione su video, Adam Lanza riuscì ad entrare, e subito si compì il massacro.
In dieci minuti di terrore 6 insegnanti e 20 bambini tra i 6 e 7 anni persero la vita.
La madre di Adam fu uccisa dal figlio prima di uscire di casa e lo stesso Adam si suicidò prima dell’arrivo della polizia.
L’azione legale e il risarcimento
Le famiglie di 9 delle 26 vittime hanno ottenuto un risarcimento da 73 milioni di dollari – circa 64 milioni di euro – a seguito della causa contro la filiale Bushmaster di Remington, la più antica fabbrica di armi americana.
Il caso non si presentava di facile soluzione: a quanto riferisce il Wall Street Journal, in un articolo del 15 febbraio 2022, “nel 2005 è stata promulgata una legge federale che fornisce ai produttori di armi un’ampia protezione dalla responsabilità nell’uso illegale delle loro armi, ha detto Timothy Lytton, professore del Georgia State University College of Law. Negli ultimi 17 anni i produttori di armi hanno pagato risarcimenti ai proprietari di armi per presunti difetti dei prodotti, ma non alle vittime di violenza con armi da fuoco”. In aggiunta a ciò, la diffusa e storica propensione degli americani risalente alla rivolta contro l’Inghilterra, che allora regnava nell’est del territorio nordamericano, di possedere un’arma, sancita peraltro dal secondo emendamento della Costituzione americana, non favoriva un clima adatto a uno schieramento di massa contro le aziende produttrici, che delle armi hanno sempre fatto un’attività estremamente lucrosa. Si aggiunga ancora il fatto che nella Nazione a stelle e strisce è accesissima la discussione sull’opportunità di rivedere in senso restrittivo le norme che consentono ai cittadini di armarsi quasi senza incontrare ostacoli.
Solo nel 2019 i legali delle famiglie sono riusciti a trovare un escamotage per mettere “spalle al muro” la Remington ricorrendo ad una vecchia legge della Stato del Connecticut. Secondo questa legge alle aziende è vietato fare pubblicità a un prodotto incoraggiando a usarlo in maniera illegale. Nel corso della disputa legale “Le famiglie avevano sostenuto che il fucile Bushmaster era stato pubblicizzato con slogan e pubblicità che ne implicavano l’uso in contesti violenti.” (Il Post.it, 15-2-2022)
Nonostante le obiezioni dell’avvocato di Remington, l’azienda decise di minimizzare i danni di immagine, che la prosecuzione della causa avrebbe potuto arrecare, chiudendo la vicenda con un patteggiamento.
È la prima volta che una azienda di armi riconosce la responsabilità di un omicidio di massa.
Ora, pare legittimo porsi una domanda: in un Paese dove le decisioni dei giudici formano giurisprudenza, è possibile che altre cause seguiranno?
Probabilmente sì, per una parte o forse per tutte le altre famiglie coinvolte nei tragici fatti. Ma è anche probabile che quell’accesissima discussione sull’opportunità di rivedere in senso restrittivo le norme che consentono ai cittadini di armarsi quasi senza incontrare ostacoli possa trovare uno sbocco favorevole. Lo speriamo. Il tempo dirà se quest’ultima probabilità si trasformerà in una legge federale degna di una grande democrazia.
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Foto di apertura: fonte RSI – Radiotelevisione svizzera