L’uomo moderno e il Divino. Una via percorribile?

Sembra che l’uomo moderno non riesca a evitare dall’essere percorso da sintomi di fragilità, insoddisfazione, infelicità e violenza. Ci sono modi per ricuperarlo ad una vita piena e felice? Sicuramente si, cercando e trovando soluzioni che soddisfino la propria adesione sia al “campo” laico, sia soluzioni che risiedono nell’ambito della religione. Una proposta percorribile?

Cristina Rollando
12-04-2025

Anno stellare 2150, diario di bordo del Capitano. Resoconto degli ultimi mesi di una vita frammentata, spesa nella disperata e inconcludente ricerca del “Fiore della Felicità”, che qualche improvviso e fugace visitatore aveva intravisto apparire evanescente tra le rocce di questo nuovo Pianeta …
Lo immagino così il Futuro: uomini sempre più disorientati, abitanti di nuovi regni, dopo aver consumato ogni più piccolo elemento del pianeta che li ospita, a ricercare ossessivi il segreto della Felicità!
Felicità, dal latino Felix la cui radice fe significa prosperità, abbondanza. I latini per dire di un albero che dava frutti, generava, dicevano: arbor felix,
Felice, quindi, potremmo dire che è colui che genera, dà frutti, che mette in modo il proprio talento, la propria voce interiore, il proprio daimon (1), e lo fa per sé e per gli altri.
Cosa c’entra questo con la Religione e la Chiesa?

Non serve, credo, in questa sede, ripercorrere la storia e i motivi che hanno portato l’uomo ad aver bisogno di credere in un Dio; come risulterebbe “fuori moda”, ormai, additare la Chiesa di tutti i passi falsi fatti nella Storia.
Vorrei dare un taglio personale a questo articolo (credo che le storie personali abbiano più potere di resoconti astratti e teorici). Vorrei, con la mia storia, accendere una luce su un rapporto, quello dell’uomo di oggi con la religione e con la Chiesa, che va salvato, a rischio della vita.
Credo che l’uomo moderno abbia perso completamente il legame con la Religione, con Dio e con la Chiesa e che in fondo, l’insoddisfazione, l’infelicità e la violenza che abitano sempre di più le nostre relazioni e le nostre vite, abbiano molto a che fare con questa perdita.
Credo che la Chiesa non sia stata capace di rispondere con efficacia, tranne pochi esempi, a questa perdita di credibilità.
Credo infine che riuscire a riannodare quel filo sottile con il divino, ridarebbe all’essere umano il senso profondo del proprio stare sulla terra, la prospettiva di un futuro da co-costruire e da far prosperare (felix), e toglierebbe dalle spalle fragili e appesantite l’illusione di bastare a sé stessi e di poter fare a meno dell’Altro.

Sono cresciuta in una famiglia molto credente. Credere in Dio non era una scelta ma un imperativo, un dovere. Negli anni ‘70 e ’80 del secolo scorso ai genitori si obbediva, e andare a catechismo, a messa la domenica, rispettare i comandamenti, faceva parte dell’educazione autoritaria del tempo.
La religione e la fede erano passi del Vangelo, versetti, comandamenti e preghiere imparati a memoria, senza spirito critico. D’altra parte, credere è un atto di fede, si dice…ciò che viene riportato nella Bibbia va lasciato risuonare nella mente e nel cuore, non va analizzato e scomposto.
E accanto ai comandamenti, nelle giovani menti di noi bambini e preadolescenti, convivevano, inconsapevoli i concetti di peccato, punizione, senso di colpa, penitenza, pentimento; il timore di fare la cosa sbagliata e di non poter aver via libera per il Paradiso, ma la condanna all’Inferno.

Tra gli anni del Liceo e dell’Università ho avuto il dono di vivere due esperienze che hanno riformulato il mio rapporto con la religione e la Chiesa.
La prima è stata la “convivenza” estiva con giovani da tutto il mondo, nella Comunità ecumenica di Taizè, in Francia; la seconda le lezioni di teologia di Don Pierluigi Lia, all’epoca docente all’Università Cattolica, scomparso pochi anni fa.
Cosa avevano in comune queste due esperienze? Hanno ribaltato in me completamente l’idea di fede, di Dio, della religione.
Non più dogmi, misteri da accettare incondizionatamente, regole da rispettare senza giudizio, ma amore e accoglienza sconfinati. Dio non era più l’essere onnipotente di cui avere timore, ma Essenza di Amore incondizionato. “Dio non è colui che ha cacciato Adamo ed Eva dal Paradiso, ma colui che ha cucito le loro vesti, perché erano nudi!”.Questa immagine (del mio Professore di teologia), che veicolava i concetti di cura, attenzione, accoglienza, ascolto, perdono, è stata per me una vera e propria Epifania!

Da quel momento la religione per me ha significato dare voce ad una forza benefica (quel Dio potente e autoritario dell’infanzia) che non può venire dall’uomo (la debolezza dell’uomo non va dimostrata), ma che può, attraverso l’uomo, cambiare il corso della storia.
In fondo, si racconta di un uomo, chiamato Gesù, povero, ma con un grande dono, quello di amare e farsi dono per l’altro; quello di rinunciare alla prevaricazione, alla violenza, all’aggressività. La logica dell’amore, contro la logica della prevaricazione.
E quella forza divina corrisponde all’energia creatrice che ogni essere umano ha in sé quando mette a frutto i propri talenti e, nel farlo, li mette a disposizione degli altri.
Siamo essere sociali, e conosciamo noi stessi attraverso gli altri, dicono gli psicologi e i sociologi. Abbiamo bisogno degli altri per crescere, migliorarci, imparare e correggerci. E non solo abbiamo bisogno degli altri, ma di Comunità a cui sentiamo di appartenere. La Comunità costruisce l’Identità individuale e quella di gruppo, crea legami intorno a valori, a obiettivi, a qualcosa di condiviso e di trainante. Appartenere ad una Comunità favorisce progettualità e senso del futuro (sentimento di cui la società odierna ha deprivato le nuove generazioni).
La Chiesa rappresenta questo. Non soltanto quindi un sentire, guidato dall’amore e dalla cura, in grado di generare, di dare frutti, di essere felici; una “tensione” che vive e si nutre dalla condivisione. Frequentare le parrocchie, andare a messa la domenica, far parte della Chiesa, significa condividere con gli altri la propria vita, il proprio daimon, i propri doni e, nel farlo, alimentare quell’energia vitale che da essa si sprigiona.

Nel mio lavoro incontro moltissimi adolescenti. Di recente mi è capitato di incontrarne uno che, nell’imbarazzo iniziale, mi ha confessato di far parte di una famiglia molto credente e di frequentare assiduamente la Chiesa. “Con i miei compagni, però, mi vergogno a dirlo!”.
Vergognarsi di credere in un Dio, che è la rappresentazione di tutti quei valori che alimentano la vita (cura, amore, accoglienza, andare incontro all’altro, attenzione, ascolto), è il paradosso del nostro tempo.
L’uomo moderno ha rotto quel filo sottile scambiando qualche carta al tavolo da gioco; credendo che efficienza, supremazia, potere (nel senso di avere la meglio sugli altri), ricchezza, velocità e materia, fossero le nuove parole d’ordine per andare incontro al futuro.
Ha dimenticato di ascoltare la propria voce, quella forza che dà vita, mentre tutto il resto la toglie, illudendo di riempirla.
Ha creduto di essere libero, in un modo che lascia sconfinate possibilità (e ci domandiamo perché i nostri adolescenti sono in crisi?) e illimitate strade da percorrere.
L’uomo moderno sta correndo al ritmo delle notizie “scrollate” sui display.(Alessandro Baricco, in uno dei suoi libri, The Game, che ho trovato interessantissimo, parla di “verità veloci” definendo le notizie che appaiono online e di cui l’uomo medio fruisce, senza il desiderio di entrare in profondità, passando da una all’altra, da soggetto passivo, annoiato e infelice).
La narrazione odierna racconta di una società disillusa, i cui molti giovani non hanno aspettative e progettualità per il futuro e i cui adulti, lasciano il lavoro per una vita più a misura di uomo, più felice (il fenomeno delle grandi dimissioni iniziato in pandemia è ancora attuale).

E se prendessimo in considerazione l’idea di riallacciare quel filo col divino? Depurandolo della rappresentazione che abbiamo imparato a catechismo, ma alimentandolo di quell’energia creativa in grado di direzionare la vita in modo generativo e non degenerato?
La sfida del rapporto con Dio, con la religione e con la Chiesa, a mio parere, sta qui, nel coraggio di cambiare punto di vista (quanto siamo disposti a cambiare le nostre credenze?!) per provare una strada diversa … tanto, quella che stiamo percorrendo ha già dimostrato di essere fallimentare!

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Note

(1) Daimon: Nel contesto della mitologia greca, il termine “daimon” si riferisce a uno spirito o a una divinità intermedia, spesso associata a una guida o a una forza misteriosa. Per Platone, il   “dàimon” è la creatura divina che presiede al destino di ciascuno.

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